mercoledì 11 settembre 2013

SCOLA: NELLE NOSTRE METROPOLI DIO E' ANONIMO E VIVIAMO COME SE EGLI NON ESISTESSE


 Dobbiamo cercare Dio nelle nostre metropoli perchè è anonimo: questo il messaggio dell'Arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, nella sua Lettera Pastorale 2013-2014.  Cercarlo, perché? Come sarebbe lungo rispondere bene a questa domanda! Dovremmo innanzi tutto riflettere sul fatto fondamentale che la vita è una ricerca: tutti gli uomini sono dei ricercatori di qualche cosa. L’amore, che qualifica e riempie la vita dell’uomo, è una ricerca. La vita è qualificata, definita e misurata da ciò che ricerca. Oggi l’uomo più che mai è alla ricerca di cose nuove, di pienezza nuova. L’ansia, che caratterizza l’attività del nostro tempo, non è che una ricerca diventata assorbente, febbrile, sempre più interessante, più feconda, e insieme più problematica, più faticosa e spesso più sconfortata e delusa. Cercare, cercare, è il programma della cultura, della scienza, del lavoro, della politica. Più si trova, e più si cerca. Più si è trovato, più si desidera e si spera trovare. È segno che manca sempre qualche cosa all’uomo, se sempre vuole e deve cercare. Nulla gli basta. Avesse tutto, cercherebbe ancora, perché l’uomo è così: deve crescere, deve conquistare, deve dilatarsi continuamente. Anche se la saggezza lo persuade a «del poco esser contento» (Manzoni) nel possesso di alcuni beni, ciò insegna per disporlo a desiderare e possedere beni superiori, quelli dello spirito, ad esempio.

Ma ora l'Arcivescovo Scola dice: dobbiamo cercare Dio nelle metropoli perchè egli è anonimo e perchè molte persone vivono come se Dio non esistesse. ! Inoltre perché Egli è nascosto. San Paolo, nel suo celebre discorso all’areopago di Atene, deriva la sua argomentazione dal «Dio ignoto» (At 17, 23). Non potremmo, discepoli di Cristo e alunni della Chiesa maestra, pretendere di conoscere già, e quanto!, il nome, il mistero, la realtà del Dio vivente? Sì e no: questo è importante. Dobbiamo essere felici della scienza immensa, luminosa, beatificante che la nostra dottrina religiosa ci offre sull’ineffabile nome di Dio; ma dobbiamo sempre ricordare che è assai più ciò che noi ignoriamo di Dio di ciò che noi di Lui conosciamo. Con la sola nostra mente solo ci possiamo unire a Dio come ad Essere ignoto, e «mentre arriviamo a sapere ciò che Dio non è - c’insegna San Tommaso -, ciò che Egli sia nella sua intima essenza ci resta del tutto sconosciuto» (Contra Gentes, III, 49); e per di più un Concilio Ecumenico (il Lateranense quarto - cfr. Denz.-Sch., 806 - ohm 432) ci ricorda «che fra il Creatore e la creatura non si può stabilire una somiglianza senza avvertire che maggiore è la dissomiglianza». Dio è sempre da cercare; Dio è sempre da scoprire: senza fine è da cercare, perché senza fine è da amare:  "crescendo l’amore, cresca anche la ricerca di Colui che s’è trovato, dice sempre fiammante Sant’Agostino" (Enarr. in Ps. 104, 3; P.L. 37, 1392).

Ma noi, uomini, del Terzo millennio  facciamo opposizione: a che giova cercare Dio? un Dio così nascosto? non basta quel poco che se ne sa, o se ne crede di sapere? non è meglio impegnare il nostro pensiero allo studio di cose più proporzionate alle nostre facoltà conoscitive? la scienza, la psicologia? cioè il mondo e l’uomo? È questa la grande obiezione della mentalità contemporanea, ch’è tutta protesa verso conoscenze razionali e sperimentali, e crede che queste bastino alla ricerca affamata dello spirito umano; anzi crede che occorra decisamente fissare questo limite al pensiero e alla esperienza dell’uomo moderno; e questo si può anche ammettere come criterio metodico applicato ad un determinato impiego della mente umana purché esso non rinchiuda l’orizzonte a più vasta, più profonda e doverosa ricerca; ce lo insegna più volte il Concilio (cfr. Gaudium et spes, nn. 36, 59, 19; Apostolicam actuositatem, n. 7; etc.). Ma questo criterio, che stabilisce l’ambito proprio della ragione naturale, si afferma nella nostra cultura, teorica e pratica, con pretese eccessive, perché erige in dogmi negativi le sue prerogative legittime; e facilmente sbarra il progresso della ricerca, e fa della così detta secolarizzazione un secolarismo, dell’attività laica un laicismo, della scienza critica e positiva una demitizzazione sistematica e un neo-positivismo con tendenze puramente fenomenologiche (cfr. lo strutturalismo), dello studio profano un’aggressiva desacralizzazione; cioè tende a ridurre l’area della cultura entro i confini delle possibilità utili e pratiche, a togliere da ogni campo del sapere e dell’azione dell’uomo il pensiero di Dio, a chiudere gli occhi sul mistero della sua incombente e insopprimibile Realtà, a fiaccare lo sforzo «religioso», a impedire il processo ascensionale dello spirito e a placare le native e profonde aspirazioni dell’uomo con inadeguate risposte, limitandogli l’orizzonte alle cose esterne e sensibili, al livello pur degno, ma chiuso e insufficiente dei beni temporali, illudendolo così con precarie e insufficienti felicità.

Ci si dimentica che l’uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle sue supreme facoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio; è fatto per Lui; e ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l’inquietudine, e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all’oceano dell’essere e della vita, alla piena verità, che sola dà la beatitudine. Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l’uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l’uomo stesso. La così detta «morte di Dio» si risolve nella morte dell’uomo.
Non è solo Scola  ad affermare una così triste verità. Ecco una testimonianza che è stata lasciata da un coltissimo scrittore d’avanguardia e infelicissimo tipo della cultura moderna (Klaus Mann, figlio di Thomas). Egli scriveva: «Non vi è speranza. Noi intellettuali, traditori o vittime, faremmo bene a riconoscere la nostra situazione come assolutamente disperata. Perché dovremmo farci delle illusioni? Siamo perduti! siamo vinti! La voce che pronunciò queste parole - prosegue la testimonianza -, una voce un tantino velata, ma pura, armoniosa e stranamente suggestiva, era quella di uno studente di filosofia e di letteratura, con cui mi incontrai per caso nella antica città universitaria di Upsala. Ciò che aveva da dire era interessante, ed era comunque caratteristico: ho sentito analoghe dichiarazioni di intellettuali in ogni punto d’Europa . . . E disse con una voce non più del tutto sicura: Dovremmo abbandonarci alla disperazione assoluta . . .» (Il Ponte, 1949, 1463-1464).Per noi no, non è così. La ricerca non è né arrestata dalle concezioni materialistiche, o agnostiche della mentalità contemporanea, né delusa dalla sua sempre incompleta soddisfazione. Per noi è sempre doverosa e fruttuosa. La ragione, sorretta dalla fede, e la fede dalla grazia, camminano senza posa verso il Dio invisibile (cfr. S. Agostino, De videndo Deo, Ep. 147; P.L. 33, 596 ss.); e questo cammino è polarizzato, in tante diverse maniere, verso la meta centrale della nostra vocazione umana e cristiana (cfr. S. Benedetto: si vere Deum quaerit . . . Reg. 58); ed anche in questo continuo e faticoso nostro itinerario verso la Verità, ch’è la Vita, la ricerca ha un suo dinamismo, che la ristora e la rinfranca, per la felicità della incipiente scoperta: «Si cerca Dio - dice ancora S. Agostino - per trovarlo più dolcemente, e lo si trova per cercarlo ancora più avidamente (De Trin. 15, 2; P.L. 42, 1058). Ma come si fa?,  Il discorso si fa ancora più difficile e più lungo! Ci si potrà forse ritornare; ma non adesso.  Pensiamo  a Dio che nelle metropoli è anonimo.  Strano questo richiamo calato nel movimento .affaccendato e profano della vita moderna; ma sapiente. Pensiamo a Dio! Egli è sempre vicino. Noi ne abbiamo sempre bisogno. L’incontro, conturbante e felice, è sempre possibile: sì, pensiamo a Dio.

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