sabato 30 novembre 2013

Il Papa ai giovani: non siate nè mediocri o annoiati nè omologati.


"Non spettatori ma protagonisti" nelle "sfide" del mondo contemporaneo. Non mediocri o annoiati, non omologati."Non si può vivere senza guardare le sfide", "non state al balcone, lottate per dignità e contro la povertà". Questo lo stile di vita che il papa latinoamericano ha proposto ai giovani, celebrando nella basilica vaticana i vespri di Avvento, primo incontro con gli universitari degli atenei romani del suo pontifica
                                                

"Vivere, mai vivacchiare", ha detto, e "non lasciatevi rubare l'entusiasmo giovanile". Gli studenti delle università romane, in particolare quelle pontificie, sono uno spaccato di giovani da diverse parti del mondo. Incontrandoli oggi, in un contesto liturgico e di preghiera, papa Bergoglio ha lanciato alcuni messaggi, sulla linea di altri incontri con i ragazzi, come, tra gli altri, quello con i giovani argentini, a Rio, nell'ambito della Giornata mondiale della gioventù. Tra l'altro, a braccio, ha inserito il richiamo a non vivere stando al balcone.
 "Il pensiero - ha spiegato il Pontefice - è fecondo quando è espressione di una mente aperta, che discerne, sempre illuminata dalla verità, dal bene e dalla bellezza: se non vi lascerete condizionare dall'opinione dominante, ma rimarrete fedeli ai principi etici e religiosi cristiani, troverete il coraggio di andare anche contro-corrente". "La pluralità di pensiero e di individualità - ha affermato papa Francesco - riflette la multiforme sapienza di Dio quando si accosta alla verità con onestà e rigore intellettuale, così che ognuno può essere un dono a beneficio di tutti".

Nel vivere coerentemente con il Vangelo, ha suggerito, "può essere di aiuto la bella testimonianza del beato Pier Giorgio Frassati, il quale diceva: 'Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere'". "Sapete cari giovani universitari - ha detto il Papa in un inserto a braccio - che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide". "Per favore, - ha raccomandato - non guardate la vita dal balcone, mischiatevi lì dove ci sono le sfide, la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno".

Prima di iniziare i vespri, il Papa ha ascoltato con molta attenzione il saluto di un rettore - del quale non è stato fornito il nome nè l'ateneo di provenienza - che ha denunciato il fallimento della "meritocrazia" di fronte alla "legge del più forte", ai "tagli" decretati dalla dittatura delle "agenzie di rating, della obbedienza alla finanza". Il professore ha raccontato anche il caso di studenti che lavorano in nero per pagare gli studi all'unico fratello che la famiglia può mantenere all'università, e ha denunciato la "morte di un ceto medio". In tale contesto, ha detto il rettore, è vitale il richiamo del Papa ai "valori": "abbiamo bisogno - ha detto - del suo richiamo alla speranza e alla carità" e "ci verrà chiesto come abbiamo usato i talenti" senza cedere all'"utilitarismo immediato".

DETENUTO MORTO IN CARCERE A POGGIOREALE DOPO UN PESTAGGIO DI ALCUNI AGENTI







 E' morto a Poggioreale. E la sua famiglia chiede che sia fatta luce sulla sua fine. I familiari denunciano: le condizioni fisiche del detenuto non erano compatibili con il regime carcerario. E ora ci sono due inchieste. Una della magistratura e l'altra, annunciata da via Arenula, voluta dal ministro della Giustizia.

Una nota diffusa oggi informa infatti che una "rigorosa indagine amministrativa interna" è stata disposta dal Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, attraverso il capo del Dap, Giovanni Tamburino, sulle cause della morte di Federico Perna, avvenuta l'otto novembre nel carcere napoletano di Poggioreale.

LEGGI: "Federico malato e picchiato, poi la morte a Poggioreale"
Il Guardasigilli, che ha espresso "le sue condoglianze e la sua personale vicinanza alla mamma del giovane", "auspica che sulla vicenda sia fatta completa chiarezza, assicurando la massima collaborazione alla Procura della Repubblica che ha già avviato una sua inchiesta".

Poche ore dopo, in serata, arrivano le parole della mamma del detenuto morto. Che rilancia le accuse e, contemporaneamente, ringrazia il ministro per il suo intervento.

La sua forza, dice, ora è la rabbia. dalle Guardie". Chiede la verità e la giustizia, Nobila Scafuro, mamma di Federico Perna. "Per fortuna il ministro Cancellieri ha deciso di avviare un'indagine, è stata una bella soddisfazione - dice all'agenzia di stampa Ansa - se fino a ieri non avevo fiducia nella giustizia, oggi ne ho di più".
                                                                                


Sarà l'autopsia a stabilire le cause della morte di Federico, a ricostruire quanto accaduto e a confermare o meno le accuse della famiglia. Intanto Nobila racconta la storia di Federico. E descrive il suo corpo "pieno di colpi. L'ultima volta ho visto mio figlio una settimana prima che morisse - dice - aveva un grosso livido sullo zigomo. In un primo momento mi disse che era stata una sportellata, poi un suo compagno lo invitò a dirmi la verità, che erano state le guardie e lui lo ammise".

"Stava male Federico, non riusciva a reggersi in piedi e nessuno lo ha curato - aggiunge - non era un santo mio figlio, no, ma aveva diritto ad essere curato dallo Stato italiano. Federico non ritornerà ma io chiedo verità e giustizia per lui e per tutti coloro che sono in carcere, matricole senza voce".

Un passo indietro per ricostruire la vicenda. Federico Perna, 34 anni, deceduto nel carcere di Poggioreale per arresto cardiaco venerdì otto novembre. Dunque, secondo l'avvocato e i familiari, le sue condizioni fisiche lo rendevano incompatibile con la detenzione. La madre accusa: "Non lo curavano".





                                                                     

"Il problema è la causa dell'arresto", spiega l'avvocato Riccardo Arena, che cura la rubrica Radio Carcere su Radio Radicale e ha ospitato di recente nel suo programma la madre del ragazzo.

Due referti redatti
dai medici del carcere di Velletri e di quello di Secondigliano avevano confermato la diagnosi: Federico era affetto da cirrosi epatica, aveva problemi circolatori e alla coagulazione del sangue.

Aveva bisogno di un trapianto di fegato. Le sue condizioni fisiche lo rendevano incompatibile con la detenzione. "In uno dei due referti venivano pure diagnosticati alcuni problemi di natura psicologica, come una sindrome border line", continua l'avvocato Arena.

mercoledì 27 novembre 2013

LA GRINTA DI BERLUSCONI DOPO LA DECADENZA. L'ODIO E IL LIVORE DEI COMUNISTI

Il Senato ha votato questa sera a favore della decadenza di Silvio Berlusconi da parlamentare con effetto immediato.
L'aula di palazzo Madama ha infatto respinto tutti i 9 ordini del giorno che contestavano la decisione della giunta per le Immunità e le elezioni che aveva proposto la decadenza di Berlusconi e, alle 17,42 al termine dei nove voti, il presidente Piero Grasso ha annunciato la non convalida dell'elezione di Berlusconi e invitato la stessa giunta a convocare il senatore subentrante.
Berlusconi dovrebbe essere sostituito dal molisano Ulisse Di Giacomo che ha già dichiarato di voler aderire al gruppo alfaniano del Nuovo centrodestra.
La decisione del Senato è stata presa al termine di una giornata intensa di dibattito a palazzo Madama, con la decisione, fin dalla mattinata che il voto di questa sera sarebbe stato anticipato alle 17 dalle 19, visto che nessuna delle parti in campo aveva ormai interesse a dilazionare ulteriormente i tempi.






QUESTA MATTINA RESPINTA RICHIESTA DI SOSPENSIVA
In mattinata, con un'unica votazione per alzata di mano, l'assemblea di palazzo Madama ha respinto la richiesta di sospensiva dell'esame presentata dal centrodestra.
Nella tarda mattinata e nel pomeriggio si è svolta la discussione generale che non ha riservato particolari novità sulle posizioni generali dei vari gruppi, cosa che non ha fatto mancare comunque numerose polemiche.
La più violenta quella lanciata stamattina, in particolare dai senatori di Forza Italia Sandro Bondi e Maurizio Gasparri, nei confronti dei senatori a vita - ad eccezione di Mario Monti - accusati senza mezze misure di disertare abitualmente i lavori dell'aula e di essere invece, almeno alcuni di loro, presenti oggi per il voto sulla decadenza. Il centrosinistra ha difeso da quelle che sono state definite "intimidazioni" i senatori a vita presenti.
Mentre il dibattito è stato poco seguito dai senatori in aula, in particolare vistose le assenze sui banchi del centrodestra, l'aula si è andata affollando con l'inizio delle dichiarazioni di voto. Fra le prime quella di Renato Schifani, del Nuovo centrodestra, che ha definito "anomala e ingiusta" la scelta di andare al voto sulla decadenza e quella di oggi "una pagina buia nella storia della nostra democrazia parlamentare".
Al termine delle dichirazioni, due parlamentari di Scelta civica hanno annunciato di votare in difformità dal gruppo e a favore del voto segreto, ma gli ordini del giorno sono stati respinti tutti e 9 dall'aula.
La decisione è stata presa al termine dell'iter iniziato prima in giunta delle Elezioni e immunità ai primi di settembre, poi in giunta del Regolamento per decidere se il voto dell'aula dovesse essere a scrutinio segreto o palese. L'iter è stato avviato dopo che l'ex presidente del Consiglio in agosto era stato condannato in via definitiva per frode fiscale a 4 anni di reclusione di cui tre condonati.
Il Senato ha applicato la cosiddetta legge Severino che prevede la decadenza da parlamentare e l'ineleggibilità per sei anni di chi viene condannato per certi reati.
Berlusconi ha sempre parlato di una sentenza politica per eliminarlo dalla scena politica per via giudiziaria.

Gli scogli giudiziari del Cavaliere - Il voto palese sulla decadenza lascia pochi margini di manovra all'ex premier, condannato in via definitiva per il caso Mediaset. Inoltre Berlusconi nei prossimi mesi ha ancora parecchi scogli giudiziari da affrontare: si va dal processo per la compravendita dei senatori, alla nuova inchiesta sulle feste ad Arcore. E poi il dibattimento in appello sempre sul caso con al centro la giovane marocchina Ruby fino all’udienza per l’affidamento in prova ai servizi sociali di un anno, in quanto è al 'netto' dei tre anni coperti da indulto le pena da scontare, in seguito alla condanna definitiva a quattro anni di reclusione per la vicenda Mediaset, procedimento di cui non si esclude possa essere chiesta la revisione.
Udienza tribunale sorveglianza su affidamento in prova - Tra la primavera e l'estate del 2014, dovrebbe tenersi l'udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza di Milano per decidere sulla richiesta di Berlusconi di affidamento in prova ai servizi sociali per scontare la pena definitiva del caso Mediaset che, al netto dei tre anni di indulto, è di un anno. Dopo l'udienza i magistrati avranno cinque giorni di tempo per emettere il provvedimento di accoglimento o meno dell'istanza depositata l'11 ottobre scorso.
Un'alternativa: i domiciliari - E così all’inizio del 2014 Berlusconi potrebbe smettere di essere un uomo libero e conoscere il proprio destino: una pena detentiva che per effetto della ex Cirielli del 2005 verrebbe scontata agli arresti domiciliari, visto che il Cav ha superato i 70 anni d'età, o i servizi sociali. Intanto, in prima fila per accoglierlo, c'è la Fondazione Exodus di don Mazzi.
Processo in Cassazione su interdizione Mediaset -  Il prossimo anno davanti alla Cassazione si terrà il processo di terzo grado per decidere se confermare o meno i due anni di interdizione dai pubblici uffici per il caso Mediaset decisi lo scorso 19 ottobre dalla Corte d’appello di Milano. La sentenza sulla pena accessoria, come è stato preannunciato, verrà infatti impugnata dalla difesa dell’ex capo del Governo.

lunedì 25 novembre 2013

ECCO PRISCILLA, UNA DELLE DIACONESSE ACCANTO A SAN PAOLO


Alle 16:00 del 19 novembre, nella Basilica di San Silvestro, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra ha presentato  il complesso delle Catacombe di Priscilla, dopo una lunga serie di interventi conservativi portati a termine negli ultimi cinque anni. Alla presentazione sono  intervenuti  Padre Ciro Benedettini, C.P., Vice Direttore della Sala Stampa della Santa Sede; il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra (PCAS); il Monsignore Giovanni Carrù, Segretario della PCAS; il Professor Fabrizio Bisconti, Sovrintendente della PCAS; la Dottoressa Barbara Mazzei, della PCAS; la Dottoressa Raffaella Giuliani, della PCAS e la Dottoressa Giorgia Abeltino, Responsabile Public Policy di Google.
Nell’ultimo quinquennio sono stati eseguiti interventi di scavo archeologico e di restauro conservativo delle testimonianze pittoriche con la ristrutturazione e il riallestimento di uno degli spazi più suggestivi delle catacombe, quello della basilica in cui era sepolto Papa Silvestro (314-335). Il restauro del cubicolo di Lazzaro, nel cimitero sotterraneo non lontano della basilica papale, è l’ultimo di una importante serie di interventi conservativi nel cimitero di Priscilla.
La basilica di San Silvestro si compone di due ambienti, uno propriamente dedicato al culto e l’altro utilizzato in passato come deposito dei materiali scultorei antichi rinvenuti nel corso degli scavi. Fra questi materiali oltre 700 frammenti di sarcofagi provenienti dalla necropoli che in epoca tardo imperiale si estendeva in questo tratto della via Salaria Nova, sono stati accuratamente restaurati. Il risultato del restauro rappresenta una notevole testimonianza della scultura funeraria della tarda antichità disposta in una vera e propria esposizione museale.
La tutela del patrimonio scultoreo così valorizzato sarà consultabile online sul sito http://mupris.net. Le catacombe della Salaria sono state inoltre inserite nel programma Google Maps in cui sarà possibile ammirare il complesso priscilliano nell’apposita sezione Views Priscilla.
Priscilla è una delle poche donne menzionate più di una volta negli Atti degli apostoli e nelle lettere di Paolo. La troviamo sei volte: Atti 18,1-4; 18,18-19; 18,24-26; 1Cor 16,19; Rom 16,3-5a; 2Tim 4,19. Anche se questi testi sono solo piccoli frammenti, ci permettono di ricostruire la memoria di questa donna missionaria.
Come abbiamo già fatto notare, gli autori biblici mettono in risalto soprattutto i personaggi maschili. Quando una donna è nominata varie volte, significa che è importante. Senza dubbio, Priscilla è una persona che emerge nella chiesa apostolica. Solo due volte il marito Aquila è nominato prima della moglie; negli altri testi incontriamo sempre Priscilla e Aquila. Non è come in matematica, che l'ordine dei fattori non altera il risultato. Menzionare prima Priscilla significa che la donna è la guida nella comunità. Allora cerchiamo di ricostruire la sua storia di vita.
Una fabbricante di tende. Paolo incontra Priscilla e Aquila a Corinto (Atti 18,1-4). Sono appena arrivati da Roma, espulsi per l'editto dell'imperatore Claudio nell'anno 49. Documenti storici dicono che in quel periodo c'erano molti tumulti fra i giudei a causa di "un tale Cresto" (così viene chiamato Cristo Gesù dallo "storico"!). Furono banditi da Roma i giudei che avevano aderito alla nuova setta interna al giudaismo: i discepoli di Gesù.
Quando s'incontrano con Paolo, Priscilla e Aquila appartenevano già al "cammino": erano stati introdotti nella comunità da missionari e missionarie itineranti. La coppia lavorava fabbricando tende. Paolo va a vivere con loro, svolgendo la stessa professione. Alcuni esegeti insinuano che solo Aquila faceva questo lavoro, dato che non era una professione femminile. Ma il testo è chiaro ed è al plurale: "erano fabbricanti di tende". Sì, anche Priscilla è artigiana, come Lidia, l'altra donna che l'aveva preceduta.
Missionaria itinerante. Abbiamo questa notizia in Atti 18, 18-19. Insieme a Paolo, Priscilla e Aquila lasciano Corinto come missionari itineranti, diretti a Efeso. Scrivendo, mi viene un dubbio: i lettori forse penseranno che Priscilla sia dovuta andare perché "la moglie deve accompagnare il marito", e non per una sua scelta vocazionale!
Nella lettera ai Romani, Paolo nomina Priscilla per prima, lasciando intendere chiaramente che egli la riconosce come sua collaboratrice nella professione apostolica, nell'itineranza missionaria e nella guida della comunità. Infatti, nella sua casa si riunisce una comunità. È importante leggere il saluto di Paolo (Rom 16,3-5a).
Formatrice di missionari. In Efeso abbiamo l'opportunità di mettere meglio a fuoco e di ampliare l'icona di Priscilla. Apollo era un eloquente predicatore. Nella sinagoga parlava di Gesù con schiettezza, ma conosceva solo il battesimo di Giovanni. Anche Priscilla e Aquila lo ascoltano e notano le sue capacità e le lacune. Con attenzione affettuosa lo accolgono nella loro casa e completano la sua formazione (Atti 18,24-26).
Che bella scena! Non c'è gelosia, invidia, auto sufficienza. Solo collaborazione e desiderio di crescere. Apollo, persona colta, non si nega a completare la sua formazione ai piedi di una donna. Priscilla e Aquila, non approfittano delle lacune per disfarsi di un concorrente. In primo piano c'è la Buona Notizia: è necessario sommare le energie, non dividerle. Per completare la sua formazione, Apollo aveva bisogno di qualcuno che conoscesse le Scritture in profondità. Questa persona è Priscilla!
Come Paolo, Priscilla è artigiana, missionaria itinerante, diaconessa della comunità, studiosa delle Scritture. Come Paolo, anche lei organizza le comunità, evangelizza e lavora con le proprie mani per mantenersi.
Priscilla e Aquila vivono una nuova relazione coniugale, diversa dal solito sistema patriarcale: donna e uomo sono compagni nel costruire un nuovo modo di vivere la vita, la professione, la missione. Priscilla merita davvero il nostro omaggio!

domenica 24 novembre 2013

LA RACCOMANDAZIONE NEL CARCERE, GLI AGENTI E I DETENUTI DI MARASSI





Nelle 206 carceri che ci sono nella penisola italiana da gennaio 2013 ad oggi sono deceduti 141 detenuti  di cui 46 si sono suicidati. La ministra della Giustizia Cancellieri (quella che usava il  telefono del ministero per parlare con la moglie di un pregiudicato, Salvatore Ligresti,  ( che nel 1992 fece tre mesi di carcere a San Vittore)sposato con  Bambi Susini  e fece anche una telefonata con il fratello Antonino Ligresti anch'egli responsabile di gravisssimi reati; la ministra parlava di Giulia Ligresti incarcerata a Vercelli. I suoi parenti le chiedevano un intervento per farla uscire dal carcere per motivi di salute.  Sta di fatto che dopo le due telefonate con Antonino e con Bambi Susini, Giulia Ligresti uscirà dal carcere facendo un patteggiamento con i giudici.Che sia una singolare coincidenza? Non è dato sapere. Peccato che 64.999 detenuti non abbiano avuto   la stessa fortuna della figlia di  Ligresti..




                                                           

 «Non vi è stato nessun favoritismo nè interventi calati dall’alto e questo è ciò che dicono i fatti», replicava il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri nel suo discorso alla Camera. «Sono stata ferita nel mio onore. I miei doveri di ministro e la mia coscienza - assicurava la Guardasigilli - non mi avrebbero consentito di comportarmi» nel caso di Giulia Ligresti «diversamente da come mi sono comportata» in tanti altri casi di cui è arrivata segnalazione. Cancellieri sottolineava che l’esito del caso Ligresti non dimostra l’esistenza di una «giustizia di classe», che distingue fra «cittadini di serie A e B», fra «ricchi e poveri». Poi concludeva dicendo di non aver «mai delegittimato toghe e di avere fiducia nei pm». La Cancellieri alla Camera ha continuato a difendersi come nelle scorse settimane, quasi sdegnata: Sono molto amareggiata, non ho mai mentito al Parlamento o ai magistrati. Non ho acquisito alcun debito di riconoscenza, ho agito in assoluta fedeltà e lealtà alle istituzioni. Se avessi avuto un dubbio, non avrei avuto esitazioni a lasciare l’incarico”.
Intanto nelle carceri si muore.
C'è da segnalare l'operato degli Agenti (gli Assistenti o gli Agenti scelti) di Marassi (Genova)  che si adoperano con la massima vigilanza all'esterno delle celle e ascoltano i bisogni dei detenuti con disinteresse, gratuità e solidarietà. Sono sempre attivi e collaborativi con i detenuti specie  nella prima accoglienza. Loro hanno un ruolo importante e fondamentale perchè il detenuto spesso  è solo, disperato e depresso.  E gli Agenti che hanno 20-25 anni  conoscono il bene di cui nessuno parla sui giornali.   Il Cappellano di  Marassi don  Gatti  - mi dicono - suoni   la chitarra e abbia buoni rapporti solo con Ispettori, sovrintendenti, commissari, e assistenti capi. Non c'è una vera  pastorale carceraria di don Gatti per i detenuti di Marasssi. Egli potrebbe essere  un'ipocrita simile a un sepolcro imbiancato:  all'esterno   bello a vedersi, ma dentro un uomo che sarebbe  pieno di ossa di morti e di ogni putridume.
  E i detenuti chi li tutela, chi dice loro una buona parola, chi li conforta nel dolore e nella sofferenza, chi  usa misericordia nei loro confronti  come ci ha insegnato Gesù? E intanto il prete canta. Se questi sono gli uomini di Chiesa.... Io sono un Cardinale!
I detenuti che sono 880 rinchiusi in celle da 4-6-8 posti vivono in condizioni disumane: le lenzuola vengono cambiate 1 volta al mese, il vitto è scadente, i materassi non vengono disinfettati.  Per fortuna c'è un centro clinico con specialisti medici che curano i detenuti malati.
Rimangono la noia, l'ozio, la diseducazione, e il vizio che c'è fra i vari detenuti. Diversamente ci sono i programmi televisivi (il più gettonato è Striscia la notizia). Durante la giornata ci sono le tazzine di caffè (almeno 5) e poi le torte, e il mangiare prodotto dai detenuti  cuochi. Una volta al giorno c'è la doccia calda, 4 ore d'aria e il calcetto o le carte.
Tutti detenuti modello anche se responsabili di reati che non hanno la fortuna di avere un ministro che si occupi della loro scarcerazione. La posta in partenza e in arrivo viene aperta con un sistema basato sul vapore e le notizie di reato vengono segnalate ai giudici.  Non esiste la privacy purtroppo.



GLI AMICI POLITICI DEI LIGRESTI


Non c’è pace per il ministro Annamaria Cancellieri: nonostante la Camera abbia  respinto la mozione di sfiducia in suo favore, nuove accuse piovono sulla guardasigilli che, secondo Salvatore Ligresti, avrebbe chiesto una raccomandazione per Berlusconi.
Il ministro ha subito smentito parlando di quanto emerso come «destituito di ogni fondamento» e rinviando a una nota ufficiale. «Qui c’è un accanimento che non ha limite, c’è un disegno che non comprendo», insiste Cancellieri, che ha precisato di non essere mai stata prefetto a Parma: «Ero già commissario straordinario a Parma e pochi giorni dopo sono stata chiamata da Mario Monti al ministero dell’interno». «È surreale – conclude il portavoce della guardasigilli – pensare che, in entrambi i casi, Annamaria Cancellieri abbia potuto chiedere un interessamento per rimanere a Parma, potendo ricoprire incarichi più impegnativi e qualificanti».

L’accusa emerge dai verbali degli interrogatori dello stesso Ligresti, diffusi dopo il voto alla Camera dalle agenzie di stampa e relativi al suo interrogatorio nell’ambito dell’inchiesta milanese su Fonsai (nella tranche che vede Ligresti accusato di corruzione con l’ex presidente Isvap Giancarlo Giannini).
Ligresti in quegli interrogatori rivela che egli stesso si fece «latore» presso l’ex presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, della volontà della Cancellieri stessa, allora «prefetto in scadenza a Parma» che «preferiva rimanere in quella sede anziché cambiare destinazione». Le pressioni su Berlusconi avrebbero anche riguardato la promozione di carriera del presidente dell’Isvap.
Nei verbali, Ligresti si sofferma sulla «particolare consuetudine» che ha avuto con Berlusconi: «Siamo amici di vecchia data – dice – veniamo dalla gavetta e gli incontri sono tanto frequenti quanto informali. Con il presidente Berlusconi si parla di tutto. In ogni caso ricordo chiaramente di avergli presentato in più di un’occasione questo tema».
Gli interrogatori riguardano anche Jonella Ligresti, figlia dell’ingegnere (accusata di manipolazione del mercato e falso in bilancio aggravato), che parla di favoritismi nei confronti di Giancarlo Giannini: «Certamente mio padre e Berlusconi parlarono del tema Giannini – dice in un interrogatorio del 2012 – ne parla come di due «molto amici» e di altre occasioni in cui «mio padre ha sollecitato l’ex presidente del consiglio a trovare una collocazione lavorativa a Giannini». Alla Ligresti sono anche stati concessi oggi 19 novembre gli arresti domiciliari, come chiesto dai suoi legali nelle settimane scorse.
Già nel dicembre 2012, anche Salvatore Ligresti descriveva i suoi rapporti con l’ex presidente Isvap e spiegando di essere intervenuto sempre nei confronti di Berlusconi «per cercare di trovare una soluzione per Giannini una volta che avesse lasciata la presidenza dell’Isvap» al quale, secondo quanto i magistrati hanno ricostruito, sarebbe stata promessa la poltrona dell’Antitrust. Sempre Jonella Ligresti rivela anche che Marco Cardia, figlio dell’ex presidente della Consob divenne consulente di Fondiaria nonostante non fosse «un luminare del diritto».
Anche nei verbali di Emanuele Erbetta, ex amministratore delegato di Fonsai, si parla di appoggi politici, in particolare di Salvatore Ligresti che anche prima del 2011 aveva fatto pesare le sue relazioni politiche con Berlusconi, Gianni Letta e Ignazio La Russa.
 Fonsai, la procura di Torino  sta indagando sulla compagnia assicurativa della famiglia Ligresti da più di un anno, ha emesso ordinanze di custodia cautelare nei confronti del fondatore Salvatore Ligresti, i tre figli, Paolo, Jonella e Giulia Maria, i due ex amministratori delegati Fausto Marchionni ed Emanuela Erbetta, e l’ex vice presidente pro-tempore Antonio Talarico. Le accuse di falso in bilancio e aggiotaggio hanno fatto scattare gli arresti. Gli altri indagati sono l'avvocato Vincenzo La Russa, (fratello dell'ex ministro della Difesa) , i membri del comitato esecutivo di Milano Assicurazioni e la stessa società e la capogruppo Fondiaria Sai.
BUCO DA 800 MILIONI – L’inchiesta coordinata dai magistrati Marco Gianoglio e Vittorio Nessi avrebbe accertato una presunta falsificazione del bilancio del 2010, nel quale, sarebbe stata manipolata la voce «riserva sinistri», sottostimata di 800 milioni per nascondere un pesante passivo nei conti della società. In questo modo gli investitori sarebbero stati privati di informazioni per una corretta valutazione dei titoli azionari. Il bilancio 2010 sarrebbe servito come base per il prospetto informativo dell’aumento di capitale di Fonsai (datato luglio 2011). Per questa ragione la procura ha avanzato anche accusa di aggiotaggio. Al momento il patriarca Salvatore è ai domiciliari, Giulia e Jonella in carcere. Paolo invece, non è stato arrestato e risulta ricercato.
“UNO SPACCATO INQUIETANTE” – «Uno spaccato inquietante». Così il procuratore aggiunto Vittorio Nessi della procura di Torino sull’inchiesta Fonsai ha commentato la svolta nelle indagini: «Una società assicurativa – ha aggiunto – molto importante era piegata agli interessi di una parte dell’azionariato, quello che contava. I Ligresti attraverso Premafin detenevano oltre il 30 percento della società». Ammonta a 253 milioni di euro la somma di denaro che la holding della famiglia Ligresti e Premafin hanno incassato come utili al posto di registrare perdite. I finanzieri hanno infatti verificato, in un’inchiesta partita nell’agosto del 2012, come fosse avvenuta una «sistematica sottovalutazione delle riserve tecniche del gruppo assicurativo della riserva sinistri», che ha consentito nell’arco degli anni l’afflusso di milioni di euro nelle casse della famiglia. La famiglia Ligresti, secondo la tesi dell’accusa, contando anche sulla «compiacenza del top management si è assicurata oltre al costante flusso di dividendi anche il via libera a numerose operazioni immobiliari con parti correlate». La Procura di Torino ha deciso di procedere con le misure cautelari nei confronti della famiglia Ligresti sia per le concrete possibilità di fuga, sia per il rischio di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio. «Salvatore Ligresti ha reagito all’arresto con molta serenità», ha spiegato il comandante della guardia di finanza di Torino, generale Giuseppe Gerli.
PAOLO LIGRESTI IN SVIZZERA - Le misure cautelari disposte dalla magistratura di Torino sono state eseguite dalla Guardia di Finanza in diverse città. Salvatore Ligresti ha avuto la notifica dei domiciliari nella sua casa di Milano; la figlia Giulia è stata fermata nel capoluogo lombardo e trasferita in carcere; l’altra figlia Jonella è stata raggiunta a Cagliari, dove era in vacanza e portata nel carcere cittadino. Gioacchino Paolo Ligresti, altro figlio di Salvatore, è l’unico che non è stato rintracciato e si trova in Svizzera: allo stato risulta «ricercato» ma a quanto si apprende non sarebbe intenzionato a rientrare. Ad Emanuele Erbetta l’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata notificata a Novara, dove l’uomo vive. Fausto Marchionni è stato raggiunto a Forte dei Marmi e trasferito ai domiciliari nella sua casa in provincia di Cuneo. Antonio Talarico, infine, ha ricevuto la notifica dei domiciliari nella sua abitazione di Milano.
ALTERATO IL PREZZO DELLE AZIONI - Salvatore Ligresti e i figli Giulia, Jonella e Paolo erano già indagati nell’inchiesta coordinata dai procuratori torinesi Vittorio Nessi e Marco Gianoglio che ipotizzava da parte dei vertici di Fonsai di aver «truccato» la voce destinata alla cosiddetta riserva sinistri alterando tra il 2008 e il 2010 il bilancio della società, per poi comunicare ai mercati notizie false sul bilancio dell’azienda quotata in borsa, alterando il prezzo delle sue azioni.
 Tra il 2009 e il 2010, quando era ministro della Difesa, Ignazio La Russa avrebbe percepito dal gruppo Fonsai 451 mila euro come «parcelle spese sinistri» e «altre prestazioni di servizi». È quanto emerge dagli atti dell’inchiesta di Milano - secondo quanto scrive la Repubblica - che vede indagati Salvatore Ligresti e Giancarlo Giannini per corruzione. Anche il figlio dell’ex ministro, Geronimo, avrebbe ricevuto parcelle professionali dal gruppo per un totale di 211mila euro. Analogo trattamento economico per il fratello del parlamentare di Fratelli d’Italia, Vincenzo, per un totale di 300mila euro. 
LE PARCELLE - Le parcelle di La Russa, che non è indagato ed ha uno studio legale a Milano, emergono da un documento dell’Isvap in cui figurano i pagamenti fatti a parti correlate da Fonsai nel biennio 2009-2010. Dall’atto, frutto del lavoro ispettivo dell’authority, emerge che nel 2009 La Russa percepì dalla compagnia dei Ligresti e dalla sua controllata Milano Assicurazioni circa 297.400 euro, a cui si aggiunsero altri 153.600 euro nel 2010. La Russa è considerato parte correlata in quanto fratello di Vincenzo, allora consigliere di Fonsai, nonché padre di Geronimo, ex amministratore della controllante Premafin. L’Isvap rileva anche che nello stesso biennio Vincenzo La Russa percepì da Fonsai a titolo di «parcelle spese sinistri» circa 300 mila euro mentre l’allora quasi trentenne Geronimo La Russa, fatturò 211 mila euro tra «parcelle spese sinistri» e «altre prestazioni di servizi». Che i La Russa lavorassero molto con le società dei Ligresti è emerso con chiarezza a partire dal 2011, quando la Consob ha obbligato le società quotate a un maggior livello di trasparenza sui rapporti economici con parti correlate, quali sono gli amministratori, per neutralizzare i rischi di conflitti di interesse e di indebiti benefici. Dalle relazioni sulle remunerazioni per gli esercizi 2011 e 2012 delle società dei Ligresti emerge infatti che Vincenzo La Russa ha percepito complessivamente da Fonsai 1,094 milioni di euro (di cui 907 mila per prestazioni professionali e il resto come emolumento da consigliere). Una cifra vicina agli 1,1 milioni è stata versata da Premafin a Geronimo La Russa, anche in questo caso in gran parte (1,054 milioni) per «prestazioni professionali rese dallo Studio Legale La Russa» a Fonsai e a sue controllate. I servizi fatturati dalla famiglia La Russa alle compagnie dei Ligresti erano stati in passato oggetto di polemiche.

UN RAGAZZO DI 29 ANNI NEL CARCERE DI BENEVENTO SI IMPICCA NELLA SUA CELLA.





 Lo hanno trovato impiccato con una coperta alla finestra della cella nella quale era detenuto. Si sarebbe tolto la vita così un ventinovenne originario di Taranto detenuto nel carcere di Benevento.
Lo riferisce l’associazione Ristretti Orizzonti secondo la quale, con quello avvenuto nella casa circondariale di contrada Capodimonte, salgono a 46 i detenuti suicidi da inizio anno e a 141 il totale dei decessi in carcere. Ieri pomeriggio gli agenti della Polizia penitenziaria del carcere di Benevento durante un normale giro d’ispezione hanno trovato il giovane già morto. Secondo una prima ricostruzione, dopo aver strappato a strisce la coperta che era sul suo letto, il detenuto avrebbe legato un lembo alle sbarre della finestra.
A quel punto si sarebbe stretto l’altro capo al collo e si sarebbe lasciato andare. Inutile l’intervento dei medici della struttura detentiva e dell’ambulanza. Su disposizione del sostituto procuratore Nicoletta Giammarino, sul posto è intervenuto il medico legale, che ha effettuato il sopralluogo. Il magistrato ha disposto il trasferimento della salma nell’obitorio dell’ospedale Rummo.
Nelle prossime ore sarà eseguita l’autopsia che dovrà accertare le cause della morte. “Non è la prima volta che nel carcere di Benevento si registrano episodi del genere – rileva Ristretti Orizzonti – Lo scorso 14 ottobre un poliziotto penitenziario aveva salvato un altro detenuto che aveva tentato di togliersi la vita impiccandosi con degli asciugamani. Non era andata così, invece, nell’aprile del 2010 quando un uomo di 39 anni, di Napoli, che aveva da poco cominciato a collaborare con la giustizia, si era ucciso utilizzando una calzamaglia sportiva che aveva legato alla porta della cella. Ed ancora, precedentemente, nel 2005: un giovane di Benevento di 31 anni, si era impiccato con i lacci delle scarpe e un altro di 61 anni, si era ucciso strozzandosi con un lembo del lenzuolo”..

141 I DETENUTI MORTI IN CARCERE DA GENNAIO. L'ULTIMO E' FEDERICO DECEDUTO A POGGIOREALE

Federico Perna, 34 anni di Latina, morto in carcere a Poggioreale, padiglione Avellino, a Napoli. La madre denuncia gravi inadempienze sostenendo che Federico, tossicodipendente, era malato di cirrosi epatica, epatite C, e doveva subire un trapianto di fegato.

Due pareri medici avevano indicato l’incompatibilità delle sue condizioni di salute con la detenzione in carcere. Ma Federico in carcere è rimasto, e lì è morto. Ora indaga la Procura di Napoli mentre la mamma chiede giustizia.Aveva bisogno di un trapianto di fegato e di un ricovero in una struttura protetta, ma ha continuato a sputare sangue in cella, fino alla fine. E' stata aperta un'inchiesta sul suo decesso, l'ipotesi di reato è omicidio colposo. Ma di Federico non si conoscono le ultime ore, ufficialmente è morto per un vaghissimo “arresto cardiocircolatorio” e non si sa nemmeno dove sia deceduto: “Prima mi hanno detto in carcere, poi in ambulanza perché non c'era il defibrillatore, poi ancora mi hanno detto che è morto prima di essere caricato sull'autoambulanza. All'inizio non riuscivo a capire nemmeno in quale obitorio fosse”. La madre di Federico, Nobila Scafuro, parla a Fanpage nel giorno più duro, quello dell'autopsia. E cerca di spiegare una piccola parte di quello che è stato l'inferno di questo ragazzo, “sballottato per otto o nove carceri”, “trattato come un numero, peggio di un animale”.
La madre racconta che Federico è stato malmenato. E si domanda: è morto per questo? “E questo no, non lo potrei accettare, ammazzato di botte proprio no”. Perché il dubbio più lacerante per Nobila è proprio questo. Se siamo davanti a un nuovo caso Cucchi lo vedremo, tutte le ipotesi sono aperte ma  l'avvocato Camillo Autieri, che assiste la signora Scafuro, sottolinea quello che reputa “l'aspetto più grave emerso dall'esame autoptico, cioè l'abbandono e la trascuratezza nelle quali è stato lasciato il detenuto, trascuratezza che ha portato al decesso. Che poi abbia preso un pugno o un calcio, può essere un corollario. Il problema più grande è l'abbandono di una persona che, come tante altre, è affidata alle cure dello Stato”.
Federico Perna era in prigione per cumulo delle pene: “Non ha ucciso nessuno – si sfoga Nobila – Ha fatto degli errori e voleva scontare la sua pena, sì, ma loro gli hanno fatto pagare la pena umana”. Più volte aveva chiesto di essere trasferito per ricevere le cure adeguate, ma non solo: ci sono certificati di medici penitenziari che Fanpage ha potuto visionare, che lo chiedevano insistentemente, sottolineando come queste richieste avessero ottenuto sempre esito negativo dall'autorità giudiziaria. Una tortura. Poi Nobila parla delle lettere, tante, che il figlio le ha inviato. In una si legge: “Scusa se ero un po' assente, ma qua mi hanno esaurito, mi sono aggravato di salute”. In un'altra, si legge: “Basta l'eroina, ora sono un uomo, è solo distruzione, un lavoretto e una vita serena. Adesso voglio il Federico vero”. Ma l'argomento più ricorrente è quello che riguarda la salute. Dal carcere di Viterbo scrive: “Qui c'è il dirigente che vuole farmi ricoverare per farmi prendere l'incompatibilità carceraria, ci sono le cartelle di aggravamento. Mamma, mi stanno uccidendo, portami a casa”. Con Federico, sale a 139 il bilancio delle vittime in cella dall' inizio di quest'anno.
                                                


114 KG DI COCAINA SEQUESTRATI A REGGIO CALABRIA. IL GUADAGNO AVREBBE FRUTTATO 20 MILIONI DI EURO



I finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Reggio Calabria, in collaborazione con l'Agenzia delle dogane, hanno sequestrato 114 chili di cocaina in un container in transito al porto di Gioia Tauro proveniente dal porto panamense di Balboa. La droga, forse destinata al nord Italia, avrebbe fruttato un guadagno di 20 milioni di euro.                                 


Erano nascosti in un carico di confezioni di zucchero destinati ad una azienda del nord Italia, gli oltre 114 chili di cocaina sequestrati dalla guardia di finanza nel porto di Gioia Tauro. Lo stupefacente era in tre borsoni e ricoperta di sterco per sviare il fiuto dei cani antidroga. L'operazione è stata condotta dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria - Sezione Goa di Reggio Calabria insieme a quelli di Gioia Tauro ed ai funzionari dell'Agenzia delle Dogane - Ufficio centrale antifrode e Svad, e coordinata dalla Dda di Reggio Calabria in coordinamento con la Procura di Palmi. Alla scoperta della droga gli investigatori sono giunti grazie ad un'attività di indagine collegata a incroci documentali e controlli meticolosi su numerosi container in transito nel porto di Gioia Tauro, realizzati anche con l'impiego di apparecchiature scanner in uso alla Dogana. La cocaina era stata imbarcata nel porto panamense di Balboa sul mercantile Msc Ornella. Il container era in attesa di essere imbarcato su un' altra nave con destinazione Genova.

Dalle indagini svolte, l'azienda cui era destinato il carico di zucchero è estranea alla vicenda. La droga era divisa in panetti da mezzo chilo, una novità dal momento che solitamente sono da un chilo, dovuta probabilmente, secondo gli investigatori, ad una maggiore facilità di vendita. Prima di essere immesso sul mercato, lo stupefacente, di elevata qualità e purezza, poteva essere tagliato fino a sei volte, per un prezzo medio di vendita sul mercato di 50 euro al grammo, ed un guadagno complessivo di circa 20 milioni di euro. Complessivamente, dal marzo dello scorso anno, i finanzieri e le dogane hanno sequestrato nel porto di Gioia Tauro 1,2 tonnellate di cocaina.

sabato 23 novembre 2013

LA MAROCCHINA RUBY: "AD ARCORE RAGAZZE NUDE CHE SI FACEVANO TOCCARE"

 

 La notte ad Arcore "con il presidente del Consiglio, in promiscuita' sessuale" era riservata soltanto ad alcune giovani "scelte personalmente dal padrone di casa tra le sue ospiti femminili". "Tra queste, egli scelse El Mahroug Karima in almeno due occasioni". Due giorni fa sono state rese note le motivazioni dei giudici di Milano sul processo Ruby che hanno portato in primo grado alla condanna a sette anni di carcere per l'ex premier Silvio Berlusconi accusato di concussione e prostituzione minorile. "Risulta provato, inoltre, che il compimento di atti sessuali da parte della minorenne fosse caratterizzato dall'elemento retributivo: la stessa, infatti, percepiva somme variabili di carica 3.000 euro per volta, oltre a gioielli". Anche le altre ospiti femminili, secondo i giudici, venivano ricompensate "con denaro, con gioielli, con autovetture, con il pagamento del canone di affitto delle abitazioni in via Olgettina, con contratti di lavoro a Mediaset ed altre utilita'". Nelle motivazioni alla sentenza di condanna del processo Ruby, i giudici di Milano spiegano come le giovani donne ospiti ad Arcore "compivano atti sessuali in plurimi contesti" e come quelle che si fermavano per la notte ottenessero un guadagno maggiore. "Durante la cena - scrivono - denudando il seno e il fondoschiena, interagivano con l'imputato, facendosi toccare e toccando il padrone di casa nelle parti intime"; dopocena "si esibivano nella discoteca sottostante l'abitazione, dotata di un palo da lap dance, in abiti succinti, con travestimenti, scoprendo il seno e le parti intime, in alcuni casi spogliandosi completamente, strusciandosi addosso all'imputato, nonche' toccandolo e facendosi toccare in varie parti del corpo". Infine, "durante la notte si intrattenevano col padrone di casa percependo un maggiore compenso". Silvio Berlusconi era, secondo i giudici, il "regista del bunga bunga". "Risulta provato che il regista delle esibizioni sessuali delle giovani donne - scrivono - fosse proprio Berlusconi, il quale dava il via al cosiddetto bunga bunga in cui le ospiti di sesso femminile si attivavano per soddisfare i desideri dell'imputato, ossia per 'fargli provare piaceri corporei', come chiarito dalla stessa El Mahroug, inscenando balli con il palo da lap dance, spogliarelli, travestimenti e toccamenti reciproci".

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BERLUSCONI: NAPOLITANO DOVREBBE CONCEDERMI LA GRAZIA SENZA ESITARE

Il Capo dello Stato Giorgio Napolitano non dovrebbe esitare sulla concessione della grazia nei suoi confronti. Lo ha sottolineato il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, intervenuto alla manifestazione organizzata dai giovani azzurri presso il Palazzo dei congressi, a Roma. «Ho la dignità di non richiederlo ma il presidente della Repubblica non dovrebbe avere un'esitazione nell'impedire subito l'umiliazione che io venga messo ai servizi sociali», ha affermato l'ex premier.
Ora i moderati devono fare quadrato per difendere la libertà. «Visto che avete appena affermato con un coro che c'è solo un presidente vediamo di non farcelo fare fuori - ha esordito Berlusconi -. Sono tre notti consecutive che non riesco a dormire, quello che accade mi preoccupa tantissimo ma non per me, io ho un'età veneranda: a me può succedere di tutto, ma sono preoccupatissimo per l'attacco che si sta portando alla nostra libertà». Sulla condanna della Cassazione nel processo sulla compravendita dei diritti tv: «Sentenza assurda, spiegherò tutto con carte ineludibili», ha sottolineato.

Manifestazione di Forza Italia il giorno del voto sulla decadenza
Con le note di Azzurra libertà Silvio Berlusconi è stato accolto nel pomeriggio«In Senato - ha affermato - c'è un processo per un omicidio politico del leader del centrodestra». E in un'intervista a Il Mattino il leader di Forza Italia ha annunciato per il 27 novembre, giorno in cui l'Aula del Senato voterà sulla sua decadenza, una manifestazione del partito davanti alla sua residenza romana, a Palazzo Grazioli.
«Sfidiamo apertamente questa sinistra che non ha mai rinnegato la sua storia e l'ideologia più criminale e disumana del mondo e fa dell'odio un comportamento invincibile, non pensino - ha avvertito Berlusconi - che noi lasceremo che questo colpo di stato si realizzi senza reazione da parte nostra».
La magistratura è un contropotere
La magistratura è ormai un "contropotere" che contrasta "gli altri due poteri dello Stato", ha ricordato il Cavaliere: «A poco a poco Magistratura democratica ha trasformato la magistratura, tutta, da quello che è - un ordine dello Stato - in un potere. Anzi in un contropotere capace di contrastare, di mettere sotto, gli altri due poteri dello stato, quello legislativo e quello esecutivo. In Parlamento da lunga pezza non si riesce a far approvare una riforma».
Monti non aveva meriti per essere senatore a vita
Berlusconi ha criticato la scelta del capo dello Stato di nominare l'ex commissario europeo Mario Monti senatore a vita. «Monti a mio parere non aveva meriti tali da essere nominato senatore a vita, non mi risultano scritti scientifici di particolare attenzione ma firmai anche quello», ha raccontato il leader di Forza Italia alla platea.
Lo stalliere Mangano? Ha ragione Dell'Utri, è un eroe
«Credo che Marcello abbia detto bene quando ha definito Mangano un eroe», ha affermato Berlusconi in un passsaggio del suo intervento, in cui è tornato sulla vicenda di Mangano e ha difeso le affermazioni di Marcello Dell'Utri sull'essere Mangano un eroe per non aver ceduto ai pm che gli «chiedevano di testimoniare il falso» sui «rapporti tra Berlusconi e la mafia».

CANCELLIERI: DA APRILE I DETENUTI AVRANNO 8 ORE D'ARIA





 Portare da due a otto le ore fuori dalle celle e istituire un garante nazionale dei detenuti: queste le principali novità sulla condizione carceraria annunciate dal ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri intervenuta a un convegno a Milano. "Mi ha fatto male scoprire che i detenuti avevano al massimo due ore di libertà al giorno, indipendentemente dal tipo di reato. Allora la prima cosa che abbiamo fatto è stato muoverci per per arrivare, e ci arriveremo, a che l'80% dei detenuti possa usufruire di otto ore di uscita dalla cella" Le novità rientrano nel piano d'azione presentato a Strasburgo dal ministro ai vertici europei per risolvere il contenzioso dell'Italia in tema di sovraffollamento carcerario e durata dei processi "Vorrei inserire il garante nazionale dei detenuti che vorrei fosse una figura di cooordinamento con i garanti regionali presenti su tutto il territorio nazionale, e attorno al quale si deve creare una rete di assistenza legale dato che c'è una fascia di detenuti che dopo l'assitenza ricevuta al processo viene abbandonata e non ha nessuno" ha spiegato il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, sottolineando che "il garante nazionale dovrà far crescere attraverso le convenzioni e il volontariato la possibilità per chi non ha voce di poter esprimere una voce legale perché è una fascia che, dopo il processo, è completamente abbandonata a sé stessa". Il modello paradigmatico che si vuole introdurre è quello di una detenzione 'apertà nel perimetro intramurario, in cui le camere di pernottamento siano luoghi per il riposo e non per lo svolgersi della giornata quasi nella sua interezza". Si inserisce in questo mutato modello di vita detentiva "il potenziamento dei contatti con le famiglie con una politica di accoglienza che eviti degradanti file d'ingresso negli istituti e che puntino fortemente sul mantenimento dei legami familiari, con particolare attenzione alla relazione genitoriale".





 Nel corso del convegno Cancellieri ha dichiarato che il ministero  persegue una "linea d'intervento di tipo normativo volto a ridurre i flussi d'ingresso in carcere e rendere più fluido l'accesso alle misure alternative previste nel nostro ordinamento. In parte ciò si sta realizzando attraverso l'applicazione del decreto legge dello scorso luglio, pur nella formulazione più attenuata adottata dal Parlamento in sede di conversione. Sempre, sul piano normativo occorrerà prevedere altri interventi che, nel seguire lo stesso solco di tutelare la sicurezza e garantire i diritti dei detenuti a condizioni dignitose, diano maggiore efficacia ad alcuni istituti che il nostro ordinamento prevede e minore rilevanza penale a fattispecie di lieve entità". C'è poi un intervento "di tipo strutturale, attraverso il risanamento di strutture fatiscenti e l'apertura di 4500 nuovi posti". Dai vertici del Consiglio d'Europa, ha aggiunto il Guardasigilli, "è venuto un convinto sostegno all'azione che il Governo ha avviato e la pur lieve riduzione del numero di detenuti - che sono passati dai 69.000 del 2010 agli attuali 64.400, è stata vista come una prima indicazione di un percorso difficile ma certamente avviato e da sostenere". Un altro fronte  di azione per il ministro "riguarda la creazione di nuovi posti carcere e soprattutto un cambiamento del modello di carceri che abbiamo. Molte strutture - ha proseguito la Cancellieri - risalgono al periodo dell'Unità d'Italia, al periodo borbonico. Entro maggio avremo 4.500 posti letto in più e nel 2015 12mila posti in più, ma bisogna lavorare soprattutto sull'ammodernamento, su nuove strutture sulla falsariga di carceri modello come Bollate, Firenze e Rebibbia" e non già  sul modello tortura di Chiavari o quello di controllo  totale  del detenuto a  Marassi (Genova).
 In precedenza un gruppetto dei Giovani Democratici, sezione giovanile del Pd, aveva contestato il ministro Anna Maria Cancellieri. "Ci sono stati 26 morti per suicidio in carcere da quando è iniziato il mandato del ministro Cancellieri - dice Giacomo Marossi dei Giovani Democratici Milano - mentre solo una detenuta ha ricevuto un trattamento degno. Siamo qui per chiedere le di dimissioni del ministro, che ha dimostrato un trattamento ineguale per i detenuti. Esistono detenuti di Serie A, che hanno il numero di telefono del ministro memorizzato sul cellulare, e detenuti di Serie B, che non hanno alcuna via preferenziale". I manifestanti, una dozzina, stanno contestando il ministro Cancellieri leggendo ad alta voce i nomi di tutti i detenuti morti in carcere. Ma la contestazione ha assunto anche il tono dello sberleffo, alcuni dei Giovani Democratici distribuiscono carte stile "Imprevisti" del gioco "Monopoli" che recitano: "Telefonata della Cancellieri-Esci di prigione".

venerdì 22 novembre 2013

LA RUSSA IN DUE ANNI HA PRESO DA FONSAI BEN 451 MILA EURO

Tra il 2009 e il 2010, quando era ministro della Difesa, Ignazio La Russa percepì dal gruppo Fonsai 451 mila euro come “parcelle spese sinistri” e “altre prestazioni di servizi”. E’ quanto emerge dagli atti dell’inchiesta di Milano – secondo quanto scrive la Repubblica – che vede indagati Salvatore Ligresti Giancarlo Giannini per corruzione.
Le parcelle di Ignazio La Russa, che non è indagato ed ha uno studio legale a Milano, emergono da un documento dell’Isvap in cui figurano i pagamenti fatti a parti correlate da Fonsai nel biennio 2009-2010. Dall’atto, frutto del lavoro ispettivo dell’authority, emerge che nel 2009 La Russa percepì dalla compagnia dei Ligresti e dalla sua controllata Milano Assicurazioni circa 297.400 euro, a cui si aggiunsero altri 153.600 euro nel 2010. La Russa è considerato parte correlata in quanto fratello di Vincenzo, allora consigliere di Fonsai, nonché padre di Geronimo, ex amministratore della controllante Premafin.
L’Isvap rileva anche che nello stesso biennio Vincenzo La Russa percepì da Fonsai a titolo di “parcelle spese sinistri” circa 300 mila euro mentre l’allora quasi trentenne Geronimo La Russa, fatturò 211 mila euro tra “parcelle spese sinistri” e “altre prestazioni di servizi”.
Che i La Russa lavorassero molto con le società dei Ligresti è emerso con chiarezza a partire dal 2011, quando la Consob ha obbligato le società quotate a un maggior livello di trasparenza sui rapporti economici con parti correlate, quali sono gli amministratori, per neutralizzare i rischi di conflitti di interesse e di indebiti benefici.                             




Dalle relazioni sulle remunerazioni per gli esercizi 2011 e 2012 delle società dei Ligresti emerge infatti che Vincenzo La Russa ha percepito complessivamente da Fonsai 1,094 milioni di euro (di cui 907 mila per prestazioni professionali e il resto come emolumento da consigliere). Una cifra vicina agli 1,1 milioni è stata versata da Premafin a Geronimo La Russa, anche in questo caso in gran parte (1,054 milioni) per “prestazioni professionali rese dallo Studio Legale La Russa” a Fonsai e a sue controllate.
I servizi fatturati dalla famiglia La Russa alle compagnie dei Ligresti erano stati in passato oggetto di polemiche. “La collaborazione professionale degli studi legali La Russa con SAI S.p.A. è iniziata assai prima che in SAI S.p.A. entrasse il Gruppo Ligresti e che dura quindi continuativamente ormai da circa 40 anni” aveva puntualizzato nel 2012 Ignazio La Russa definendo i l’entità dei compensi percepiti dal fratello e dal figlio nel 2011 “lecita” nonché, “modesta dedotte tasse, spese di studio e dei colleghi collaboratori”.
L’esponente di Fratelli d’Italia aveva anche assistito i Salvatore Ligresti nel corso della trattativa con Unipol per l’integrazione dei due gruppi. “Io faccio l’avvocato – aveva affermato in occasione di un incontro in Mediobanca nel marzo del 2012 -. Da ministro mi sono astenuto dall’esercitare la professione e ora il mio studio può riprendere il mio apporto”.
Oggi l’ex ministro sottolinea che quando era alla Difesa “non ho assunto alcun incarico né dalla Sai Fondiaria né da altri clienti”. Le parcelle “si riferiscono a pratiche acquisite e svolte negli anni precedenti“.
“Come ho più volte precisato, il mio rapporto professionale con la Sai (poi Sai Fondiaria) data dalla fine degli anni ’70 e cioè anni prima che il gruppo Ligresti ne fosse azionista. Nel periodo in cui sono stato ministro della Difesa – racconta La Russa in una nota – ho ritenuto, in ragione del mio incarico, di autosospendermi di fatto dall’Ordine degli Avvocati inviando lettera al Presidente avv. Giuggioli. In quegli anni non ho perciò assunto alcun incarico né dalla Sai Fondiaria ne da alcun altro cliente. Tant’è che la mia dichiarazione dei redditi 2012 relativa al 2011 non ha avuto alcun reddito professionale”, aggiunge il presidente di Fratelli d’Italia.
“Eventuali parcelle incassate nel 2009 e 2010 e comunque mentre ero ministro, si riferiscono perciò a pratiche acquisite e svolte negli anni precedenti. Rilevo peraltro che se è esatta la notizia di Repubblica (che mi riservo di verificare) 450 mila euro lordi per numerose pratiche assicurative in ben due anni (per un lavoro che coinvolge anche diversi avvocati del mio studio da me retribuiti) mi fa risultare nella parte bassa dell’elenco dei legali che seguono in Italia le pratiche di quella assicurazione. Si tratta in ogni caso di parcelle relative al legittimo lavoro professionale (così come quelle di mio fratello Vincenzo che ha uno studio distinto e separato e che collaborava con la Sai già quando io non ero ancora neanche laureato) che non ha alcuna ragione di essere accostato a quelle dello studio legale Cardia che rispetto, ma col quale non ho alcun rapporto non solo professionale ma nemmeno di semplice frequentazione. Con Giannini infine non ho poi avuto proprio mai rapporti di alcun genere“.

mercoledì 20 novembre 2013

DI PIETRO, CANCELLIERI INDIFENDIBILE, SI DIMETTA




''Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, deve dimettersi immediatamente. La sua posizione e' indifendibile. Deve lasciare il suo posto prima che il Parlamento voti la mozione di sfiducia''. Lo scrive il Presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, in un intervento pubblicato sul quotidiano 'Il Tempo'. ''E' grave, infatti, - prosegue Di Pietro - che il Guardasigilli abbia utilizzato il suo ruolo istituzionale per tentare di agevolare la scarcerazione di un'amica detenuta e che abbia rivendicato la sua amicizia con un pregiudicato, nonche' con delle persone su cui sta indagando la magistratura. Chi e' al governo dovrebbe dare il buon esempio ed essere al di sopra di ogni sospetto. Purtroppo in Italia non e' cosi' perche' sempre di piu' chi siede nelle istituzioni approfitta del ruolo che ricopre. E' grave che il ministro Cancellieri pretenda di rimanere al governo, nascondendosi dietro al fatto che al momento non risulti essere indagato, ma e' ancor piu' grave che stia esercitando una pressione politica indebita nei confronti della maggioranza che sostiene l'esecutivo. In pratica, costringe i parlamentari a votare la fiducia a suo favore per evitare che crolli il governo. Una situazione assurda. Non si puo' continuare a dare l'idea che ad essere aiutati siano solo gli amici dei potenti. La Costituzione dice che la legge e' uguale per tutti''. ''Anche per questo - aggiunge Di Pietro - non e' tollerabile che ci siano detenuti di serie A e di serie B. Tutti coloro che sono in carcere, e che si trovano nelle condizioni di Giulia Ligresti, hanno i suoi stessi diritti, anche se non sono in possesso del numero di telefono del Guardasigilli. In qualsiasi altro Paese democratico, un esponente del governo si sarebbe dimesso per molto meno e un Parlamento degno di questo nome lo avrebbe revocato senza lasciarsi ricattare. In Italia, invece, lo sport preferito e' quello di rimanere attaccati alla poltrona''. ''Anche se resto scettico - conclude Di Pietro - mi auguro che i membri del Parlamento abbiano un sussulto di dignita' e che non si mostrino complici del ministro della Giustizia''.

martedì 19 novembre 2013

VOGHERA, ALLARME SICUREZZA





La città di Voghera, un grosso centro dell'Oltrepo Pavese con 40 mila abitanti, è nell'occhio del ciclone per le questioni relative all'ordine pubblico. L'altra notte, sotto il mio palazzo,  sono state bruciate ben due  automobili alle 4.30 del mattino. E un negozio gestito da cinesi ha rischiato anch'esso di essere incendiato. Solo la prontezza della proprietaria ha fatto si che con l'estintore esso andasse salvato. Nel mese di settembre  sempre a Voghera  vicino all'autoporto alcuni vandali e teppisti hanno incendiato cinque automobili. Si parla di un minore straniero di origine rom (che parla un ottimo italiano e che quando si esprime parla a voce alta e quindi restiamo ingannati sulla sua vera identità)  che sarebbe responsabile di questa ondata di roghi e incendi dolosi e che è il capobanda  Le gang latinos americane presenti in città  non c'entrano nulla. Il Comune aveva ritenuto di dire ai vogheresi che i problemi della sicurezza sarebbero stati risolti con l'installazione di ulteriori  videocamere specialmente in piazza San Bovo dove il ritrovo di vagabondi e barboni con la bottiglia di vino in mano dal mattino alla sera è una consuetudine. Ma la strategia migliore è il controllo del territorio, delle persone e delle automobili.
Un altro gravissimo  problema che riguarda Voghera è la diffusione della droga: cocaina,  hashish e marijuana.  Un corriere della droga ultrasettantenne lo  hanno arrestato  i militari della Guardia di Finanza di Voghera. L'uomo, cittadino italiano di 72 anni, era alla guida del proprio autoveicolo quando le Fiamme Gialle lo hanno fermato per un controllo di routine. Il fare nervoso dell'anziano ha spinto i militari a un controllo piu' approfondito del mezzo. E nell'ispezione sono stati trovati 7 borsoni da viaggio contenenti complessivamente 50 kg di sostanza stupefacente tra hashish e marijuana, 9 cartucce da arma da fuoco Western-Winchester calibro 7,65 e circa 2000 euro contanti in pezzi da 50 euro. Per l'ultrasettentenne si sono aperte le porte del carcere di Pavia.
Invece dopo numerosi appostamenti e inseguimenti, il commissariato di polizia di Voghera ha arrestato un marocchino sospettato di essere uno dei più grossi spacciatori della zona: aveva un giro di almeno 50 clienti al giorno, cui vendeva eroina e soprattutto cocaina. L’arresto è stato convalidato dal tribunale di Pavia.
 Nei giorni scorsi gli agenti del Commissariato, su ordine del Dirigente del Commissariato - Mauro Zampiero, hanno effettuato una serie di controlli sia a Voghera, sia nei paesi limitrofi. Controllati e denunciati alcuni cittadini stranieri.

 I controlli dei poliziotti hanno portato alla denuncia di due cittadini marocchini, uno che si trovava in piazza San Bovo ed era in possessi di oggetti atti a offendere mentre l'altro per ubriachezza molesta in piazza Meardi. Denuciati anche due cittadini rumeni ed un albanese per alcuni furti tentati al supermercato Galassia di Casei Gerola e, all'Esselunga di viale Montebello a Voghera, per il furto di alcolici: valore della refurtiva 100 euro.
Nel corso degli ultimi mesi a Voghera, come nelle altre città e nei piccoli centri limitrofi, c'è stato un sensibile aumento del numero di furti sia in appartamento, sia negli esercizi commerciali. Nei giorni scorsi anche una banca è finita nel mirino dei malviventi.
Anche nei giorni scorsi i ladri sono entrati in azione in via Dalla Chiesa.Una famiglia si è ritrovata un ladro nella stanza da letto in piena notte. Il ladro si era già impossessato di cento euro ma quando il padrone di casa si è svegliato si è dato subito alla fuga. 
In piena notte i ladri sono entrati in azione anche in una panetteria, però ilm titolare è riuscito a lanciare l'allarme. Quegli oggetti avevano per me e la mia famiglia soprattutto un grande valore affettivo, spero solo di poterli riavere, un giorno, anche se so che sarà molto difficile».
A parlare è la pensionata G.I., 73 anni: i ladri hanno preso di mira la sua abitazione, in strada Valle, approfittando della sua temporanea assenza: con il marito stava facendo una visita al cimitero, sulle tombe dei propri cari.
«Saremo rimasti assenti da casa un paio d’ore – continua la signora – Quando siamo arrivati, la sgradita sorpresa: non c’era niente di particolare in disordine, sembrava quasi che i malviventi sapessero dove colpire. Sono riusciti ad entrare in casa dopo aver fatto saltare la serratura di una porta-finestra che dà sul retro dell’abitazione, quindi hanno rivolto le loro “attenzioni” agli oggetti in oro e agli orologi che appartenevano a tre generazioni della nostra famiglia. Il tutto era riposto in un cassetto di un armadio. Come detto, quegli oggetti avevano per noi un grande valore affettivo ed erano anche bei ricordi». Difficile stabilire il valore del bottino realizzato dai soliti ignoti: si può comunque tranquillamente parlare di alcune migliaia di euro.
«Abbiamo segnalato quanto accaduto alla compagnia carabinieri della nostra città, per le indagini del caso, ed abbiamo anche fornito una descrizione di quanto sparito da casa: la speranza è che magari, col tempo, gli inquirenti riescano a recuperare almeno in parte gli oggetti rubati». Nella zona di strada Valle, come peraltro purtroppo un po’ dappertutto in questo periodo, anche in passato erano stati segnalati furti e incursioni (notturne e no) in ville ed abitazioni.
I malviventi hanno scelto il momento giusto in cui colpire, approfittando dell’assenza dei proprietari: non è escluso tenessero sotto controllo le abitazioni della zona, per poter avere la certezza – in qualche modo – di «andare sul sicuro». E così è stato.
Da ultimo ci sono le prostitute nigeriane in viale Montebello che esercitano la professione dalle  22 alle 5 del mattino  e  che  disturbano parlando a voce alta e portando nella città  malattie veneree quali sifilide, epatite b, candidosi, gonorrea e Hiv.( vedi Legge 20 febbraio 1958, n. 75 ;  l'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507. In un Paese dove ci sono 9 milioni di poveri troviamo a Voghera giovani stranieri che non lavorano: come fanno a pagare l'affitto, il mangiare e l'abbigliamento?
Ci auguriamo che il Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Voghera e Pizzale, Francesco Zio, con i suoi colleghi, possa riportare a Voghera un po' di ordine e di sicurezza.

lunedì 18 novembre 2013

ECCO LA MOZIONE DI SFIDUCIA DI MOVIMENTO 5 STELLE CONTRO LA SIGNORA CANCELLIERI

Pronta la mozione di sfiducia del Movimento 5 Stelle per Annamaria Cancellieri. Mentre continua il silenzio da parte dei vertici delle istituzioni, Giorgio Napolitano ed Enrico Letta in primis, i partiti decidono le loro mosse rispetto al caso delle pressioni della Guardasigilli a favore della concessione dei domiciliari a Giulia Ligresti. Il Pd prende tempo e, per bocca del responsabile giustizia Danilo Leva, fa sapere che il partito attenderà un chiarimento in Aula da parte del ministro prima di prendere un posizione. Il Pdl, invece, attraverso le parole del vicepremier Angelino Alfano, esprime la propria solidarietà al Guardasigilli. Il Movimento 5 Stelle, infine, si prepara a presentare una mozione di sfiducia, che è stata pubblicata sul blog di Beppe Grillo. Ecco il testo del documento.

“Premesso che da notizie di stampa de “la Repubblica” e de “il Fatto Quotidiano” del 31 ottobre u.s. risulta che la Procura di Torino, sia in possesso di tabulati telefonici che contengano diversi contatti tra la famiglia Ligresti ed il Ministro della Giustizia Cancellieri, oltre al di lei figlio, fin dal giorno degli arresti della figlia Giulia. Il 17 luglio del 2013 il Tribunale di Torino ha disposto gli arresti per Salvatore Ligresti, per i suoi tre figli e per tre manager della compagnia Fonsai per falso in bilancio aggravato e aggiotaggio; per Salvatore Ligresti e i tre manager veniva disposto il giudizio immediato. La figlia Giulia Ligresti, coinvolta nell’inchiesta Fonsai, risulta essere l’unica, al momento, ad aver patteggiato; il 19 settembre 2013 veniva condannata a due anni e otto mesi di reclusione. Dalle intercettazioni telefoniche risulta che la compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, abbia suggerito al cognato Antonio Ligresti “di contattare il ministro come ultimo tentativo, visto che la situazione della figlia Giulia non trovava soluzione”. Risultano dai tabulati diverse telefonate del ministro stesso con i fratelli della famiglia Ligresti e risultano chiamate telefoniche ai due vice capi del dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (DAP), Francesco Cascini e Luigi Pagano, per “sensibilizzarli” sul fatto che la figlia dell’ingegnere, arrestata il 28 luglio, soffrisse di anoressia. Risulta inoltre, intorno alla metà di agosto, con inconsueto zelo e tempestività, “un referto inviato dalle psicologhe dell’istituto penitenziario di detenzione della Ligresti in cui si segnalava lo stato di depressione della donna e si certificava l’incompatibilità del regime carcerario con le condizioni di salute della stessa”.
Il 28 agosto, undici giorni dopo la telefonata di Antonio Ligresti, fratello di Salvatore Ligresti, diretta al Ministro, venivano concessi gli arresti domiciliari a Giulia Maria Ligresti. Risulta che l’interessamento del Ministro verso la situazione di Giulia Ligresti sia confermato anche nel verbale di interrogatorio del 22 agosto, durante il quale il Ministro dichiarava al procuratore aggiunto Vittorio Nessi che: “si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione”. L’intervento del Ministro a favore della scarcerazione di Giulia Ligresti “per motivi legati all’anoressia” presenta aspetti molto discutibili e che devono essere chiariti sul piano politico e non solo su quello giudiziario, in quanto risulta grave che l’intervento in questione sia stato richiesto da una telefonata privata e che abbia riguardato una classica detenuta eccellente. Il Ministro in indirizzo, nel corso del citato interrogatorio, così come riportato dagli organi di informazione, è stato chiamato a ricostruire le circostanze per le quali abbia di propria iniziativa contattato telefonicamente la compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, per manifestarle “solidarietà sotto l’aspetto umano” in occasione dell’arresto del compagno e delle di lui figlie, esprimendo al contempo forte rammarico e disappunto per l’accaduto, invitando altresì l’interlocutrice a “contare” sullo stesso Ministro per “qualsiasi cosa serva”. Il Ministro ha ammesso di avere ricevuto la telefonata di Antonino Ligresti in cui questi le rappresentava preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia sofferente di anoressia, e che, pare, “rifiutasse il cibo in carcere” e ha ammesso di aver “sensibilizzato i due vice capi del Dap, perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”.
“Cascini era al corrente della situazione perché lo aveva già letto sui giornali e si era già posto il problema. Dopo di allora non li ho più sentiti e non so se siano intervenuti, e eventualmente, in che termini”, conclude il Ministro con una excusatio non petita, e chiarendo dunque che il suo interessamento era stato per un carcerato soltanto, Giulia Maria Ligresti. Inoltre, per completezza di informazioni, occorre sottolineare come la vicinanza tra il ministro e la famiglia Ligresti, sia di tutta evidenza in considerazione del fatto che il figlio del Ministro, Piergiorgio Peluso, risulta aver lavorato in Fonsai dal maggio del 2011, dopo essere stato responsabile del Corporate & Investment banking di Unicredit per l’Italia, posizione dalla quale aveva trattato l’esposizione delle società della famiglia siciliana. Peluso risulta aver incassato nel 2012 una buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un anno di lavoro come direttore generale della compagnia assicurativa Fondiaria Sai in virtù delle clausole contenute nel suo contratto che consentivano, in caso di cambio di controllo o di demansionamento, la possibilità di dimettersi con giusta causa e di incassare l’equivalente di tre annualità. Facoltà che Peluso ha deciso di esercitare dopo un anno, non rientrando una sua conferma nei programmi di Unipol, nel frattempo salita sulla plancia di comando dell’ex compagnia dei Ligresti. Inoltre, secondo annotazioni della Guardia di Finanza di Torino del 29 agosto 2013, Peluso “continua a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che quelle societarie”. Da pregresse intercettazioni operate sulla stessa Giulia Ligresti, lei stessa, sfogandosi con un’amica, giudicava quella liquidazione milionaria nei confronti del figlio della Cancellieri come una ingiustizia: “Gli danno una liquidazione, invece che chiedergli i danni!”. “Sì, invece di chiedergli i danni! Mi hanno detto che in Consiglio nessuno ha fiatato. Sì, sì.. Approvato all’unanimità. Che se fosse stato il nome di qualcun altro… Questo qui ha 45 anni, è un idiota. Perché veramente è venuto a distruggere una compagnia. Perché lo ha fatto proprio su mandato la distruzione… 5 milioni, è andato in Telecom, e l’Italia non scrive niente”. Alla luce di ciò il comportamento del Ministro appare ancora più grave, e potrebbe sembrare come il pagamento di un debito a fronte di un guadagno percepito dal figlio. In carcere si soffre e si muore: ogni giorno è emergenza umanitaria nelle nostre carceri.
Ma alle grida di disperazione, agli allarmi quotidiani lanciati dai Garanti dei diritti dei detenuti, alle angosce dei parenti dei reclusi, ai casi conclamati di incompatibilità delle condizioni di salute con la penosa condizione degli istituti e dei servizi sanitari interni, al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non sanno cosa rispondere, ma “si pongono il problema”, – per usare le parole della Cancellieri riferite al vice capo Francesco Cascini, – guarda caso solo per una detenuta eccellente, mentre altri 70.000 continuano a soffrire ed a morire. E’ particolarmente grave che il ministro si serva di figure di garanzia come i magistrati, vice capi del DAP per adempiere ai suoi debiti privati, attraverso presunti atti di deviazione delle funzioni pubbliche. Ed è ancor più grave che di fronte ad una ingerenza interessata del Ministro, i magistrati che operano al DAP possano essere stati servizievoli col potere esecutivo e – anche a volere ritenere, contro l’evidenza, che non siano intervenuti (ma è difficile ritenerlo visto che “già si erano posti il problema“) – comunque non abbiano preso le distanze da un simile comportamento; non abbiano accertato come e perché sia stata adottata dalla psicologa l’iniziativa di promuovere una scarcerazione; non abbiano riferito formalmente all’autorità giudiziaria dell’interessamento ricevuto da parte del Ministro, così venendo meno alla funzione di garanzia e di pari trattamento di tutti i detenuti, tradendo i loro colleghi che lavorano negli uffici giudiziari, e gettando ombre sulle carriere e sulle attività svolte da magistrati all’ombra dell’esecutivo. Di fronte ad un’indagine ancora in corso, gli elementi a disposizione della magistratura richiedono un chiarimento su quanto sia davvero accaduto, e il solo sospetto che un Ministro della Giustizia possa aver ricevuto ed esercitato pressioni, è un’ombra di cui un membro delle istituzioni non si può vestire. D’altra parte siamo memori di un caso, avvenuto nella scorsa legislatura, e riguardante un Presidente del Consiglio dei Ministri e la Questura di Milano che può sembrare molto simile alla situazione in questione.
Un Ministro della Giustizia che si sia lasciato condizionare nel suo operato dai suoi rapporti personali con la famiglia Ligresti – e dai rapporti economici poco chiari del figlio – agendo, oltretutto, con una marcata disparità di trattamento verso gli altri detenuti “non eccellenti”, ed utilizzando i magistrati che operano all’interno del ministero, è un’ombra indelebile sulla sua figura istituzionale da un punto di vista etico, morale e politico. Per tutti questi motivi esposti in premessa, visti gli articoli 94 della Costituzione e 115 del Regolamento della Camera dei deputati; esprime sfiducia al Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri e lo impegna a rassegnare le dimissioni.”