domenica 26 febbraio 2012

PRETE ARRESTATO PER MOLESTIE




Un altro sacerdote, in Liguria, è stato arrestato per abusi sessuali. Questa volta si tratta di don Fabio Bonifazio, un giovane prete di 32  anni,  vice parroco ad Imperia, che ha preferito non parlare avvalendosi della legge. Probabilmente era sotto choc per il fermo dei Carabinieri  e la traduzione in carcere. La sua vittima è una ragazza di 19 anni che sarebbe stata aggredita sul lungomare di Loano dopo un lungo pedinamento culminato con dei palpeggiamenti. Ora è stato scarcerato con il divieto di avvicinarsi alla ragazza. 
 In Italia ci sono 38 mila sacerdoti e pochi sui  media  parlano del loro impegno nella Charitas, nella scuola, negli Ospedali e Case di Riposo, nelle carceri, nelle parrocchie, ecc. Si potrebbe dire che il bene c'è, ma non fa notizia. Ciò che fa notizia, purtroppo, sono gli abusi sessuali, la pedofilia e il comportamento inqualificabile di pochi preti indegni. Papa Benedetto XVI, sin dall'inizio del suo pontificato, ha cercato di fare pulizia negli Usa, in Irlanda e in Australia. Ha rimosso Vescovi e  ha allontanato preti dalle parrocchie. Tuttavia le mele marce ci sono sempre. Il Diritto Canonico, però, prevede nei loro confronti sanzioni molto dure che raramente vengono applicate dai Vescovi diocesani e residenziali: per esempio la sospensione a divinis e, infine, la riduzione allo stato laicale. Se il Vescovo, una volta a conoscenza di nefandezze, adottasse i necessari e opportuni provvedimenti probabilmente non assisteremmo alla reiterazione di reati da parte di sacerdoti indegni.
L'elenco purtroppo è lunghissimo. Ci sono preti responsabili di crimini contro i giovanissimi; altri contro le donne; altri ancora che fanno uso di droghe. Spesso vengono trasferiti da una parrocchia all'altra, come se il trasferimento impedisse loro di  svolgere nuovamenti  dei reati.
I sacerdoti sono stati in seminario per alcuni anni ed è auspicabile che coloro che non sono adatti o hanno dei problemi non vengano ordinati nonostante la crisi delle vocazioni. La Chiesa ha bisogno di tutto fuorchè di ministri di Dio che offendono, deturpano e macchiano la Chiesa, Sposa di Cristo e "santa e immacolata senza macchia nè ruga" (San Paolo). Noi vogliamo dei sacerdoti che siano dei veri "alter Christus", delle guide morali per le Comunità, delle persone autorevoli e rappresentative. Non è possibile che a guidare le parrocchie siano persone che diano scandalo alle persone semplici e pure. Che disorientano il gregge e creano sconcerto.
Benedetto XVI, nel suo pontificato, ha fatto più di tutti i Suoi Predecessori per la pulizia morale. Ora si tratta di attuare le sue direttive, il Codice di Dirito Canonico e auspicare vivamente che i 250 Vescovi italiani adottino provvedimenti esemplari di fronte a reati gravi. I cattolici vedono nel prete un uomo di fede, di spiritualità, di preghiera. Mentre troppo spesso vediamo preti che pensano al denaro, al potere, al successo e alla carriera. Senza contare i preti che privilegiano l'avere e non già l'essere. E a quelli che pensano all'edonismo. I preti non devono conformarsi al mondo dice il Vangelo, ma quante volte accade di assistere a questo conformismo dilangante. E allora a costoro  il Sacramento dell'Ordine non gli deve essere conferito. Essi sono consapevoli che fanno il voto di castità e che lo devono osservare rigorosamente. Cosi come  quello della povertà e quello dell'obbedienza verso i Superiori. Nessuno li obbliga a diventare sacerdoti!
In conclusione, la società postmoderna e nichilista, rischia di travolgere anche qualche sacerdote come leggiamo sulla cronaca, ma il futuro della Chiesa è nei Sacerdoti che amano la loro comunità e si spendono totalmente  per essa. Che non considerano la Chiesa una bottega da aprire alle sette di mattina e chiudere alle 19, ma un luogo dove si celebra la Messa domenicale e i Sacramenti. Che dialogano con i fedeli, che siano d'esempio per tutti e che al centro del loro ministero sacerdotale ci sia Gesù Cristo Crocifisso e Risorto.

Alberto Giannino

lunedì 20 febbraio 2012

Sant'Antonio da Padova

Antonio è uno dei santi più amati e venerati nel mondo. La sua vasta dottrina, condensata nei «Sermones», che fa di lui uno dei maestri del suo tempo, è offuscata dalla fama di operatore di "miracoli". Per tutti è semplicemente il "Santo". Gli ammiratori gli hanno dedicato a Padova, alcuni anni dopo la sua morte, una stupenda basilica definita da Paolo VI "clinica spirituale", per i prodigi interiori che di continuo lì si compiono e dichiarata da Giovanni Paolo II, nel giugno del 1997 "santuario internazionale". Fernando di Martino, il futuro S. Antonio, nacque a Lisbona  in Portogallo nel 1196. Antonio era figlio di Martino, nobile che la tradizione vuole della famiglia dei Bulhoes y Taveira de Azevedo - da noi chiamati più semplicemente i Buglioni - che annoverava tra i suoi membri il prode Goffredo, condottiero della prima crociata.
Quindicenne, Fernando (con tale nome era stato battezzato) entrò fra i canonici regolari di sant'Agostino, a Lisbona prima e poi a Coimbra. Di intelligenza acuta e brillante, in pochi anni riuscì a immagazzinare tanta cultura teologica, scientifica e soprattutto biblica da meritarsi in seguito il titolo di "Arca del testamento". Gli studi non riuscirono però ad appagare le aspirazioni del suo animo generoso. Erano tempi di crociate in difesa della fede e ogni rampollo di nobile famiglia sognava di porre la propria spada e il proprio coraggio al servizio dei valori cristiani.
Ma Fernando, formatosi intellettualmente nella scuola della Cattedrale di Lisbona, alla violenza della spada preferì la forza della preghiera e della Verità. Nel 1210, infatti, entrò in un monastero agostiniano nelle vicinanze di Lisbona. Nella primavera del 1220 venne ordinato sacerdote, era già un uomo maturo, pronto ad intraprendere le vie della perfezione evangelica; pochi mesi dopo indossò l'abito francescano con il nome di Antonio. Antonio era figlio di Martino, nobile che la tradizione vuole della famiglia dei Bulhoes y Taveira de Azevedo - da noi chiamati più semplicemente i Buglioni - che annoverava tra i suoi membri il prode Goffredo, condottiero della prima crociata.
Gli studi non riuscirono però ad appagare le aspirazioni del suo animo generoso. Il giovane canonico trova la sua strada il giorno in cui a Lisbona approdarono le salme, di cinque frati francescani martirizzati nel Marocco. Decise allora di seguirne le orme entrando tra i francescani di Coimbra con il nome di frate Antonio. Partito per il Marocco, come missionario, vi rimase pochi mesi a causa di misteriose febbri che lo costrinsero a ritornare, ma durante il viaggio di ritorno una violenta tempesta lo fece naufragare sulla costa della Sicilia (aprile 1221).  Dalla Sicilia, insieme ad alcuni confratelli,  risalì quindi l'Italia, in compagnia di altri frati, diretti ad Assisi dove si svolgeva il Capitolo generale poi detto "delle stuoie". Era il 1221. Nella cittadina umbra Antonio conobbe Francesco, il quale qualche tempo più avanti, ammirato dalla sua profonda dottrina, lo chiamerà "mio vescovo".
Ad Assisi il frate portoghese venne destinato al convento-romitorio di Montepaolo, vicino a Forlì, dove rimase per qualche tempo alternando preghiere, lavoro e studio. Una predica improvvisata, in occasione di un'ordinazione sacerdotale (era venuto a mancare il predicatore ufficiale), impose all'attenzione di tutti la profonda cultura, la capacità oratoria, e la ricchezza interiore di frate Antonio. Lassù soggiornò fino al settembre del 1222, celebrando la Messa con i confratelli che avevano deciso, come lui, di vivere un periodo di "deserto" nella silenziosa quiete della montagna per vivere solo con Dio in rigore di penitenza ed intensa preghiera. I confratelli si resero subito conto delle capacità di frate Antonio per la sua profonda cultura biblica e lo invitarono a predicare tra la gente; da quel momento in poi frate Antonio divenne predicatore itinerante quotidiano. Durante la sua missione di predicatore, frate Antonio era invocato come potente intercessore presso Dio, il quale gli concede di operare tanti prodigi e miracoli. Qualche tempo dopo frate Antonio ebbe il grande conforto della visione di Gesù che gli apparve nelle sembianze di un fanciullo. Per più di un anno Antonio si dedica alla contemplazione e alla penitenza occupandosi delle mansioni più umili e aiutando i fratelli, poi un giorno si reca, con i confratelli, nella Chiesa di San Mercuriale per assistere all’ordinazione di nuovi sacerdoti, dove ha occasione di pregare alla presenza di una vasta platea composta anche da notabili. L’impressione provocata dalla sua spontanea eloquenza fu tale che fu nominato predicatore, insegnando talvolta anche a Francesco il quale gli raccomandò di non perdere lo spirito della preghiera e della devozione. La sua predicazione ebbe inizio in Romagna, prosegui poi nell’Italia Settentrionale, per combattere l’eresia Catara in Italia e Albigese in Francia, dove giungerà nel 1225.
Antonio era fermamente convinto che per contrastare gli eretici che disponevano di abili predicatori, fosse necessaria una preparazione teologica, per i frati minori e dopo molte insistenze Francesco gli consentì di fondare nel 1223 la prima scuola teologica francescana a Bologna, presso il convento di Santa Maria della Pugliola.
La fama dell’eloquenza di Antonio e dei miracoli che accompagnavano la predicazione convinse papa Onorio a inviare Antonio in Francia per contrastare gli eretici catari, e Antonio rimase in quella terra per oltre due anni tra il 1225 e il 1227 predicando in Provenza, Linguadoca e Guascogna. Il padre provinciale di Provenza lo nominò dapprima guardiano del convento di Le Puy e poi superiore dei conventi del Limousin.
La notizia del trapasso di Francesco e del Capitolo generale indetto da frate Elia, costrinse Antonio a rientrare in Italia, e raggiunse la destinazione alla fine di Maggio dell’anno 1227. Il nuovo maestro generale dell’Ordine fra Giovanni Parenti nomina Antonio ministro Provinciale dell’Italia Settentrionale. A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell'ordine per l'Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serve un sacerdote che dica la messa per i sei frati residenti nell'eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto. Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personalele mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all'ordinazione di nuovi sacerdoti dell'ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili. Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione. Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell'Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l'eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest'ultima data pone le basi della scuolateologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell'Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell'Italia settentrionale. Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz'ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo averceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati. Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l'umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l'orgoglio e la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui è acerrimo nemico.
E' studioso della persona di Maria madre di Gesù e madre di Dio,  mariologo, convinto assertore dell'assunzione della Vergine
. Nel periodo successivo Antonio apre nuove case e visita i conventi per conoscere i frati e controllare le Clarisse e il Terz’ordine. A Firenze fissa la residenza a Padova scrivendo in due mesi i Sermoni domenicali e successivamente i Sermoni per le feste dei Santi, privilegiando i temi della fede, della morale e della virtù. L’amore di Dio e la pietà verso i poveri. La preghiera, l’umiltà e la mortificazione, scagliandosi contro orgoglio, avarizia, lussuria e usura. Nel 1228, su richiesta di Papa Gregorio IX, tiene le prediche della settimana di Quaresima e viene definito “Arca del Testamento”. In tale occasione si racconta che la folla cosmopolita lo sentisse predicare con la lingua di origine di ciascuno di loro. Dal 1228 al 1231 viaggia ininterrottamente nonostante le condizioni di salute precarie. Lasciato l'eremo di Montepaolo, il frate era già sulle strade polverose dell'Italia settentrionale e della Francia, missionario itinerante e predicatore, ad annunciare il messaggio evangelico e francescano, contro le labili costruzioni degli eretici che avevano infestato quelle regioni. Nella eretica Rimini, che rifiutava di ascoltare la Parola di Dio, egli andò a predicare ai pesci che lo accolsero sulla riva. In altre città eccolo sfidare gli eretici inducendo una mula, tenuta a digiuno per giorni, ad inginocchiarsi di fronte all'ostia consacrata, mentre alle sue froge giungeva invitante il profumo d'un bel mucchio di biada.
Tornato in Italia, si stabilì a Padova, dove proseguì la sua attività di Predicatore.
Celebre un suo quaresimale, tenuto a Padova alcuni mesi prima di morire, e un coraggioso quanto sfortunato incontro con il feroce tiranno Ezzelino da Romano, dal quale era andato a perorare la liberazione di alcuni prigionieri tenuti barbaramente segregati nelle celle del suo palazzo. Si ritira a Camposampiero vicino Padova per riposarsi, in una piccola stanza nell’Eremo regalato ai frati dal Conte Tiso immerso nella quiete della campagna, per riposarsi. A Camposampiero, Antonio si era fatto costruire dall'amico conte tra i rami fronzuti di un noce una piccola cella, dove si ritirava a pregare. Ma quella solitudine fu infranta dagli ammiratori che, scoperto il nascondiglio segreto, si recavano in massa a chiedergli il conforto della parola.
INella tarda primavera del 1231, Antonio fu colto da malore. Poco prima di morire chiese di essere riportato a Padova nella chiesetta di S. Maria Mater Domini, che gli era tanto cara. Morì alle porte della città il 13 giugno 1231. il 1 Deposto su un carro trainato da buoi, venne trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire. Giunto però all'Arcella, un borgo della periferia della città, la morte lo colse. Spirò mormorando: "Vedo il mio Signore". Era il 13 giugno. Aveva 36 anni. L’arca di marmo nella quale fu deposto divenne immediatamente meta di continui pellegrinaggi che non si sono mai arrestati fino ad oggi, e in occasione dei quale si sono verificati molti miracoli. Acclamato santo a furor di popolo ad appena un mese dal trapasso, Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni. Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all'Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. Poiché un marito accusava la moglie di adulterio, fece parlare il neonato "frutto del peccato" secondo l'uomo per testimoniare l'innocenza della donna. I suoi miracoli in vita e dopo la morte hanno ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello. Antonio fu canonizzato nella cattedrale di Spoleto il giorno della Pentecoste del 1232 in presenza di papa Gregorio IX.
San Bonaventura da Bagnoregio, durante la traslazione del corpo avvenuta 32 anni dopo la morte di Antonio, trova la lingua del Santo incorrotta. La Reliquia si trova ora nella Cappella del Tesoro nella Basilica di Padova di cui Antonio è patrono. Pio XII, nel 1946 proclama sant’Antonio dottore della Chiesa, e gli conferisce il titolo di doctor evangelicus, per la sua ferma e costante adesione al Vangelo.

domenica 19 febbraio 2012

ORA DI RELIGIONE A MILANO

A Milano, nelle Scuole Superiori, su 10 studenti, 6 non fanno religione a scuola. E' un dato grave e preoccupante su cui bisogna fare una riflessione pacata e serena sulle cause di questo fenomeno. Il  20 febbraio scade il termine per iscriversi all'ora di religione e allora diciamo subito qual'è il programma che viene svolto dai docenti di questa disciplina. Nel biennio si parla in maniera esauriente ed esaustiva degli interrogativi che riguardano il senso della vita (chi sono io, da dove vengo, dove vado, per chi vivo? cosa ci sarà dopo?). La Bibbia, il libro che ha permeato la cultura occidentale, sarà oggetto di studio in particolare quei Libri che sono sempre di attualità. L'Antico Testamento che ha 39 Libri in comune con i "nostri fratelli maggiori nella fede", gli Ebrei, sarà al centro della didattica. A questo riguardo sarà approfondito bene l'Ebraismo. Mentre, il Nuovo Testamento che ci parla del mistero, della nascita, della vita, del messaggio, della morte e risurrezione di Gesù di Nazaret, sarà svolto in maniera adeguata nella classe seconda.
Nel triennio si parlerà della Chiesa (luci e ombre), delle Chiese, della Storia della Chiesa, del rapporto con Dio, del confronto con altre confessioni religiose (la nostra è una società multietnica, multicurale e multireligiosa) e altri sistemi di significato, della Dottrina della Chiesa, e dei documenti del Magistero. Non ci sarà posto, in questo insegnamento, per i temi di attualità (sesso, droga, musica rock) che, talvolta, qualcuno tratta per accattivarsi le simpatie degli studenti. A questo riguardo, occorre ricordare che gli studenti e le famiglie, all'atto dell'iscrizione, hanno detto SI ad un insegnamento di religione cattolica, e non già all'attualità. Il docente di religione, infatti, è un professionista della cultura religiosa e non un tuttologo. Da lui ci si attende una lezione di alto profilo culturale con tutti i sussidi didattici.
I nostri studenti (tranne poche e lodevoli eccezioni) sono poveri culturalmente nonostante lo Stato offra questa opportunità culturale e formativa e non conoscono la cultura religiosa come, per esempio, i loro coetanei del Nord Europa e degli Usa.
Il contesto culturale nel quale vivono i nostri studenti è quello della società postmoderna in cui illuminismo, idealismo e il marxismo sono superati ma siamo e restiamo nella modernità (Lyotard, Giddens, ecc.).  A ciò bisogna aggiungere il nichilismo (negazione dei valori umani e religiosi)."Il nichilismo. Non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgarsi di quest'ospite e guardarlo bene in faccia".(M. Heidegger) Questo contesto culturale non aiuta i nostri studenti i quali spesso si riconoscono nel consumismo, edonismo, e materialismo: tutti valori contrapposti a quelli spirituali. Credono più all'avere che all'essere (E.Fromm).  Non si accostano ai Sacramenti da anni, non frequentano la Messa domenicale, non pregano più. L'ora di religione non fa proselitismo come molti sono indotti a pensare, ma vuole aiutare gli studenti ad acquisire una vera cultura religiosa nel Terzo millennio.

Alberto Giannino

CELENTANO AI CATTOLICI: PARLATE DI DIO E DELL'ALDILA' !

Non  si capisce razionalmente  questa bufera su Celentano, il quale ha reiterato l'invito ai giornali cattolici, Avvenire  e Famiglia Cristiana, di parlare di Dio, dell'anima e dell'aldilà. Le questioni di fede, contrariamente a quanto pensano i direttori delle due testate, interessano molto  i cattolici praticanti e, il fatto di non averle trattate adeguatamente, ha creato una generazione di ignoranti che non conoscono la Bibbia, Gesù Cristo la sua  vita, il suo mistero e il suo messaggio, la Chiesa, le Chiese,  le altre religioni, la dottrina sociale della Chiesa, e il suo Magistero. Celentano ha  sbagliato usando toni eccessivi, ma nella sostanza tutti condiviamo il suo invito a cambiare. Chiudere le due testate è certamente esagerato e impensabile, ma non si può parlare solo di attualità e politica pensando di catturare nuovi lettori per superare la crisi, aumentare la tiratura, e le copie nelle edicole. I due giornali sono cattolici e devono dire qualcosa di cattolico senza fare necessariamente del proselitismo, ma dando una informazione  religiosa. Infine, insultare il cantante con l'epiteto di ignorante, è segno di mancanza di carità  verso il prossimo. Il che, per dei cattolici, non è certo un segno di tolleranza e di rispetto.

Alberto Giannino

lunedì 13 febbraio 2012

IL CATONE DE IL GIORNALE E I MORTI PER FREDDO

In tutta Italia, i senza fissa dimora, sono 17 mila: 5 mila  a Milano ( nel 2008-09  ne sono deceduti per freddo ben nove), senza che l'assessore ai servizi sociali Mariolina Moioli  sentisse il bisogno  di dimettersi  dal proprio incarico. Nel febbraio 2012, il Giornale di Feltri e Sallusti, attraverso un articolo di Luca Doninelli, si domanda  come mai dopo la morte di un clochard a Milano io non chieda le dimissioni dell'attuale assessore ai servizi sociali Pierfrancesco Majorino esponente del Pd. Quasi volesse rimproverarmi di avere chiesto le dimissioni di una esponente del centro destra e non quelle di un esponente del PD. Semplicemente perchè Majorino sta facendo bene e ha un progetto politico. Invece, la Moioli, fece molto poco all'epoca. Si, distribui' i viveri e le coperte, attivo' la Croce rossa provinciale e allesti' due tendoni riscaldati, e i dormitori pubblici contenevano 1.000 clochard.E attivo' solo  8 ambulanze  (con medico) che dovevano girare le 9 zone della città. La Moioli gestiva però moltissime risorse economiche ( 1/3 del bilancio comunale) , ma per i clochard fece poco anche se il suo amico Doninelli mi accusa di ipocrisia e di aver pontificato. Come disse il Cardinale Tettamanzi Moioli  poteva fare "di più".  Viceversa, Majorino, ha aumentato i posti letto che sono attualmente 2.000; ha aperto la metropolitana di notte; ha attivato due numeri verdi per i cittadini che possono segnalare casi di grave criticità. In sostanza Majorino si è ispirato alla cultura europea e, nonostante temperature gelide e neve abbondante,  è riuscito a contenere il fenomeno. Il giornalista Doninelli quando morirono i clochard nella Giunta Moratti non scrisse un rigo. Mai e dico mai.  Ora, per demolire il sottoscritto, che attaccò senza sconti  l'assessore Moioli, Doninelli  addirittura dedica una pagina intera del Giornale. Dov'era nel 2008 e nel 2009 Doninelli? Perchè nei cinque anni dui Giunta Moratti Doninelli non scrisse un rigo sui clochard che morivano per freddo? E perchè solo ora che è cambiata la Giunta, Doninelli si accorge dei senza tetto?  I morti per me - sia ben chiaro - non sono nè di destra nè di sinistra. Il fatto che Doninelli mi incoraggi a chiedere (evidentemente mi conosce poco) le dimissioni di Majorino solo perchè del Pd la dice lunga sulla sua ignoranza anche sulle questioni religiose e politiche. Che cos'è la cultura dell'accoglienza e della solidarietà per Doninelli? Credo debba andare a rileggersi la Parabola del Buon Samaritano per capirlo bene.  Le dimissioni, in generale, vanno chieste solo per manifesta incapacità e nel caso di Majorino non possiamo parlare di incapacità. Nelle urne  i milanesi nel maggio 2010 mi dato dato ragione bocciando la Moioli e la Moratti senza appello. Alla Moratti mancarono ben 90 mila voti. Certo, non sono voti che controllo, ma i milanesi hanno condiviso con me moltissime critiche e battaglie contro la  Moratti e la  Moioli in 5 anni con  articoli durissimi (di cui non sono pentito) sul quotidiano on line  IMG Press. Doninelli non può darmi lezioni perchè solo oggi si accorge dei senza fissa dimora (il sottoscritto ha scritto invece in anni non sospetti Le nuove povertà ndr) e prestare la sua penna a una signora decaduta politicamente è segno di servilismo. Io sono fiero di avere difeso quei morti. L'ho fatto e lo rifarei. Anzi propongo al Sindaco Pisapia un Ambrogino d'oro alla memoria per questi nove morti vittime dell'indifferenza. A Doninelli che non è sincero nel suo articolo lo invito ad andare in giro per  Milano con la Moioli a fare un vero volontariato aiutando i piùdeboli e i senza casa, e non già a fare polemiche sterili e artificiose.
Passiamo ora ad analizzare il fenomeno dei senza tetto. Oggi tra i clochard aumenta l’età degli italiani, che si attesta intorno ai 44 anni. Invece secondo i dati nazionali il 50% degli homeless italiani dichiara di vivere per strada da più di 4 anni e il 18,7% provengono da situazioni di disgregazione familiare. Oltre il 20% degli senza fissa dimora sono alcolisti, il 15% tossicodipendenti e un altro 15% ha problemi psichici.
Tra costoro vi sono, ovviamente, vagabondi, immigrati ma anche nuove realtà, come quelle delle famiglie penalizzate dalla crisi economica o, semplicemente, disorientate da un divorzio. Negli ultimi anni, con i repentini cambiamenti della società, sono mutate anche le forme di povertà. Gli studiosi ed i giornalisti che seguono più da vicino questi aspetti sociali emergenti hanno anche coniato un sillogismo che li descrive definendoli nuove povertà. In realtà, più che nuove forme di disagio, le povertà sono oggi aspetti di un problema più ampio, quello dell’esclusione sociale.
È meglio impiegare questo termine anziché parlare di nuove povertà, per non dare l’impressione che le vecchie povertà, quelle basate sulla mancanza di reddito, sulla precarietà e l’indigenza, siano scomparse: non è così, non sono sparite affatto, sono sempre tra noi ed hanno sempre le stesse espressioni di un tempo. Tuttavia, la povertà è cambiata nel senso che oggi il rischio di cadere in povertà non è più un qualcosa che proviene dall’esterno, dalle epidemie, dalle carestie, dalle calamità naturali o da un destino iscritto sin dalla nascita nella vita delle persone.
Oggi, questo rischio proviene soprattutto dall’interno; è un rischio autoprodotto, che viene dalla società stessa, dal funzionamento del sistema economico. Sono aumentate le disuguaglianze di reddito, sono cresciuti i lavori precari, sono diminuiti tutti quegli ammortizzatori sociali che mettevano un freno alle degenerazioni sociali, soprattutto però è andata sempre più perdendo il suo ruolo di “protezione e crescita sociale” la famiglia.
Ma chi sono i nuovi poveri? L’esclusione da alcuni servizi sanitari è certamente una forma di povertà, come lo è la solitudine degli anziani che vivono abbandonati nelle proprie case e come lo sono tutte quelle “devianze” che avvengono in famiglie cosiddette normali: disgregamento degli affetti, abbandono scolastico dei figli, le difficoltà di integrazione e convivenza con altre culture, la microusura, l’alcolismo e le altre dipendenze.
Povertà sono anche quelle dei malati di Aids che grazie alle nuove cure hanno allungato la propria speranza di vita, al momento però solo per rimanere emarginati più a lungo. Povertà è anche un sistema carcerario che non riesce a costruire un futuro per i detenuti, e che quando li “rilascia” l’unica cosa che dona loro è un sacco nero per l’immondizia dove mettere i vestiti. Tutte forme di disagio che spesso rimangono nascoste tra le quattro mura, a cui non si pensa perché impegnati nei nostri stili di vita e nella scala di valori che ci siamo dati. Questi mutamenti richiamano noi cristiani a riflettere sul termine di carità. In particolare a soffermarci sul suo significato.
L’impegno della Chiesa in questi anni, secondo l’ex Direttore della Caritas di Roma, mons. Di Tora, è stato anzitutto rivolto a purificare il significato di carità, invitando la comunità a viverlo come basilare valore del cristianesimo e come quotidianità nella vita dei credenti. Dire carità vuol dire Dio e Dio, sappiamo che, nella concezione cristiana, è comunità di persone uguali e distinte: uguali nella distinzione.
Ancora oggi invece, nelle comunità cristiane, la carità è interpretata in termini di assistenza, devitalizzando l’originario significato che riveste e che costituirebbe un fondamentale lievito per quanti si impegnano per la giustizia e per l’uguaglianza.
Il concetto di carità, in particolare nella sua accezione che richiama ad uno stile di vita solidale, rappresenta certamente un grande valore della storia del cristianesimo ma, soprattutto, costituisce per il futuro il fondamento della società chiamata a confrontarsi con i problemi legati alle diversità. Ecco allora l’impegno a cui sono chiamati tutti i cristiani e per cui le Confraternite, organizzazioni che nella storia della Chiesa sono tradizione di carità, devono essere guida ed esempio: affrontare il problema della diversità – diversità di ogni genere, a livello sociale, economico, culturale, religioso, razziale – considerandole come occasione di solidarietà e condivisione.
Sono molti gli ambiti in cui concretamente si può intervenire. Organizzazioni radicate nel territorio, a volte in singoli quartieri delle città, come molte Confraternite, hanno la possibilità di sviluppare quelle forme di volontariato “porta a porta”. Gli anziani soli, l’assistenza domiciliare ai malati che non possono spostarsi dall’abitazione (malati oncologici, malati terminali di Aids), il sostegno ai familiari di persone disabili, malate psichiche. Altri ambiti di intervento possono essere le forme di sostegno alle famiglie.
Opere di sostegno ai nuclei in difficoltà economiche, di rapporti, di alloggio, per aiutare a preservare la Famiglia, istituzione della società. Tutte situazioni in cui, oltre ad una formazione specifica al volontariato, occorre – secondo mons. Di Tora – la capacità evangelica di saper discernere i bisogni dei più poveri alla luce di quella che Giovanni Paolo II chiamava nella Novo Millennio Ineunte la “fantasia della carità”.
Il compito primario degli organismi che lavorano nel sociale però, è molto più ampio della pura e semplice risposta diretta alle povertà con aiuti materiali. Siamo chiamati infatti ad educare alla carità. Come cristiani inoltre siamo chiamati a spronare la comunità ad un salto epocale: il passaggio dalla carità fatta con animo superficiale ad una carità solidale, che coinvolga in prima persona le persone e le istituzioni, che oltre ad aiuto materiale sia anche condivisione.
“Nella preghiera eucaristica – diceva il Vescovo di Molfetta mons. Tonino Bello (morto nel 1993) – ricorre una frase che sembra mettere in crisi certi moduli di linguaggio entrati ormai nell’uso corrente, come ad esempio l’espressione “nuove povertà”. La frase è questa: “Signore, donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli…”.
Essa ci suggerisce tre cose diceva mons. Bello. Anzitutto che, a fare problema, più che le “nuove povertà”, sono gli “occhi nuovi” che ci mancano. Molte povertà sono “provocate” proprio da questa carestia di occhi nuovi che sappiano vedere. Gli occhi che abbiamo sono troppo antichi. Fuori uso. Sofferenti di cataratte. Appesantiti dalle Diottrie. Resi strabici dall’egoismo. Fatti miopi dal tornaconto. Si sono ormai abituati a scorrere indifferenti sui problemi della gente. Sono avvezzi a catturare più che a donare. Sono troppo lusingati da ciò che “rende” in termini di produttività.
Sono così vittime di quel male oscuro dell’accaparramento, che selezionano ogni cosa sulla base dell’interesse personale. A stringere, ci accorgiamo che la colpa di tante nuove povertà sono questi occhi vecchi che ci portiamo addosso. Di qui, la necessità – secondo mons. Tonino Bello – di implorare “occhi nuovi”.
Se il Signore ci favorirà questo trapianto, il malinconico elenco delle povertà si decurterà all’improvviso, e ci accorgeremo che, a rimanere in lista d’attesa, saranno quasi solo le povertà di sempre. Ed ecco la seconda cosa che ci viene suggerita dalla preghiera della Messa diceva don Tonino. Oltre alle miserie nuove “provocate” dagli occhi antichi, ce ne sono delle altre che dagli occhi sono “tollerate”.
Miserie, cioè, che è arduo sconfiggere alla radice, ma che sono egualmente imputabili al nostro egoismo, se non ci si adopera perché vengano almeno tamponate lungo il loro percorso degenerativo. Sono nuove anch’esse, nel senso che oggi i mezzi di comunicazione ce le sbattono in prima pagina con una immediatezza crudele che prima non si sospettava neppure. Basterà pensare alle vittime dei cataclismi della storia e della geografia.
Ai popoli che abitano in zone colpite sistematicamente dalla siccità. Agli scampati da quelle bibliche maledizioni della terra che ogni tanto si rivolta contro l’uomo. Alle turbe dei bambini denutriti. Ai cortei di gente mutilata per mancanza di medicine e di assistenza. Anche per queste povertà ci vogliono occhi nuovi.
Che non spingano, cioè, la mano a voltar pagina o a cambiare canale, quando lo spettacolo inquietante di certe situazioni viene a rovinare il sonno o a disturbare la digestione. E, infine, concludeva don Tonino, ci sono le nuove povertà che dai nostri occhi, pur lucidi di pianto, per pigrizia o per paura vengono “rimosse”. Ci provocano a nobili sentimenti di commossa solidarietà, ma nella allucinante ed iniqua matrice che le partorisce non sappiamo ancora penetrare.
La preghiera della Messa sembra pertanto voler implorare: “Donaci, Signore, occhi nuovi per vedere le cause ultime delle sofferenze di tanti nostri fratelli, perché possiamo esser capaci di “aggredirle”. Si tratta di quelle nuove povertà che sono frutto di combinazioni incrociate tra le leggi perverse del mercato, gli impianti idolatrici di certe rivoluzioni tecnologiche, e l’olocausto dei valori ambientali, sull’altare sacrilego della produzione. Ecco allora la folla dei nuovi poveri, dagli accenti casalinghi e planetari. Sono, da una parte, i terzomondiali estromessi dalla loro terra.
I popoli della fame uccisi dai detentori dell’opulenza. Le tribù decimate dai calcoli economici delle superpotenze. Le genti angariate dal debito estero. Ma sono anche i fratelli destinati a rimanere per sempre privi dell’essenziale: la salute, la casa, il lavoro, la partecipazione. Sono i pensionati con redditi bassissimi.
Sono i lavoratori che, pur ammazzandosi di fatica, sono condannati a vivere sott’acqua e a non emergere mai a livelli di dignità. Di fronte a questa gente non basta più commuoversi. Non basta medicare le ustioni a chi ha gli abiti in fiamme. I soli sentimenti assistenziali potrebbero perfino ritardare la soluzione del problema.
Occorre chiedere “occhi nuovi”. “Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli. Occhi nuovi, Signore. Non cataloghi esaustivi di miserie, per così dire, alla moda. Perché, fino a quando aggiorneremo i prontuari allestiti dalle nostre superficiali esuberanze elemosiniere e non aggiorneremo gli occhi, si troveranno sempre pretestuosi motivi per dare assoluzioni sommarie alla nostra imperdonabile inerzia. Donaci occhi nuovi, Signore”.
A 17 anni di distanza dalla sua morte vogliamo ricordare cosi, mons. Tonino Bello, vescovo degli ultimi e dei sofferenti con la sua preghiera originale e speciale che, ancora oggi, ci deve far riflettere seriamente sul problema dei senza fissa dimora.
 
Alberto Giannino

giovedì 2 febbraio 2012

VOGHERA E LA SUA POLITICA CULTURALE DATATA E PASSATISTA

Voghera, 40 mila abitanti, di cui oltre 4.400 stranieri, è il centro principale dell'Oltrepò Pavese e rappresenta un importante nodo ferroviario e stradario ed un rinomato centro vinicolo e industriale. Sorge sulle rive del torrente Staffora, al suo affacciarsi al piano dopo aver solcato l'Appennino con una lunga valle. Qui, i malviventi,  non vanno mai in ferie,  nonostante esistano il Supercarcere e la Casa Circondariale.  Sono alcuni giorni che assistiamo ad una serie impressionante di scippi e di rapine, senza contare ladri che si indroducono di notte negli appartamenti, mentre qualche zingaro, di giorno,  nei palazzi incustoditi. Anche se la neve abbondante di questi giorni e il gelo polare li ha temporaneamente bloccati.  Insomma, i malviventi prendono di mira le persone anziane, quelle più deboli, ed indifese. Anche il cimitero della nostra città, dove riposano i nostri cari,  è stato preso di mira come gli altri cimiteri della zona per il furto di rame.  Poi ci sono i soliti romeni del week end che al lunedi vanno in trasferta nelle città adiacenti a Voghera per tutta la settimana  per rubare nei supermercati. Una volta fatta incetta della roba rubata ritornano a Cornale(vicino a Voghera)   il venerdi e con la macchina vanno in Romania a vendere il tutto. Una signora benestante a questo riguardo mi ha confidato che la sua ex  badante le ha rubato oro e gioiellli per 400 mila euro che non rivedrà mai più perchè  probabilmente sono stati messi sul mercato.
La recessione economica ha portato molte persone a rubare nei grandi magazzini e a chiudere molte fabbriche, negozi commerciali,e  bar. Molti di questi esercizi sono acquistati da cinesi pieni di soldi e che pagano cash. Già diversi negozi sono stati rilevati dai cinesi: ristoranti, parrucchieri da donna,  bar e negozi di abbigliamento. Dove li prendono i soldi ? La Cina sta vivendo un miracolo economico con Russia, India, e Brasile per cui è normale che facciano business. Ma non dimentichiamoci mai della grande mafia cinese che presta i soldi a questi  loro referenti  e poi esige interessi enormi. I muslmani si dedicano ai centri Internet (due sono gestiti da pakistani e uno da una marocchino) e si dedicano alla gestione di Kebab e pizze  (2 i proprietri turchi).  Che facciano del proselitismo? Non lo sappiamo ma certo che l'avanzare dell'Islam non si puo' non notare.
Adesso parliamo di  quelle persone  che rubano generi alimentari per bisogno, e non  quelli che rubano profumi e liquori e abiti griffati di valore. E, probabilmente,  alcuni senza casa e senza soldi rubano. Vogliono tutto e subito. Non gli interessa se gli offri una sigaretta o due euro: li rifiutano. Quando li indirizzi alla Charitas ti rispondono: "La Charitas no, lì il mangiare fa schifo". E ancora: "é meglio andare mangiare alla mensa della signora Maria alla Chiesa del Crocifisso il mercoledi e il sabato sera". Poi,  molti di questi giovani, acquistano birre al Gulliver o al centro Internet di piazza  San Bovo. A volte eccedono e si ubriacano ed è meglio evitarli. Durante il giorno scelgono tre posti per passare il tempo: piazza Meardi, piazza San Bovo e i giardini della Stazione Ferroviaria. Si buttano li e aspettano che arrivi sera o qualcuno che li rimorchi e se li porti a casa approfittando del loro stato di indigenza e  dei loro bisogni primari. I minorenni nomadi, ormai diventati maggiorenni, prima frequentavano lo squallido mondo della prostituzione qui a Voghera, ora vanno nei club gay di Milano e di Zurigo  il fine settimana per guadagnare un po' di soldi scendendo a compromessi con la loro coscienza. Ci sono poi  generazioni di 30 enni  stranieri  che bivaccano nei bar della città senza aver mai lavorato nella loro vita: la mattina prendono il cappuccino e brioche, il dopo pranzo un caffè e alla sera bevono tutti insieme. Ci domandiamo, non senza meraviglia: se costoro non lavorano, come fanno a pagare l'affitto, i generi alimentari e l'abbigliamento? Mistero della fede. Le Forze dell'ordine (Polizia locale, Carabinieri e Polizia di Stato) controllano il territorio in maniera capillare anche le  piccole  vie sconosciute ai più  e non trafficate. Bene quindi alle Forze dell'Ordine. Ma bene anche  alla Guardia di finanza che grazie finalmente al Governo Monti ha deciso di colpire duramente  l'evasione fiscale senza riguardi per nessuno. A Voghera e dintorni quanti hanno oltre 10 appartamenti, Suv, case di vacanze, aziende, società varie, professionisti milionari che non rilasciano fatture, pagano in nero  e poi sono i migliori evasori totali o parziali. Solo stanando gli evasori potremo pagare meno Irpef e avere servizi migliori per tutti!
Un esempio: via Matteotti 59 è uno stabile di cinesi, in piazza san Bovo invece ci sono due grandi stabili uno di fronte all'altro: uno affittato a marocchini; l'altro a sudamericani. In questi tre stabili è tutto in regola? Tutti hanno il permesso di soggiorno? O c'è qualche clandestino? E i proprietari di questi stabili che sono milionari pagano tutto fino all'ultimo centesimo? Alla Comandante della nostra Tenenza della Finanza il compito di verificare questo giro di appartamenti, di affitti e di stranieri.
Poi abbiamo le donne  nigeriane che ci sono da anni e si prostituiscono a cielo aperto. Arrivano da Genova o da Milano alle 22 e se ne vanno alle 6 di mattina. Prezzo: 15 - 20 euro a prestazione. Guadagno quotidiano: circa 150- 200 euro.  Ogni tanto cadono nelle retate di Carabinieri e Polizia di Stato, ma poi ritornano, e chi pensa all'igiene e alla profilassi dei cittadini? Non è dato di sapere...
I giovani spesso vanno all'Ipermercato (che è diventato un punto di ritrovo come nelle periferie milanesi ) con le sue sale cinematografiche, i bar, i negozi di abbigliamento,di telefonia, ecc. Sono attratti dal consumismo e dal materialismo e, ovviamente, dall'edonismo. Pregano? Vanno in Chiesa? Fanno volontariato? Aderiscono all'Azione cattolica o a Comunione  e Liberazione? Vanno all'Oratorio? Diciamo che molti sono credenti praticanti, e una minoranza sono agnostici, cioè sono senza Dio nel senso che non sono contro Dio. (De Rosa). Che Dio ci sia o non ci sia per loro non è un problema. L'ateismo? Non sanno neanche cosa sia a 16 anni! Credono nei valori del relativismo e del nichilismo, ma molti altri fanno volontariato, sono presenti nelle varie disgrazie, credono nel bello, nel vero e nell'amicizia. Contrariamente ai loro coetanei che sono attratti dal successo e dal guadagno. I parroci sono perlopiù anziani come del resto buona  parte del  clero in Italia, i giovani preti hanno talvolta due parrocchie. A loro consiglio di imitare il nuovissimo Patriarca di Venezia che è passato alla storia per aver riempito i Seminari. Ma qui sono anni che non viene ordinato un prete. Che sia sbagliata la pastorale delle vocazioni del Vescovo di Tortona Martino Canessa? Non lo sappiamo. Certo egli dovrebbe  fare una riflessione e sui giovani e sui preti nel Consiglio pastorale, in quello presbiterale e in quelli parrocchiali. Credo, senza sbagliare,  che uno studente oggi   non conosca, non dico la  storia della Chiesa,  ma neanche la Bibbia, il libro che ha permeato  la civiltà occidentale. Il che è un fatto molto grave visto che viviamo in una società multireligiosa, multietnica e multiculturale. Senza contare che nel Nord Europa, negli Usa e nei Paesi arabi i giovani conoscono la cultura religiosa.
Voghera (non sono l'unico a dirlo ma molti cittadini) è una città spenta e  grigia,  opaca e appannata. Eppure,  abbiamo, oltre ai prodotti alimentari e vinicoli ( Bonarda, Barbera, Riesling, Croatina, Pinot nero, Sangue di Giuda, Buttafuoco, il salame, la coppa, la pancetta, il lardo, la micca, il brasato, la mostarda, i peperoni, le mele, l'uva, ecc.)  un bellissimo Teatro Sociale, la Chiesa rossa in arte romanica, il Castello Visconteo dove fare mostre, un Duomo restaurato con i milioni della Cariplo e di altri benefattori che non è valorizzato per niente. Povera Voghera di San Bovo, di San Rocco, di Valentino, di Maserati e di Arbasino, di Turati e altri ancora.  Non avendo al centro del dibattito  politico la Cultura (forse solo la Biblioteca  comunale funziona ndr)  sarai sempre ricordata come la città della casalinga, provincialotta,  o dei contadini con le scarpe grosse  e cervello fino che mettono i soldi sotto il materasso. Anzi, ora in Posta, nelle Banche e da  circa 3 mesi, anche nelle cassette di sicurezza degli Hotel in Svizzera che i banchieri affittano per i loro clienti o spalloni.

Alberto Giannino