martedì 10 settembre 2013

IL CAMPO E' IL MONDO










Annunciare la Parola di Dio, evangelizzare, seminare è il compito del cristiano. Ma qual'è il campo in cui lui va a seminare? E', ovviamente, il mondo. Questa società plurale, liquida, postmoderna e materialista distrae l'uomo  e si allontana da Dio.  Una società fondata sui valori effimeri, edonistici, libertini, e  consumistici. E' evidente che che questo modello di società non è aperto ai valori spirituali e religiosi, ma a quelli matariali e consumistici. Per quest'ultimi conta il denaro, la casa al mare e ai monti, la macchina  e la moto di grosse cilindrate, e i cavalli. Non mancano i vestiti firmati, i viaggi all'estero, la villa con piscina o ville conn piscina.In primis viene il godimento dei beni materiali  eper Dio non c'è posto. Dio , è vero, è nascosto, è mistero secondo la Scrittura, ma alla fine dei nostri giorni lo vredremo faccia a faccia cosi come Egli è.

L'Arcivescovo di Milano Angelo Scola nella sua Lettera pastorale ha parlato dell'evangelizzazione e del Padre. della Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Si tratta di un dogma ma è declinato cosi bene che non si puo' pensare che sia opera del caso o dell'uomo. Qui la nostra fede ha la sua affermazione più piena e più salda. Qui Dio è conosciuto. Qui Dio è amato. Qui Dio è presente. Perché qui è la Chiesa nel suo cuore; qui è Cristo nella sua operante potestà salvatrice. Oh! non diciamo che questa presenza sia qui esclusiva; né che qui sia perfetta per virtù di uomini, o di cose; diciamo che qui le ragioni storiche, istituzionali, concrete, umane, ed anche mistiche e carismatiche, proprie della Chiesa, raggiungono una loro pienezza, una loro intensità, che per chi vi crede provocano l’emozione della meraviglia e del gaudio; per chi non vi credesse quelle ragioni stesse prendono l’aspetto d’uno strano, temerario fenomeno, difficilmente definibile e facilmente disprezzabile, ma sempre impressionante.

Fermiamo un istante l’attenzione sopra una sola osservazione: qui Dio è di casa. Vengono alla memoria le parole della Genesi:
«Quanto è terribile questo luogo! Altro non è che la casa di Dio e la porta del cielo» (Gen. 28, 17). Cioè qui tutto parla di quel Dio, che fuori, nel mondo profano, specialmente in un certo settore eccentrico e agitato del pensiero moderno, si dice che sia morto. Nessuna contraddizione è più violenta e sacrilega che quella scoppiante fra questi due termini: Dio e la morte, se essi si considerano nel loro significato oggettivo: l’Essere e il nulla, la Vita e la sua negazione, l’Assoluto e l’assurdo, il Necessario e l’inconsistente, la Verità e la sua vanificazione, la Felicità e la disperazione. Ma sappiamo che questo «slogan» infelice si applica nel linguaggio culturale al suo significato soggettivo, cioè al pensiero dell’uomo, che non sa più dare un senso, un valore al nome ineffabile di Dio. Dio sarebbe morto nella mentalità dell’uomo. Non è il sole che si è spento; è l’occhio dell’uomo che si è ottenebrato.
L’indifferenza religiosa è di moda. La secolarizzazione è ammessa da molti, come un procedimento del pensiero, il quale trova in se stesso e nella conoscenza delle cose una autonomia, che lo dispensa dal riferirsi ad un Principio superiore e trascendente, chiamato Dio. La metafisica, si dice, è finita. L’ateismo si fa scudo della scienza per affermarsi come una liberazione, come una conquista. La conoscenza di Dio, si sostiene, è impossibile; per di più è inutile; anzi nociva.  L’uomo moderno non sembra più capace di pensare a Dio; e crede di poter meglio organizzare la propria vita e quella della convivenza umana trascurando, tacendo, negando il nome di Dio. Forse non si osa dire da tutti che Dio non è morto in Se stesso; ma si dimostra che è morto nel pensiero, nella psicologia, nel bisogno dell’uomo. L’ateismo contemporaneo, scrive un noto teologo, si presenta come un’ermeneutica, una spiegazione finale, secondo i casi, trionfale, o disperato, o sereno; sia che praticamente propenda verso il collettivismo, o l’anarchia, sia che metta l’assoluto nell’uomo, o nella natura, o che respinga ogni assoluto; . . . sia che si arroghi la funzione di rivelatore del senso profondo dei problemi (cfr. DE LUBAC, Athéisme et sens de l’homme, 30-31).

Scola dice queste cose, perché sono nell’aria che oggi tutti respirano, e perché possiamo avvertire il paradosso che  incontriamo  là dove la Chiesa, a qualsiasi livello della sua autenticità  si attesta, e dove non esita ad affermare, ieri come oggi, che per lei Dio non è morto, e continua impavida e felice a testimoniare, a proclamare, con Pietro, il Cristo Figlio del Dio vivente, e a celebrare con beata certezza la gloria di Dio.
Vi è chi trova strana questa superstite voce, così da presagire ch’essa non durerà, ovvero ch’essa si uniformerà alle equivoche teologie della incredulità moderna, del Post-cristianesimo, di certo nichilismo filosofico contemporaneo. Per grazia del Signore, che fiancheggia la sua Chiesa nei secoli, non è questa infausta profezia che ci deve spaventare, anche se si dovesse compiere in una certa parte dell’umanità, infedele alla sua vocazione di verità e di vita.

Ciò che deve impensierire  è la cresciuta difficoltà di comunicare agli uomini il nostro messaggio religioso. Sotto certi aspetti, di grande importanza e di grande estensione nella psicologia moderna, oggi l’uomo è meno disponibile all’idea e alla vita religiosa di quanto ieri non -fosse. Non è la Realtà divina ch’è venuta meno; è la mentalità umana che oggi è meno idonea a coglierne le irradiazioni e le voci. L’uomo moderno ha più dell’antico il bisogno e la capacità di venire a contatto col mistero di Dio, ma ha meno dell’antico la facilità ad incontrare e ad ammettere questo necessario e ineluttabile mistero, perché ha allargato lo spazio di studio e d’osservazione alla sua intelligenza, ha immensamente esteso il campo della sua esperienza sensibile; ed è perciò tentato di sentirsi pago di ciò che egli conosce scientificamente e sensibilmente, anche se questo dilatato e immenso dominio del pensiero e della sensibilità, a un dato momento decisivo per la coscienza umana, accresce, per le esigenze intrinseche della sua realtà e per i margini .problematici dei suoi allargati confini, l’ansia e lo spasimo verso una conoscenza e una esperienza suprema, indarno calmati da raffinati sedativi dello scetticismo filosofico, morale e letterario.
Ma allora esiste uno scontro irriducibile fra l’insegnamento religioso della Chiesa e il mondo incredulo contemporaneo, fra l’affermazione perenne ed invitta, ch’ella ci offre, di Dio, e il dubbio e la negazione religiosa del nostro secolo? fra la credenza, razionale o rivelata, in Dio e l’ateismo, teorico o pratico che sia, del nostro tempo? Nelle dottrine, sì; la contraddizione, o forse più esattamente la contrarietà, esiste; ed è su questa opposizione che si svolge oggi il dramma spirituale, e quindi anche storico e politico del nostro tempo. Le dottrine sono inconciliabili, per se stesse; le ideologie, come oggi si dice, sono radicalmente differenziate. Ma la verità, quando è integra e compresa, è una; cioè la discussione - il dialogo - è possibile; l’evoluzione delle idee false e incomplete è nella logica interna delle idee stesse e nell’esigenza profonda degli spiriti che le professano.
Ma ogi tutti ci vogliamo chiamare, figli del giorno, non della notte e delle tenebre, come dice San Paolo (1 Tes 5, 5) - una verità elementare, e fondamentale, è da ricordare: Dio è nascosto (cfr. Is  45, 15). Molti segni, molte vie, molte voci, molti stimoli ci parlano e ci conducono alle soglie della sua ineffabile Realtà; ma è pur vero che noi, in questa vita presente, lo vediamo di riflesso, nel mistero, «per speculum in aenigmate» (1 Cor. 13, 12); la conoscenza razionale che possiamo avere di Dio è per via di dimostrazione, il che comporta una disciplina semplice, ma rigorosa del pensiero, e non Lo raggiunge che negando i limiti e sublimando le nozioni delle perfezioni create che a Lui possiamo applicare; quella poi per fede è più piena, più sicura, più viva, ma ancora priva della visione diretta e beatificante, che un giorno speriamo avere della sua infinita Verità. Dio tace, dice la letteratura contemporanea (cfr. Moeller, Lett. mod. e cristian., vol. I); tace al nostro orecchio naturale; ma per farsi cercare e ascoltare per altri mezzi. E allora un primo dovere ci coglie, quello di godere della conoscenza che già abbiamo di Dio, e un secondo: quello di cercarlo; di cercarlo appassionatamente, dove, come e quando Egli si lascia incontrare. È questo il senso profondo della nostra vita presente, una vigilia che spia e attende la luce.

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