mercoledì 30 ottobre 2013

Papa Francesco, «L'amore di Dio brucia i nostri egoismi»,


«L'amore di Dio brucia i nostri egoismi», perché la Chiesa è una «comunione tra le persone sante». Lo ha detto il Papa, che ha dedicato la catechesi di oggi alla «comunione dei santi», definendola «una verità tra le più consolanti della nostra fede, poiché ci ricorda che non siamo soli ma esiste una comunione di vita tra tutti coloro che appartengono a Cristo».
Una comunione che «nasce dalla fede», perché il termine «santi» si riferisce a «coloro che credono nel Signore Gesù e sono incorporati a lui nella Chiesa mediante il battesimo». Per questo i primi cristiani erano chiamati anche «i santi». «La Chiesa, nella sua verità più profonda, è comunione con Dio, comunione di amore con Cristo e con il Padre nello Spirito Santo, che si prolunga in una comunione fraterna», ha detto il Papa. «Se siamo intimamente inseriti in questa matrice, in questa fornace ardente di amore che è la Trinità, allora possiamo diventare veramente un cuore solo e un'anima sola tra di noi», ha assicurato Papa Francesco, perché «l'amore di Dio brucia i nostri egoismi, i nostri pregiudizi, le nostre divisioni interiori ed esterne». «Essere uniti fra noi ci conduce ad essere uniti con Dio», ha aggiunto a braccio.
«La nostra fede ha bisogno del sostegno degli altri, specialmente nei momenti difficili», perché «comunione» è «comune unione», e «tutti uniti siamo una grande famiglia». È il secondo aspetto della «comunione dei santi» su cui si è soffermato il Papa nell'udienza di oggi. «Quanto è bello sostenerci gli uni gli altri», ha esclamato Papa Francesco, secondo il quale «la tendenza a chiudersi nel privato ha influenzato anche l'ambito religioso». «Chi di noi non ha sperimentato insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede?», si è chiesto il Papa. «Tutti, anche io», ha risposto a braccio: «Fa parte del cammino di fede, fa parte del cammino della vita». «Tutto ciò non deve stupirci - ha detto il Papa - perché siamo esseri umani, segnati da fragilità e limiti». Tuttavia, in questi momenti difficili, «è necessario confidare nell'aiuto di Dio» ma, al tempo stesso, «è importante trovare il coraggio e l'umiltà di aprirsi agli altri». «Nella comunione dei santi siamo una grande famiglia, dove tutti i componenti si aiutano e si sostengono fra loro».
«La comunione dei santi va al di là della vita terrena, va oltre la morte e dura per sempre». Lo ha detto il Papa, che nella parte finale della catechesi odierna ha ricordato che «la comunione spirituale che nasce dal battesimo non viene spezzata dalla morte, ma, grazie alla Risurrezione di Cristo, è destinata a trovare la sua pienezza nella vita eterna». Per il Papa, «c'è un legame profondo e indissolubile tra quanti sono ancora pellegrini in questo mondo e coloro che hanno varcato la soglia della morte per entrare nell'eternità: tutti i battezzati quaggiù sulla terra e tutti i beati che sono già in paradiso formano una sola grande famiglia». Questa «comunione tra terra e cielo», ha fatto notare il Papa, «si realizza specialmente nella preghiera di intercessione, che è la più alta forma di solidarietà, ed è anche alla base della celebrazione liturgica di Tutti i Santi e della commemorazione dei fedeli defunti, che vivremo nei prossimi giorni». «Abbiamo questa bellezza della fede - ha commentato Papa Francesco a braccio - che ci fa fratelli, che ci accompagna nel cammino della vita e ci fa ritrovare un'altra volta in cielo». «Il cristiano deve essere gioioso», ha aggiunto: «Anche con l'aiuto dei fratelli e delle sorelle che fanno questa strada per andare in Cielo, che sono in cielo e preparano questa strada per noi. Avanti su questa strada con gioia!»
«Vi invito a pregare per la cara nazione irachena purtroppo colpita quotidianamente da tragici episodi di violenza, perché trovi la strada della riconciliazione, della pace, dell'unità e della stabilità». È l'appello lanciato dal Papa, prima dei saluti in lingua italiana che come di consueto concludono l'appuntamento del mercoledì con i fedeli in piazza San Pietro. «Al termine dell'udienza - ha detto il Papa ai 50mila presenti in piazza - saluterò una delegazione di sovraintendenze irachene, con rappresentanti dei diversi gruppi religiosi, che costituiscono la ricchezza del Paese, accompagnata dal card. Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso». Anche nei saluti in lingua araba Papa Francesco aveva citato l'Iraq: «Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dall'Iraq», le sue parole. «Quando sperimentate insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede - ha detto il Papa - cercate di confidare nell'aiuto di Dio, mediante la preghiera filiale, e, al tempo stesso, di trovare il coraggio e l'umiltà di aprirsi agli altri». «Quanto è bello sostenerci gli uni gli altri nell'avventura meravigliosa della fede!», ha concluso.

GIRO DI BABY PROSTITUTE CON L'ASSENSO DELLA MADRE

 
 
“Quella madre ha venduto il corpo della figlia come un macellaio vende una bistecca”. La riflessione, “commerciale”, dello psicologo clinico Enzo Cordaro traccia in modo drammatico la storia delle due studentesse costrette da cinque persone, fra cui la madre di una delle due, a prostituirsi in un appartamento dei Parioli, uno dei quartieri più esclusivi della Capitale. Le indagini erano cominciate dopo che la mamma di una delle due baby prostitute, ragazzine di quattordici e quindici anni diventate cocainomani, si era preoccupata per l’inconsueta aggressività e per il denaro che la figlia mostrava di maneggiare. “La mamma che fa prostituire la figlia è una drammatica degenerazione delle relazioni sentimentali e affettive”, spiega Cordaro, rilevando come il mondo occidentale stia convergendo verso una rappresentazione sempre più consumistica della realtà, forse anche per questo “anche il sesso è stato fatto rientrare da quella madre in una categoria del commercio”.
Da quel che si può desumere dalle cronache, le due giovanissime liceali erano in un certo qual modo consenzienti, di sicuro per Cordaro non si può incolpare della drammatica vicenda i social network. “Sono strumenti di contatto neutro” che possono essere utilizzati in modo sbagliato, ma è inutile demonizzare i network (anche se sarebbe opportuna una autoregolamentazione): “Tutto dipende da chi gli usa”. Nessuno può controllare il Web, libero per antonomasia, il problema vero è il depauperamento della cultura sociale: “Consumare è diventata una parola d’ordine, così anche vendere il proprio corpo, può essere considerato business”. Un tempo, il compito di “tirare le briglie” spettava alle famiglie e alla scuola. “I genitori possono fare molto, ma l’esperienza clinica mi ha fatto capire che sempre più spesso padri e madri stanno perdendo il loro ruolo” dice lo psicologo. Nemmeno la scuola è esente da colpe: “Sta perdendo la sua coerenza di ruolo: mandiamo i figli a scuola ma se un professore si arrischia a punire uno studente, è l’intero nucleo familiare, se non tutta la collettività, a reagire a volte in modo incomprensibile contro il “professore”, enuncia Cordero.
                                                                      

La vicenda è stata monitorata anche dal Movimento Italiano Genitori (Moige). La presidente Maria Rita Munizzi chiede a tutte le famiglie di stare allerta. “Un plauso alla mamma che ha fatto scattare la denuncia, allarmata dal comportamento aggressivo della figlia e dalla sua improvvisa disponibilità economica. Il dialogo, si sa, è alla base di ogni rapporto, e più questo è aperto, più è facile confrontarsi senza imbarazzi e pregiudizi su qualsiasi argomento. Raccontare una brutta esperienza è l’unico modo per essere aiutati, protetti e tutelati dalle insidie della rete”, commenta Munizzi. Che poi sottolinea il ruolo dei network. “Vietare i social network e le chat è inutile, crea un provocatorio effetto di opposizione. Bisogna educare i figli alla prudenza e alla navigazione sicura, spiegare che è bene non comunicare a nessuno informazioni personali come indirizzo di casa, numero di telefono, nome della scuola; non prendere appuntamenti con persone conosciute in chat, non condividere la propria password con nessuno, neanche con gli amici”, evidenzia il presidente del Moige. 
Bisognerebbe sempre ricordare ai minori che il materiale pubblicato su internet “può rimanere disponibile online anche per molto tempo”. In effetti, “quando è pubblicata una foto o un qualsiasi contenuto, anche se goliardico, su di un sito o un social network, se ne perdono i diritti e non è riconosciuta la possibilità di rimuoverli (tranne che in eccezionali situazioni qualora intervenga la polizia postale). Inoltre, anche se si riuscisse a eliminare una foto o un video non riusciremmo mai a cancellarla dai dispositivi di coloro che l’hanno salvata” rileva la rappresentante del Moige. Munizzi pone in rilievo quale ruolo deve avere la scuola . “Fondamentale è dedicare in classe tempo per la media education, trasmettendo ai bambini l’importanza di una fruizione responsabile dei media e creando un’azione di sistema e coordinamento con la scuola e le famiglie per educare i bambini a un approccio corretto e consapevole al loro utilizzo”. Parole che suoneranno sante per tutti, tranne per la mamma “macellaia”.
 

domenica 27 ottobre 2013

E' MARINA BERLUSCONI L'EREDE POLITICO DI SILVIO

 
 
 
 
La notizia del giorno è che Marina Berlusconi, 47 anni, imprenditrice, figlia del Cavaliere e della signora Dell'Oglio, è in procinto di scendere in campo per guidare la rinata Forza Italia. Poichè il padre Silvio è stato dichiarato dalla Corte d'Appello di Milano interdetto dai pubblici uffici per due anni e il Senato è pronto per votare la sua decadenza, il Cavaliere è corso ai ripari.
1) Vuole vincere a tutti i costi alle prossime elezioni politiche e nel pdl non c'è un leader capace di contrapporsi a Matteo Renzi del PD;
2)Ha rispolverato il vecchio e glorioso simbolo di Forza Italia e lo guiderà Marina la primogenita preferita e fedelissima di papà.                            
Marina ha sempre fatto l'imprenditrice e quindi il suo modello di partito è quello all'americana. Non certo quello di Fitto e di Angelino Alfano. I candidati saranno quasi tutti milionari, in modo tale che il partito non debba pagarlo la famiglia. E la leader incontrastata e assoluta sarà lei Marina.
Marina non ha fatto politica nè alla Camera nè al Senato nè al Governo. Ma se la sua Forza Italia dovesse vincere sarà lei a guidare il Paese per i prossimi cinque anni. Del resto se la signora Moratti ha guidato Milano non si capisce perchè Marina non debba guidare l'Italia dopo essersi occupata di Fininvest e di Mondadori. Credo che sul partito avrà le idee molto chiare con progetti e novità e programmi nuovi.  Avrà due compiti davanti a sè. Il primo è quello di scegliere la classe dirigente per capacità e meriti. Il secondo è quello di battere Matteo Renzi, anni 38, giovane gradito alla sinistra che però dovrà vedersela con Letta.
Marina studierà tutti i dossiers sul tavolo (ambiente, welfare, salute, istruzione, università, esteri, interno, giustizia, difesa, trasporti, economia, agricoltura, integrazione, riforme istituzionali, affari europei, affari regionali, pubblica amministrazione, pari opportunità,sport e politiche giovanili).Dopo sarà pronta a sfidare Matteo Renzi anche se lui ha 9 anni meno di Marina e una laurea in Giurisprudenza.
                 


venerdì 25 ottobre 2013

FRANCESCO IL PAPA CHE DIVIDE PROGRESSISTI E CONSERVATORI



Papa Francesco piace… non a tutti. L’idillio è finito. Dopo sette mesi di innamoramento collettivo, voci contrarie a Papa Francesco si sono levate dalle pagine di un quotidiano. E le conseguenze non sono state indolori. C’è poi chi cerca di normalizzare Bergoglio, di inserirlo in una logica di continuità pontificia, così da attenuarne la portata rivoluzionatia. Comunque sia, la luna di miele ormai sfuma.
Papa Francesco si inchina a Rania di Giordania – 
 «Questo Papa non ci piace» è il titolo forte dell’articolo su Il Foglio di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, il primo giornalista e studioso di letteratura, il secondo canonista e docente di Bioetica, entrambi esponenti del mondo tradizionalista cattolico. Si accusa il pontefice di «relativismo morale e religioso», puntando il dito sull’intervista rilasciata da Francesco al non credente Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica. Il passaggio sull’autonomia della coscienza e sulla visione personale del Bene e del Male contrasterebbe con il magistero dei precedenti Pontefici. I due autori richiamano così il capitolo 32 della Veritatis Splendor in cui Giovanni Paolo II, contestando «alcune correnti del pensiero moderno», scriveva che «si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale», tanto che esso è diventato «radicalmente soggettivista».
Papa Francesco scende dalla macchina per salutare e baciare un disabile – GUARDA
Quando il Papa dice a Scalfari che «il proselitismo è una solenna sciocchezza», incalzano i giornalisti, è come se disconoscesse il lavoro fatto dalla Chiesa per convertire le anime al cattolicesimo. Poi si arriva all’intervista del Papa a Civiltà Cattolica, con il suo richiamo al Concilio Vaticano II che «è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea». Ma un Vangelo «deformato alla luce del mondo», si domandano Gnocchi e Palmaro, quanti altri mutamenti dovrà subire?
Papa Francesco beve dalla lattina di un fedele e manda nel panico la sicurezza
ALLONTANATI DA RADIO MARIA 
La visita di Francesco ad Assisi, il 4 ottobre, diventa per loro «un’imponente esibizione di povertà». Questo Papa è un leader «che dice alla folla proprio quello che la folla vuol sentirsi dire. Ma ciò viene fatto con grande talento e mestiere». L’augurio è che si impari l’umiltà vera, consistente «nel sottoporsi a Qualcuno di più grande, che si manifesta attraverso leggi immutabili persino dal Vicario di Cristo». Punto. Per Gnocchi e Palmaro, la conseguenza di tanta libertà di pensiero è l’allontamento da Radio Maria. Collaboravano da dieci anni, per loro ammissione in totale autonomia. Ma il direttore don Livio Fanzanga ha chiarito: «Tra i principi della nostra emittente c’è la fedeltà al Papa e al suo magistero».

I giudizi negativi vengono comunque condivisi da circoli intellettuali e gruppi tradizionalisti attivi sul web. A dar fastidio sono l’insistenza del Papa sui principi del Concilio, la sobrietà eccessiva, il viaggio a Lampedusa tra gli immigrati, i frequenti accenni alla misericordia di un Dio che non si stanca mai di perdonare. Gli stessi motivi che invece fanno leva sulle masse e conquistano a Francesco una popolarità vastissima, senza appartenenza né colore.
Certo Il Foglio si è smarcato dal consenso unanime, e non da ora, diventando il polo dei ratzingeriani irriducibili. Il direttore Giuliano Ferrara scriveva qualche settimana fa: «Le mie ferite non sono curabili nel suo ospedale da campo», con riferimento all’espressione usata da Francesco nell’intervista a Civiltà Cattolica. La critica era per il gesuita relativista che, come lo scomparso cardinal Martini, «assolve il mondo che ha processato e condannato la Chiesa cattolica e il pensiero cristiano». Sempre su quelle pagine, il giornalista e saggista Mattia Rossi sostiene una tesi cara agli ambienti tradizionalisti: Francesco, ai limiti dell’eresia, sta fondando «una nuova religione, una neo-chiesa in netta rottura non solo con i predecessori ma con il magistero cattolico perenne». Cita esempi, come la scomparsa dal pensiero di Bergoglio del peccato originale, e ne sindaca la fratellanza «umanitarista da ong e sentimentalista, tanto sbandierata quanto inaccettabile». Lorenzo de Vita, editore della cattolica Effedieffe, in uscita con Mistero di iniquità di Pierre Virion, aggiunge: «Questo Papa vuol portare alle estreme conseguenze le aperture del Concilio. Preoccupa. Se fuori dalla Chiesa non c’è salvezza, ha un senso aprire il recinto per accogliere il maggior numero di persone. Cristo però ha detto: “Non sono venuto a portare pace, ma una spada”. Allora salvarsi l’anima implica un percorso di sofferenza, ostico. Se ora Scalfari si sente giustificato, io penso alla Maddalena pentita. Gesù l’ammonì: “Va’ e non peccare più”».
«LOBBY E POTENTATI LAICISTI» - Sotto accusa finisce il nuovo linguaggio usato dal Papa e con strumenti diversi da quelli della consuetudine. Lo storico Roberto de Mattei, tradizionalista, lo ha definito «molto pericoloso», perché «chi domina il mondo della comunicazione non è il Papa né tantomeno i cattolici, ma lobby e potentati laicisti in grado di farne un uso distorto». Di conseguenza, ha espresso «una posizione di forte riserva nei confronti della strategia comunicativa del Pontefice».
Il professor Pietro De Marco, sull’autorevole blog di Sandro Magister Settimo cielo, rompe «il coro cortigiano» che si infiamma  agli interventi pubblici di Bergoglio: «Il Papa piace a destra e a sinistra, a praticanti e a non credenti senza discernimento. Il suo messaggio prevalente è “liquido”. Su questo successo, però, non può essere edificato niente, solo reimpastato qualcosa di già esistente e non il meglio». Prevede che anche i media si stancheranno «di fare da sponda a un Papa che ha troppo bisogno di loro». E conclude: «Non approvo gli estremismi tradizionalisti, ma non v’è dubbio che la tradizione sia la norma e la forza del successore di Pietro». Sandro Magister, vaticanista di L’Espresso, aggiunge: «La forza di Francesco sta nel non prendere mai posizione. Dice cose che vanno incontro alle attese di chi ascolta, evitando di toccare in modo netto temi che possono portare divisioni. Fa cenni vaghi. Ma questa modalità di comunicare non può durare in eterno e rischia di scontentare sia a destra sia a sinistra». Per ora Ritanna Armeni spiega bene come la sinistra, da tempo orfana di un padre che indichi «questo si fa, questo non si fa», si sia accoccolata su Francesco che restituisce dignità al Terzo Mondo e alla lotta per il lavoro.
Ma perfino tra i progressisti c’è chi rompe il consenso. Piero Stefani, intellettuale del cattolicesimo, scrive: «Si è di fronte a un susseguirsi di parole, fatti, gesti. Quasi quotidianamente c’è qualcosa di nuovo: encicliche pubblicate e annunciate, digiuni, preghiere, interviste, lettere, discorsi, nomine, udienze, viaggi, telefonate, twitter. Non si riesce a fissare un punto non dico di sosta, ma neppure di svolta. A partire da tutto ciò, e contro l’intenzione profonda del Papa stesso, quanto resta al centro è la persona stessa di Francesco e non già il suo messaggio. Così rischia di identificare il messaggio evangelico con se stesso».
LA RAMPOGNA DEL GESUITA AMERICANO - Ed ecco il “rabbuffo“ al Papa del gesuita americano Francis X. Clooney. Sempre sul Foglio si chiede come mai, se giudica lebbrosa la Curia, ne abbia canonizzato «il suo campione Wojtyla». Inoltre non gradisce lezioni di ecumenismo, quando il Papa dice che è stato fatto poco in quel senso. Già in passato, invece, e proprio sul tema della fratellanza interreligiosa, Magdi Cristiano Allam critica duramente Francesco. Durante un Angelus di agosto, questi si rivolge «ai nostri fratelli musulmani» dopo il Ramadan. Ma il giornalista argomenta che l’Islam pretende di «superare» il cristianesimo, continuando a massacrare «gli infedeli». Perciò nessuna legittimazione: «Così si scade nel relativismo religioso che annacqua l’assolutezza della verità cristiana».
Ma, a parte casi particolari, quanto è ampia l’area di opposizione al Papa? Massimo Introvigne, sociologo e fondatore del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni), dice: «Occorre distinguere. Ci sono i cattolici vecchio stampo, quelli che provano un certo disagio di fronte a gesti come il colloquio con Scalfari, ma rimangono leali al Papa e al suo magistero; e piccoli gruppi che invece traggono occasione da questo disagio per ribadire critiche al Concilio, cosa che già facevano con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. In questa categoria rientra senz’altro la Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da monsignor Lefebvre, di cui molti intellettuali detti più o meno “tradizionalisti” sono simpatizzanti o almeno compagni di strada e frequentatori. Per questo mondo, l’impatto con Papa Francesco esaspera semmai il pericolo di scisma. Che però, insisto, c’era anche prima». Alberto Melloni, storico del Cristanesimo e autore di Quel che resta di Dio (Einadi),  aggiunge: «Il tradizionalismo cattolico è sempre stato eversore. Ha accusato Papa Giovanni d’essere un agente sovietico (ricordo un libretto dal titolo Nikita Roncalli), Paolo VI l’Anticristo, Wojtyla un sincretista quando fece la preghiera di Assisi. La moda di prendersela col Papa è antica, non ci vedo molto di nuovo. Ed è una forma di semplicismo ideologico dire: la tradizione ha sempre voluto e detto solo questo. Non è vero. Ciò che il Papa insegna è la caratteristica pluriforme della Verità cristiana, in un atteggiamento di continua ricerca di Dio. Questi tradizionalisti, graffitari della Chiesa che vanno a scrivere la loro protesta sui muri, sono niente».
LA SCHIERA DEI “NORMALISTI” - C’è poi la legione di quanti, di fronte alla dirompente novità di Francesco, cercano di convincere se stessi e gli altri che nulla cambia. La parola chiave è «continuità» rispetto al passato. Scrive sul Corriere della Sera Vittorio Messori, contestualizzando questo Papa: «Con il suo stile da “parroco del mondo”, vuole impegnare la Chiesa intera in quella sfida di rievangelizzazione dell’Occidente che fu centrale anche nel programma pastorale dei suoi due ultimi predecessori. Nessuna frattura, dunque, bensì continuità, pur nella diversità dei temperamenti».
Ma riuscirà, Francesco, ad attuare il suo programma così ambizioso? «È un Papa destinato a dividere», nota Ignazio Ingrao, vaticanista di Panorama. «Se da un lato attrae le folle, dall’altro mette in crisi tutto un sistema anche di potere, di concezione dell’autorità della Chiesa. E questo gli procura dei nemici. Bisognerà vedere se riusciranno a fermarlo. Francesco si spoglia degli orpelli del monarca, ma compensa con uno straordinario carisma. Tuttavia io credo che i suoi oppositori cresceranno. Il punto più critico di questo Pontificato è il livello di attesa, di aspettative che crea. E che rischia di non riuscire a soddisfare».

CARLO D'INGHILTERRA A 65 ANNI ASPETTA ANCORA IL TRONO



L'erede al trono d'Inghilterra non ha fretta di diventare re perché si sentirebbe in prigione: questa la veritá sul principe Carlo, secondo i suoi piú stretti collaboratori. A rivelare le intenzioni e i pensieri del primogenito della Regina Elisabetta II é un lungo articolo sulla rivista Time, che ha dedicato la copertina a Carlo con il titolo "Il principe dimenticato". L'autrice dell'articolo, Catherine Meyer, editor-at-large di Time, ha intervistato il principe e cinquanta suoi amici e collaboratori in vista del 65esimo compleanno di Carlo in novembre.
Negli ultimi tempi Carlo ha assunto un ruolo piú visibile, sostituendo la madre a eventi importanti ai quali in passato ha sempre partecipato la regina, che ora ha 87 anni. Il mese prossimo, ad esempio, andrá in Sri Lanka per la riunione dei capi di Governo dei Paesi del Commonwealth, l'associazione che riunisce le ex colonie britanniche nel mondo, e fará una visita ufficiale in India.
Il principe di Galles é giá l'erede al trono che ha dovuto attendere piú a lungo il suo turno nella storia britannica, ma secondo Time la caricatura di un Carlo impaziente di avere la corona in testa non ha alcun fondamento. In realtá il principe di Galles non ha alcuna fretta di sostituire la madre perché teme una limitazione della libertá che gli impedirebbe di fare le cose che gli interessano davvero. Carlo, secondo l'articolo, ha un fortissimo desiderio di «migliorare il mondo» e per questo negli ultimi decenni si é occupato di enti benefici, soprattutto a favore dei giovani, e di ambiente, facendo campagne per salvare le foreste tropicali e promuovendo l'agricoltura biologica molto prima che fosse "di moda". «Da anni e anni ho questo desiderio di migliorare le cose», afferma il principe nell'intervista a Time. «Sento che il mio dovere, piú di qualunque altra cosa, é di preoccuparmi di tutti e delle loro vite in questo Paese e di cercare di migliorare le cose per quanto posso».
La settimana scorsa Carlo in un discorso ai gestori di fondi britannici ha detto che continuare a puntare su guadagni a breve invece di investire su progetti di lungo termine avrebbe condannato i loro nipoti a un «futuro incredibilmente triste». Basta egoismi, bisogna pensare ai posteri: parlando del nipote George, figlio del suo primogenito William e nuovo erede al trono, Carlo ha dichiarato che «é questo quello che veramente importa e la ragione per cui faccio quello che faccio».

DATAGATE: SPIATI 35 LEADER MONDIALI




Il Datagate travolge il vertice europeo. E mentre l'Eurocamera medita ritorsioni, i leader faticano a trovare risposte comuni. Tutti d'accordo nel chiedere spiegazioni agli Usa, ma sono Francia e Germania a passare all'azione. Unite in una iniziativa "aperta a tutti i paesi interessati" cercheranno di concordare con Washington entro l'anno un 'codice' dello spionaggio. All'iniziativa, a parole si uniscono tutti, compresa la Gran Bretagna che partecipa ai programmi di spionaggio americani e che ha "relazioni speciali con altri paesi" (come è costretto ad ammettere Van Rompuy). Ma Cameron può permettersi solo di annuire: certo non può permettersi di firmare una dichiarazione di condanna. Ed anzi si impunta sull'accelerazione del pacchetto legislativo per una 'protezione dati' europea.
La Commissione e molti paesi, a partire dalla Francia col sostegno dell'Italia, puntavano all'entrata in vigore entro la fine legislatura di aprile 2014. Invece nelle conclusioni si parlerà di "completamento del mercato unico digitale entro il 2015". Il presidente del Consiglio europeo, che prima del vertice aveva garantito che l'accelerazione sarebbe passata, nella conferenza stampa finale fa slalom linguistici per non ammettere la sconfitta. L'asse tra Francia e Germania scatta in un faccia a faccia tra Angela Merkel e Francois Hollande prima del vertice. In apertura di riunione ne informano i colleghi.


Il 'codice' per lo spionaggio, definito "vitale" per combattere il terrorismo da Van Rompuy, dovrà servire a ricostruire la fiducia messa in crisi dalle rivelazioni al punto che "può pregiudicare la necessaria cooperazione nel campo della raccolta di informazioni". Anche perché - come rileva Martin Schulz - l'intelligence Usa appare "fuori controllo". Infatti lo scandalo si allarga e mentre emerge che sarebbero 35 i capi di stato intercettati nel mondo, dagli Stati Uniti continuano ad arrivano risposte che non spiegano, col presidente Obama che si limita a "comprendere le preoccupazioni" e ad annunciare una revisione del sistema di raccolta dati.                                    
                                                                   

Le parole notturne di Van Rompuy suonano comunque caute rispetto alla rabbia pubblica dei leader. "Spiare non è accettabile, tra alleati ci vuole fiducia. Non è solo un problema che riguarda me, ma tutti i cittadini" aveva detto Angela Merkel arrivando al Consiglio. Di vicenda "inaccettabile", l'aggettivo che più ricorre, aveva parlato anche Enrico Letta dopo che Glenn Greenwald, il giornalista che custodisce i segreti di Edward Snowden, ha rivelato che gli Usa hanno spiato pure il governo italiano.
"Non possiamo tollerare che ci siano zone d'ombra o dubbi" aveva aggiunto il premier mentre Angelino Alfano, dal prevertice del Ppe, ribadiva che "difenderemo la privacy delle istituzioni e delle istituzioni, senza guardare in faccia nessuno". Evitando però di commentare la rivelazione che anche i servizi italiani hanno avuto un ruolo. A volere una risposta unita dell'Europa erano i big delle istituzioni comunitarie. "Quando è troppo è troppo: tra amici, deve esserci fiducia. E' stata compromessa. Ci aspettiamo in fretta risposte dagli americani" aveva tuonato il vicepresidente Michel Barnier. Mentre la collega Viviane Reding chiedeva che all'America la Ue dia una "risposta forte e univoca". E Martin Schulz proponeva di "sospendere i negoziati per il trattato di libero scambio" appena avviati con gli Usa. Soluzioni che non hanno trovato sostanza nel vertice.

BERLUSCONI HA DECISO: TORNA A FORZA ITALIA: BASTA COL PDL







ROMA - Dirà che non è una vendetta, quella che i governativi - infuriati - definiscono «un colpo di mano», «una coltellata» , ma soprattutto «l’ultima raffica di Salò». Dirà, come gli ha già detto due sere fa, che «non è una mossa contro di te Angelino, io ti voglio vice presidente del partito, non ho alcuna intenzione di affidarmi ai falchi, voglio gente fresca e nuova e tu sarai sempre con me, resterai mio erede». Ma la verità è che Silvio Berlusconi - che per oggi ha convocato un Ufficio di presidenza per votare la proposta di ritorno a Forza Italia con connesso azzeramento degli incarichi a partire da quello di Alfano come segretario per finire con quelli dei coordinatori - non ha dimenticato il «tradimento», così lo chiamano i falchi, della sua pattuglia di ministri. Non ha cancellato dai suoi occhi l’immagine di Alfano che si scambia il «cinque» con Enrico Letta appena ottenuta la fiducia alla Camera, sulla scia dell’evocata «fine del Ventennio».
«La vendetta si serve fredda...» sibilano i falchi plaudendo alla scelta, che sembrava per il momento congelata, di lanciare Forza Italia e, di fatto, defenestrare il segretario, il leader di quegli Innovatori che ancora quattro giorni fa al Senato si contavano firmando una lettera a difesa del governo che era un modo per dire che i numeri per la sopravvivenza dell’esecutivo erano dalla loro parte e Berlusconi non aveva più armi. L’ex premier ha voluto dimostrare - a loro ma soprattutto a tutti i suoi avversari o possibili interlocutori, dai magistrati al Pd per arrivare al capo dello Stato - che le armi ce le ha ancora, o almeno ha la più importante: il partito. Quella Forza Italia della quale ritorna presidente e dominus assoluto, marginalizzando i governativi che adesso non escludono la scissione.
La decisione era nell’aria, ma veniva rimandata di giorno in giorno. Ancora mercoledì sera, raccontano, Berlusconi appariva incerto: la paura di trovarsi un partito spaccato nel momento più difficile della sua vita politica lo portava a temporeggiare, sperando che i lealisti alla fine avrebbero accettato di buon grado uno slittamento almeno fino al voto sulla decadenza, e che gli innovatori gli sarebbero stati vicini indurendo la linea su governo e giustizia.
Ma i lealisti erano ormai pronti a sferrare l’attacco. Glielo ha detto a brutto muso Raffaele Fitto: se cedi anche stavolta, la guerra la facciamo noi (e l’avvisaglia è stata l’imboscata sul voto per le riforme al Senato, mercoledì) perché «se altri mostrano la pistola per minacciarti, noi lo facciamo per salvarti». Quel Fitto che dopo il voto di fiducia ha riorganizzato le truppe sbandanti di falchi e non solo offrendo all’ex premier una sponda perché il Pdl non passasse armi e bagagli nelle mani di Alfano.
Nell’ombra Verdini ha lavorato (con l’aiuto degli avvocati) anche alla formula tecnica per il passaggio: nell’Ufficio di presidenza di oggi saranno solo 24 gli aventi diritto al voto, quelli originari del primo Pdl, che comprendono molti ministri del governo del 2008 (Carfagna, Fitto, Galan, Gelmini, Matteoli, Prestigiacomo, Bondi, Rotondi, Vito, Scajola, Sacconi, Brunetta e lo stesso Alfano) quasi tutti oggi lealisti. Non ci saranno invece - schiaffo umiliante - gli attuali ministri e nemmeno Cicchitto (non più capogruppo), mentre dell’area governativa saranno presenti Formigoni e Giovanardi, con Schifani più defilato ma sempre più vicino ad Alfano.
Al voto, non dovrebbero quindi esserci sorprese, e nemmeno dal punto di vista legale si prevedono guerre. Perché Berlusconi ormai ha deciso, dopo l’ultimo sfogo: «Mi hanno lasciato tutti solo mentre le procure mi sparano contro, ma io reagirò, farò vedere che chi comanda sono ancora io. E che sono pronto a tutto». E perché i governativi non hanno ancora deciso come reagire. Alfano, infuriato e sconvolto, era al Ppe, a Bruxelles, e non si aspettava una mossa così repentina, che lo ha ferito. Ora è al bivio: rompere, come gli consigliano i più duri dei suoi - da Cicchitto alla Lorenzin a Quagliariello,per i quali la decisione «è già presa, bisogna solo stabilire le modalità, non è un parricidio ma un infanticidio» - e costruire un partito centrista con quella parte del Pdl che si staccherà e Mauro e Casini. Oppure inghiottire l’amarissimo boccone e restare, aspettando che la bufera passi perché, come gli suggeriscono altri, «il dopo Berlusconi è già iniziato, e tu puoi giocartelo contro i falchi». È la decisione più difficile per Alfano, in ballo ci sono storie politiche, e la sorte del governo, sempre più in bilico. Ma dalla drammatica cena notturna dei governativi a emergere era una sola certezza: «Comunque finisca è una sconfitta per tutti. Per Berlusconi e per noi».

giovedì 24 ottobre 2013

ARRESTATO PERCHE' STACCA UN DITO DALLA MANO DI UN VIGILE




(AGI) - Roma, 24 ott. - Ha cercato di sfuggire inutilmente a un posto di blocco e, una volta fermato e condotto negli uffici della Polizia Municipale di Roma, ha aggredito un vigile staccandogli parte di un dito della mano con un morso. Autore del gesto e' un cinquantaquattrenne nato a Castellammare di Stabia, ma residente a Roma, che e' stato arrestato. Tutto ha avuto inizio oggi in viale Aventino, quando una pattuglia di vigilesse ha intimato l''alt' a uno scooter che, invece di fermarsi, ha tentato di sottrarsi al controllo.
Il motociclista e' stato successivamente bloccato e condotto presso il Git (Gruppo intervento traffico) in circonvallazione Ostiense. Dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che l'uomo, mentre veniva identificato, si sia scagliato contro uno degli agenti, Giuseppe Caracciolo, staccandogli di netto una falange della mano. Il vigile sarebbe stato trasportato prima all'ospedale San Giovanni, poi al San Camillo dove i medici avrebbero constatato l'impossibilita' di ricucire la falange e quindi di nuovo al San Giovanni. (AGI) .

EZIO GREGGIO, UNO STRANO GIRO DI MILIONI DI EURO E LA FINANZA

 


Se non fosse lui a consegnarli, sicuramente stavolta glielo avrebbero affibbiato senza problemi. Ezio Greggio, noto conduttore televisivo di Striscia la Notizia è nuovamente nei guai con il Fisco. Oltre alla maxi evasione fiscale scoperta tempo fa, spunta adesso un elicottero sospetto di proprietà del conduttore tv.

Tutto nasce dalle indagini portate avanti dalla Guardia di Finanza e la Procura di Monzastanno su Greggio che hanno portato a conoscenza di uno strano giro di soldi. Tra questi, una somma di oltre 20 milioni di euro che l'anchorman avrebbe ricevuto dalla storica azienda per cui lavora, Mediaset. Una parte di questi soldi sarebe stata investita in un società irlandese, mentre un'altra sostanziosa quota è custodita nel Principato di Monaco, noto paradiso fiscale dove Greggio ha la residenza, seppure contestata dagli inquirenti come "fittizia, foriera di indiscutibili vantaggi fiscali".

Una maxi evasione che potrebbe risolversi con un accordo tra il conduttore tv e il Fisco, attraverso il pagamento di un terzo delle somme da dare allo Stato per ottenere uno sconto della pena ed evitare il carcere. Potrebbe, appunto. Perchè durante le indagini è spuntata un'altra inquietante novità.
Si tratta infatti dell'acquisto di un elicottero da 3,5 milioni di euro, comprato nel 2005 attraverso intricati escamotages.
A rivelare la truffa, un'inchiesta pubblicata il 23 ottobre su Il Fatto Quotidiano: Greggio avrebbe acquistato un A109 Power "Elite" da AgustaWestland, società di Finmeccanica controllata per il 30% dal Tesoro. L'acquisto formale, in realtà, è stato effettuato dalla Swift Copter, società di diritto britannico con sede a Londra che cambia spesso denominazione, ma la sigla di immatricolazione dell'hangar conferma che il vero proprietario è Greggio, anche perchè avrebbe dato tutte le istruzioni "frivole", dalla scelta dei tappetini all'altezza del logo.

Il nome di Greggio appare però in una scrittura privata tra Agusta e la società britannica, nella quale lo showman dichiara di impegnarsi a presenziare ad alcuni eventi a scopo promozionale "che diano risalto al ruolo dell’elicottero nel trasporto Vip”, come scritto da contratto. L'attività non prevederebbe alcun compenso, perchè "valorizzate nelle determinazione del prezzo dell’A109”, garantendo uno sconto di ben 300 mila euro dal prezzo di listino.

TROVATA LA MADRE DELLA PICCOLA MARIA: E' UNA DONNA BULGARA PRIVA DI MEZZI ECONOMICI





 "L'ho regalata perché non potevo mantenerla". Si chiude con questa frase shock il mistero di Maria, 'l'angelo biondo' trovato in un campo rom in Grecia. A parlare è la madre, una donna bulgara di 35 anni, scoppiata in lacrime davanti alla tv quando ha visto le immagini della figlia. Per mettere la parola fine sul mistero manca in realtà un passaggio fondamentale: l'esame del Dna, ma le dichiarazioni della madre e l'incredibile somiglianza di alcuni dei suoi 10 figli con Maria farebbero pensare che la donna stia dicendo la verità.

Una storia di povertà e miseria - Sarebbe dunque una storia di povertà e miseria quella che si nasconde dietro la vicenda che per 10 giorni ha tenuto con il fiato sospeso non solo i greci, ma il mondo intero, con migliaia di segnalazioni di genitori ai quali sono spariti i figli in cerca di una speranza. Una storia che parte dalla cittadina bulgara di Gourkovo, nella provincia centro-meridionale di Stara Zagora, dove la polizia ha fermato la donna. Tutto è nato da un'indagine giornalistica: secondo il sito web greco Zougla.gr, la donna - originaria della città di Nikolaevo - avrebbe dato alla luce Maria in un ospedale di Lamia, nella Grecia centrale, il 31 gennaio 2009. Il sito pubblica anche il presunto certificato di nascita della bimba con il nome del medico greco che ha assistito al parto e un altro documento presentato come il certificato di matrimonio della donna con Atanas Roussev, 36 anni, che sarebbe stato celebrato nel 1996 a Nikolaevo.
"Ho dato via mia figlia perché non avevamo da mangiare" - La famiglia Roussev ha oggi 10 figli, cinque dei quali sono biondi o quasi albini e, secondo chi li ha visti, assomigliano in modo impressionante a Maria. E cosi', quando ha visto la sua foto in televisione, come ha raccontato uno dei suoi figli alla Tv di Stato bulgara, la donna e' scoppiata a piangere e ha capito subito che si trattava della sua bambina. "Abbiamo lasciato Maria in Grecia perché non avevamo da mangiare, non avevamo lavoro e non potevamo prenderci cura anche di lei - ha detto all'agenzia bulgara Bgnes - l'abbiamo regalata, l'abbiamo lasciata senza prendere un soldo". Ma gli inquirenti stanno cercando di controllare alcune voci secondo cui la Rousseva avrebbe ricevuto 250 euro da Selini Salis, la donna rom di 41 anni nella cui casa la polizia greca ha trovato Maria che faceva capolino da sotto una coperta.
Sospetto traffico di minori - Proprio per il timore che le comunità rom esistenti in Grecia possano dare copertura a un grosso traffico di minori, nelle ultime 48 ore le autorità di Atene hanno lanciato una vasta operazione di controlli negli accampamenti fermando una quarantina di persone. In particolare una giovane coppia rom, 19 anni lei e 21 lui, è stata arrestata sull'isola di Lesbo perché sospettata di aver rapito un neonato di due mesi trovato con loro. Con essi è stata arrestata anche la madre dell'uomo, 51 anni. "Dai primi accertamenti ci risulta che i due non sono i genitori del neonato", ha detto un portavoce della polizia. I tre sono stati fermati dopo che un impiegato dell'anagrafe di Mytilini, il capoluogo dell'isola, si è insospettito perché gli era stata presentata un'autocertificazione per la nascita del bimbo invece che una dichiarazione dell'ospedale come richiesto dalla legge.

STUDENTE AGGREDITO DA ISLAMICI INTEGRALISTI PERCHE' BEVEVA BIRRA







Uno studente americano di 22 anni, Francesco Hounye, è stato aggredito e pestato da una 'ronda islamica' nelle vie di Whitechapel, quartiere nell'est di Londra. Secondo il Times, è stato preso di mira da cinque giovani asiatici membri di una gang perché stava bevendo una bottiglia di birra, andando contro quindi il divieto agli alcolici previsto dalla religione musulmana. Le foto del giovane, che avrebbe origini italiane, col volto insanguinato e tumefatto sono finite sui maggiori giornali britannici ed è stato anche diffuso dalla polizia della capitale un video ripreso dalle telecamere a circuito chiuso in cui si vedono i membri della gang avventarsi sullo studente arrivato da pochi giorni nel Regno Unito.

Uno degli aggressori ha preso la bottiglia di Hounye e l'ha rotta sulla sua fronte, provocando una profonda ferita, per cui poi in ospedale sono stati necessari 23 punti di sutura. Scotland Yard continua a cercare i cinque assalitori e ha fatto un appello a chiunque ne conosca l'identità. Nella zona di Whitechapel sono da qualche tempo attive alcune 'ronde islamiche', formate da giovani soprattutto della comunità asiatica che aggrediscono le persone che bevono, chi reputano omosessuale, e le ragazze vestite in abiti succinti. Il fatto è avvenuto il 17 giugno ma i particolari sono stati rivelati solo ora. ''Dopo quanto successo ho molta paura ad uscire per le vie di Londra - ha dichiarato Hounye - Non so se continuare i miei studi qui dopo questo incidente e porterò per sempre sul mio volto i segni di questa aggressione''.

mercoledì 23 ottobre 2013

TRE MILIONI DI EURO PER COMPRARE UN SENATORE

Arrivano da Napoli i nuovi guai giudiziari per Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è stato rinviato oggi a giudizio dal gup Amelia Primavera per corruzione assieme al giornalista Valter Lavitola; il processo comincerà il prossimo 11 febbraio davanti alla IV sezione del Tribunale. Tra il 2006 e il 2008, è l’accusa, l’ex presidente del Consiglio e l’ex direttore dell’ Avanti! consegnarono tre milioni all’ex senatore Sergio De Gregorio perché abbandonasse la maggioranza di centro sinistra e passasse con il centro destra. De Gregorio, che ha confessato di avere intascato quel denaro, ha patteggiato la pena di venti mesi di reclusione.

Per i legali di Berlusconi, Michele Cerabona e Niccolò Ghedini, quella del gup è «una decisione straordinaria»: «Solo pochi mesi fa - ricordano - lo stesso ufficio gip, con un diverso giudice, aveva stabilito l’improcedibilita’ del richiesto giudizio immediato, rilevando insussistente l’ipotesi corruttiva. Ora sugli stessi elementi viene fissato il giudizio». Una decisione che scatena, come prevedibile, la reazione politica del Pdl: giustizia a orologeria, aggressione giudiziaria e strategia delle toghe sono i giudizi che ricorrono nelle infuocate dichiarazioni dal partito.

La sentenza è arrivata nel pomeriggio, dopo circa un’ora e mezzo di camera di consiglio. Un Valter Lavitola dall’aria rilassata ha assistito alla lettura del dispositivo. Ad attendere, davanti all’aula 213, numerosi giornalisti. Altrettanto numerosi fotografi e cameraman attendevano all’ingresso del palazzo di giustizia sperando di catturare qualche immagine di Lavitola. Il giornalista, riarrestato nelle scorse settimane per decisione della Corte d’appello dopo essere stato filmato nel cortile del palazzo in cui abita, ha confermato di avere dato consistenti somme di denaro a Sergio De Gregorio, asserendo tuttavia che si trattava di soldi relativi al finanziamento del quotidiano L’Avanti!.

Sarà dunque un collegio di giudici a vagliare gli elementi di prova raccolti dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, coordinato dal colonnello Nicola Altiero, e a decidere se, offrendo denaro a Sergio De Gregorio, Berlusconi e Lavitola commisero il reato di corruzione. Soddisfatta l’accusa, rappresentata in aula dai pm Alessandro Milita e Henry John Woodcock, titolari dell’inchiesta assieme ai colleghi Fabrizio Vanorio e Vincenzo Piscitelli. La difesa del Cavaliere (era presente solo l’avvocato Michele Cerabona, ma si è allontanato prima della sentenza) ha invece sempre sostenuto che i soldi versati da Berlusconi non dovevano servire a mettere in minoranza il governo guidato da Romano Prodi, come poi avvenne nel 2008, ma solo a sostenere il movimento politico fondato da De Gregorio.

«Nessun’altra dazione di denaro c’è stata - ripetono Cerabona e Ghedini - e, come risulta dagli atti, De Gregorio voleva fortemente tornare nel centrodestra. Per sua stessa ammissione, tutti i voti dati nel corso della legislatura erano correlati alle sue convinzioni personali e non già a somme di denaro ricevute o promesse». La difesa resta ottimista sull’esito del processo: «Il dibattimento non potrà che chiarire ulteriormente questa situazione, con il conseguente riconoscimento dell’insussistenza dei fatti contestati».

Soddisfatto, a fine giornata, Sergio De Gregorio: «Mi fa piacere che il gup giudichi vere le mie parole». Il suo ex partito, l’Idv, sarà parte civile nel processo, ricorda Antonio Di Pietro. Il resto dei commenti viene dal Pdl, cominciando da Renato Schifani («Milano chiama, Napoli risponde: ma nessuno si illuda, Berlusconi resterà leader del centrodestra») e Renato Brunetta («Continua la guerra dei vent’anni»). «Strategia chiara, riforma della giustizia ineludibile», avverte Mara Carfagna. «Non si può far fuori per via giudiziaria chi ha ancora i suoi consensi e la sua credibilità», aggiunge Mariastella Gelmini.

«Ennesimo episodio di accanimento giudiziario» secondo Maurizio Gasparri; per Raffaele Fitto «certa magistratura sovverte le regole democratiche e la volontà degli elettori». Con il rinvio a giudizio «si riscrive la Costituzione, introducendo il vincolo di mandato per i parlamentari», riflette Daniela Santanché. E Maurizio Sacconi: «Siamo tutti testimoni di come cadde il governo Prodi, sarebbe assurdo pretendere di riscrivere quella cronaca in un’aula giudiziaria». 

CONFESSIONE CHOC PER LA BELLISSIMA CUCINOTTA: A 20 ANNI UN UOMO TENTO' DI VIOLENTARLA






"Ho provato anch'io sulla mia pelle la violenza degli uomini. Quando avevo 20 anni mi ero trasferita a Parigi. Un pomeriggio per strada, un tipo mi ha seguito e mi ha messo le mani addosso. Ha cercato di strapparmi la felpa, ma sono riuscita a scappare dentro un portone e ho chiamato la polizia. Quando sono arrivati mi hanno detto: 'Eh, ma tu sei mediterranea, li provochi'. Questa la scioccante confessione che Maria Grazia Cucinotta ha rilasciato in una intervista esclusiva pubblicata da "Chi".
L'intervista a "Chi""Per questo - racconta Cucinotta - ho deciso di combattere attivamente contro la violenza sulle donne. Compresi i tanti pregiudizi, come quello per cui una donna che subisce violenza probabilmente se l'è un po' cercata, perché troppo femminile o non abbastanza sottomessa. Oggi se una donna si veste un attimo più carina, anche solo per andare in ufficio, per gli uomini è una tacita autorizzazione a provarci o a considerarle sgualdrine. Una donna - conclude Cucinotta - non deve vergognasi di essere attraente, né avere paura di essere donna".

MUORE ALBERTO MUSY DELL'UDC. IL SUO ASSASSINO FRANCESCO FURCHI' E' IN CARCERE

Il consigliere comunale di Torino, Alberto Musy, candidato sindaco alle ultime elezioni amministrative, è stato raggiunto dopo le 8 del mattino del 21 marzo 2012 da tre proiettili davanti al portone di casa da un uomo che indossava un casco bianco. Oggi dopo un coma durato diversi mesi è morto.  Il capogruppo dell’Udc è stato ferito da due proiettili al braccio destro e un terzo ha colpito la spalla sinistra. Musy aveva da poco accompagnato i quattro figli a scuola quando è rientrato a casa perché aveva dimenticato l’iPad. Secondo la testimonianza della moglie, Angelica D’Auvare, le sue parole prima di svenire sono state: “Ange, mi hanno seguito…”. Musy è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Molinette per un ematoma cerebrale successivamente i medici hanno fatto sapere che l’uomo si trova in prognosi riservata ma è fuori pericolo.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti una persona avrebbe citofonato alle 8.30 a un vicino di Musy in via Barbaroux per farsi aprire con la scusa di dover consegnare un pacco. L’aggressore una volta dentro il cortile dello stabile ha atteso l’arrivo di Musy e ha scaricato cinque colpi di un P38 in direzione dello stesso. La moglie del consigliere comunale si trovava nella sua abitazione al quarto piano sentendo le urla del marito è corsa prontamente a prestargli i primi soccorsi poi è arrivato un vicino che agli inquirenti ha fornito un identikit sull’aggressore: “un uomo tra i 40 e i 45 anni”. Per le forze dell’ordine l’agguato rimane un mistero visto che Musy non ha mai ricevuto minacce.






Alberto Musy era  molto stimato per la pacatezza dei toni che sono il suo stile anche in politica. Un'esperienza nella quale si era tuffato nella primavera scorsa, accettando l'invito a candidarsi sindaco, pur sapendo di avere la strada sbarrata da Piero Fassino, cavallo vincente del centrosinistra, e Michele Coppola, schierato dall'asse Pdl-Lega Nord.
Avvocato, docente di diritto privato comparato, aveva 46 anni, era sposato e lascia quattro figlie di cui la piu' piccola ha tre anni.
Nella sua attivita' professionale si occupava, tra l'altro, di cause di lavoro. Aveva conosciuto la moglie, Angelica Corporandi D'Auvare, durante la campagna elettorale del Partito Liberale. Musy insegnava all'Universita' del Piemonte Orientale, ma e' stato docente anche a Montreal, New York e Tel Aviv. L'anno scorso, dopo la rinuncia a candidarsi per i centrosinistra di Francesco Profumo, Udc, Fli e Api avevano puntato proprio su Musy, un candidato della societa' civile con l'obiettivo di inserirsi nella lotta tra centrodestra e centrosinistra, cercare di convincere gli indecisi e riportare al voto i tante astenuti (34%) nella precedente consultazione.
A Musy, che nei quattro anni precedenti il voto del 2011 aveva studiato il rilancio di Torino per il centro Einaudi, tuttavia, aveva pensato anche una parte del Pdl, prima di optare, al termina di una lunga discussione interna, sulla candidatura di Coppola, assessore regionale alla Cultura. Alle Amministrative Musy ha poi raccolto il 4,9% delle preferenze, con 21.896 voti.

L'autore del delitto ripreso dalle telecamere di  videosorveglianza nel centro storico di Torino lo ripresero, ma ci volle molto tempo prima che la polizia individuasse un presunto responsabile, arrestato un anno dopo: si tratta di Francesco Furchì (in carcere) che era stato candidato alle ultime elezioni comunali di Torino nelle quali sosteneva Musy e che avrebbe agito per rancori causati dai mancati aiuti di Musy in alcune vicende, come il tentativo di acquisizione della fallita società ferroviariaArenaways.
  Un lungo silenzio: è stata questa la reazione di Furchì quando in mattinata gli è stata portata la notizia della morte di Alberto Musy. Furchì è stato descritto da chi ha avuto occasione di parlargli come «sconcertato». Ai suoi interlocutori si è limitato a dire, dopo un lungo silenzio, le parole «e ora?».
«PERIZIA SUPER PARTES» - Proprio martedì Furchì aveva chiesto «una perizia superpartes», magari affidata a specialisti di «fuori Piemonte» per evitare che possano essere influenzati. Furchì intende rebbe rilasciare dichiarazioni spontanee. In una lettera inviata a tutti i giornali ha scritto che nel corso delle udienze sono emerse «eclatanti discordanze» fra i pareri degli esperti che, per conto di accusa e difesa, hanno cercato di stabilire se lui sia davvero «l’uomo con il casco» filmato dalle telecamere sparse per il centro cittadino mentre, a piedi, si aggira nella zona in cui fu teso l’agguato a Musy. Da qui la sua richiesta di una perizia.
COSA CAMBIA AL PROCESSO - “Dal punto vista processuale - spiega l’avvocato Gian Paolo Zancan che segue la famiglia Musy - cambia l’imputazione, che diventa omicidio volontario premeditato punito con l’ergastolo. Cambia il giudice, che diventa la corte d’Assise, quindi prevedo che ora si faccia l’accertamento autoptico del nesso causale, che è evidente che resterà quella che lo ha condotto in stato vegetativo. E il tribunale rimetterà gli atti al pm dichiarandosi incompetente. Si svolgerà quindi un processo in corte d’Assise. Col consenso delle parti comunque tutti gli atti di quanto fatto finora sono utilizzabili”. Sull’unico imputato, Francesco Furchi’, che si è sempre dichiarato innocente, il legale ha detto: “non credo che cambierà atteggiamento. Finora ha ragionato con una pervicacia ostinata e negativa, non prevedo cambiamenti che sono sempre possibili ma non ritengo che lui cambi”.
LA FAMIGLIA - Musy è morto intorno alle 22 in una clinica in Piemonte dove sono ricoverati pazienti in coma irreversibile. La moglie Angelica ha ricevuto la telefonata poco dopo e intorno alle 23 ha sentito Zancan. “Adesso vorrei che si mantenesse il silenzio che si addice al lutto. Sottolineo il calvario di questa famiglia - prosegue l’avvocato - moglie sorella e quattro figlie che dopo così tanto tempo in stato vegetativo ora vedono le loro speranze al milionesimo azzerarsi”.

KENT: ITALIANO UCCISO DA 4 LITUANI PERCHE' "GLI RUBAVA" IL LAVORO

Un diciannovenne di Nibionno (Lecco), Joele Leotta, è stato ucciso a calci e pugni a Madistone, capoluogo del Kent da un gruppo di nove ragazzi, tra i 21 e i 25 anni, fra cui 4 lituani ubriachi che volevano impartire una lezione a lui e a un suo amico, Alex Galbiati, ''perché - questo il motivo come raccontato dal quotidiano Il Giorno - rubavano il lavoro''. Intanto è stato dimesso dall'ospedale Alex Galbiati, l'altro ragazzo italiano sopravvissuto all'aggressione. La famiglia di Alex si sta recando sul posto.
"Rubi lavoro" - Joele Leotta era andato in Inghilterra per imparare l'inglese e, per mantenersi, aveva trovato impiego con l'amico in un ristorante della zona. E' qui che i giovani hanno cominciato a importunare i due italiani, accusandoli di rubare lavoro e, quando ormai i due ragazzi lecchesi erano nel loro alloggio, i nove hanno fatto irruzione e li hanno massacrati. Uno di loro avrebbe anche usato un coltello contro Leotta. L'amico, Alex Galbiati, ha avuto lesioni al collo, alla testa e alla schiena: è ancora in ospedale ma sarebbe fuori pericolo.
La polizia: "Non sono inglesi" - La polizia locale ha dichiarato che "sono di nazionalità straniera, non inglesi" le persone che rimangono in stato di arresto per l'aggressione. Lo ha riferito all'ANSA la polizia del Kent. "Non stiamo trattando l'episodio come un incidente a sfondo razziale", ha detto un portavoce della polizia.
Console, aspettiamo capire i fatti  - Comunque "sono in corso le indagini di polizia e siamo in attesa di capire esattamente cosa sia accaduto". Lo ha detto  il console generale d'Italia a Londra, Massimiliano Mazzanti, che sta seguendo da vicino la vicenda. Confermando che i responsabili sono in stato di fermo, il console ha sottolineato che non sono stati diffusi dettagli sulla loro età o nazionalità: "Aspettiamo di conoscere lo svolgimento dei fatti, fino a quel momento ogni ricostruzione è illatoria", ha ribadito. Intanto la famiglia del giovane italiano rimasto vittima dell'aggressione è giunta nel Paese ed è costantemente assistita dal personale del Consolato.

Polizia: fermate sette persone -  "Sono state originariamente fermate nove persone, sette rimangono in stato di arresto e sono tutte di nazionalità  straniera'', ha detto inoltre il portavoce aggiungendo che delle due persone rilasciate, che dovranno presentarsi alle forze dell'ordine a dicembre quando verranno sentite sulla base degli sviluppi delle indagini, solo una è di nazionalità britannica.
Padre: "So solo che è morto" - "L'unica cosa certa è che mio figlio è stato ucciso, che si tratta di omicidio... sul movente io non posso ancora dire nulla", ha detto Ivan Leotta, padre di Joele. "Era arrivato solo una settimana fa, escludo abbia avuto il tempo di infilarsi in situazione di rischio". ''Mio figlio era arrivato qui lunedì 14 e il giorno dopo aveva cominciato a lavorare nel ristorante Vesuvius a Maidestone dove aveva trovato anche alloggio - ha spiegato ancora il padre - Se non sbaglio il ristorante è gestito da italiani". "Conosco anche l'altro ragazzo aggredito con il quale abbiamo cercato di parlare appena arrivati in Inghilterra - ha aggiunto Leotta - ma è ancora sotto shock oltre che malridotto per il pestaggio subito". Tornando sul movente Ivan Leotta ha ribadito di non aver avuto conferma che l'aggressione abbia avuto uno sfondo razzista. "Ma nel pomeriggio ho appuntamento con gli investigatori che si occupano del caso - ha detto - per telefono non hanno voluto dirmi nulla".
Sindaco, hanno urlato italiani di m...   - Il sindaco di Nibionno, nel Lecchese, Claudio Usuelli, parla di ''comunità sconvolta'' dall'omicidio di Joele nel Kent, dove era andato una decina di giorni fa per studiare inglese e aveva trovato lavoro in un ristorante. Usuelli racconta che, da quanto ha appreso da ''fonti qualificate'', le nove persone che hanno aggredito Joele e il suo amico ''hanno sfondato la porta della loro camera, urlando: italiani di m..., ci rubate il lavoro''. E' "sconvolgente", secondo Usuelli, che "un ragazzo lasci il proprio Paese per cercare un'esistenza libera" e trovi la morte "da parte di energumeni, perché solo così vanno chiamati". Il sindaco di Nibionno polemizza anche con le autorità inglesi che hanno avvisato con ritardo quelle italiane. "Dobbiamo prendere lezioni di efficienza tutti i giorni da inglesi, tedeschi e altri, quando, in questo caso, i carabinieri di Costa Masnaga e la Farnesina si sono impegnati al massimo per dare informazioni alla famiglia di Joele. "I famigliari sono stati informati da un'amica del ragazzo dall'Inghilterra - ha spiegato il sindaco -: solo grazie ai carabinieri e alla Farnesina sono riusciti a capire che cosa era successo. Non dagli inglesi che si sono mossi in ritardo".

IL PAPA: I PESCI PICCOLI SONO IN CARCERE; QUELLI GROSSI SONO FUORI

Alle ore 9.30 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, prima dell’Udienza Generale, Francesco ha ricevuto nell'aula Paolo VI i partecipanti al Convegno Nazionale dei Cappellani delle carceri italiane.


Ai detenuti, a nome del Papa, ha detto Bergoglo: «potete dire questo: il Signore è dentro con loro; nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, il suo amore paterno e materno arriva dappertutto» ha detto Bergoglio, che ha affidato questo messaggio per gli ospiti delle sovraffollate carceri italiane a 150 cappellani, presenti.


«Prego - ha confidato ai sacerdoti - perché ciascuno apra il cuore a questo amore. E prego anche per voi cappellani, per il vostro ministero, molto impegnativo e molto importante, perché esprime una delle opere di misericordia». «Voi - ha scandito Francesco - siete segno della vicinanza di Cristo a questi fratelli che hanno bisogno di speranza». «Il Signore - ha poi concluso rivolto ai cappellani - vi benedica e la Madonna vi accompagni».

Anche il Signore è stato "carcerato dai nostri egismi, dai nostri sistemi, dalle tante ingiustizie. È facile punire i più deboli, mentre i pesci grossi nuotano". Parlando a braccio durante l'udienza, il Pontefice ha detto: "Recentemente - ha continuato - avete parlato di una giustizia di riconciliazione, ma anche una giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti, questa non è una utopia, si può fare, non è facile perché le nostre debolezze sono dappertutto, il diavolo è dappertutto, ma si deve tentare". Bergoglio nella udienza generale in una piazza San Pietro gremita, ha ribadito un concetto alui caro: «La Chiesa non è un negozio, la Chiesa non è un’agenzia umanitaria, la Chiesa non è una ong, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo» sottolineando che «la Chiesa non porta se stessa, se è piccola, se è grande, se è forte, se è debole, ma la Chiesa porta Gesù. E la Chiesa deve essere come Maria, quando è andata - lo abbiamo sentito nel Vangelo - quando è andata a fare la visita ad Elisabetta. Cosa portava Maria? Gesù! E la Chiesa porta Gesù. E questo è il centro della Chiesa, eh? Portare Gesù». «Se, un’ipotesi, una volta succedesse che la Chiesa non porta Gesù, - ha rimarcato papa Francesco - quella è una Chiesa morta. Capito? Deve portare Gesù? E deve portare la carità di Gesù, l’amore di Gesù, la forza di Gesù».


Papa Francesco telefona abitualmente ad alcuni carcerati a Buenos Aires. Lo ha raccontato lui stesso nel corso dell'incontro con i cappellani delle carceri italiane, ai quali ha confidato che dopo la conversazione con l'uno o l'altro dei suoi amici dietro le sbarre, poggiata la cornetta gli viene alla mente una domanda dolorosa: «Perché lui è lì e non io?». «Ogni volta che chiamo i carcerati di Buenos Aires, ogni tanto la domenica per una chiacchiera, mi domando: perché lui e non io?», ha detto parlando a braccio. «Io - ha aggiunto - che meriti più di lui ho per non stare lì». «Fa bene domandarsi: `Perché lui è caduto e non io?´ Le debolezze che abbiamo sono le stesse... È un mistero che ci avvicina a loro», ha osservato il Pontefice.
Nel suo saluto a papa Francesco, don Virgilio Balducchi, a nome di tutti i cappellani delle carceri italiani ha avanzato tre richieste al Papa: l'istituzione di un «luogo permanente» per i detenuti e problemi delle carceri, all'interno di un dicastero vaticano, «magari - ha suggerito - `Giustizia e pace´-; una «celebrazione di riconciliazione qui in Vaticano, con lei», da fare l'anno prossimo, incentrata sul tema delle carceri; infine che il Papa sostenga «anche davanti ai politici dell'Italia che anche in Italia c'è bisogno di una giustizia maggiormente riconciliativa, e sarebbe ora che la si applicasse». Ieri sul tema, nell'ambito del convegno, era intervenuto il segretario della Cei Monsignor Mariano Crociata.

PAPA FRANCESCO ALLONTANA IL VESCOVO DI LIMBURG. TROPPI SPERPERI NELLA DIOCESI




Stop con le spese esagerate. Per questo Papa Francesco ha deciso di allontanare dalla diocesi tedesca di Limburg monsignor Franz-Peter Tebartz-van Elst. Il vescovo ha suscitato numerose polemiche e critiche in Germania soprattutto da parte di molti preti e fedeli della sua diocesi, per aver sostenuto spese faraoniche per la ristrutturazione della sua residenza.
 "Il Santo padre - spiega la sala stampa della Santa Sede in un bollettino - è stato continuamente informato ampiamente e obiettivamente sulla situazione nella diocesi di Limburg. Nella diocesi si è venuta a creare una situazione nella quale il vescovo, mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, nel momento attuale non può esercitare il suo ministero episcopale".
"Dopo la 'visita fraterna' - prosegue la Santa Sede - del card. Giovanni Lajolo nello scorso mese di settembre, la conferenza episcopale tedesca, conformemente a un accordo fra il vescovo e il capitolo del duomo di Limburg, ha costituito una commissione per intraprendere un esame approfondito della questione della costruzione della sede episcopale. In attesa dei risultati di tale esame e dei connessi accertamenti sulle responsabilità in merito, la Santa Sede ritiene opportuno autorizzare per mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst un periodo di permanenza fuori della diocesi".
 "Per decisione della santa sede entra fin da oggi in vigore la nomina dello stadtdekan Wolfgang Rosch - conclude la nota - come vicario generale, nomina che era stata annunciata dal vescovo di Limburg per il 1° gennaio 2014. Il vicario generale Rosch amministrerà la diocesi di Limburg durante l'assenza del vescovo diocesano nell'ambito delle competenze legate a tale ufficio".Città del Vaticano, 23 ott. (TMNews) - 

                                           


Il Papa ha stabilito che il controverso vescovo tedesco di Limburg, Franz-Peter Tebartz-van Elst, al centro da settimane di polemiche per le spese eccessive di costruzione della sua residenza, trascorrerà "un periodo di permanenza fuori dalla diocesi" ed ha costituito "una commissione per intraprendere un esame approfondito della questione della costruzione della sede episcopale". Durante l'assenza del vescovo, entra in carica un nuovo vicario generale, Wolfgang Roesch. Il vescovo di Limburg è al centro delle polemiche in Germania per le spese eccessive sostenute per la ristrutturazione dell'episcopio pari a circa 31 milioni di euro. Il vescovo tedesco era giunto all'inizio della settimana scorsa a Roma per incontrare il Papa, che gli ha concesso udienza lunedì, dopo aver ricevuto nei giorni precedenti il presidente della conferenza episcopale tedesca, mons. Robert Zollitsch, e l'arcivescovo di Colonia, card Joachim Meisner. La sera prima dell'udienza del Papa, il vescovo di Limburg aveva ricevuto, al suo domicilio romano, la visita del suo connazionale mons. Georg Gaenswein, prefetto della Casa pontificia nonché segretario personale di Benedetto XVI. Val Elst due giorni fa è stato ricevuto da Papa Francesco, che proprio prima dell’incontro era tornato a scagliarsi contro la cupidigia, “strumento dell’idolatria e causa di distruzione degli esseri umani”, secondo il Pontefice.


martedì 22 ottobre 2013

DECURTATO L'ASSEGNO ALLA MOGLIE DI BERLUSCONI PARI A 1,5 MILIONI DI EURO



                                                     la seconda  moglie di Silvio Berlusconi



 Berlusconi non l'aveva mai digerito, l'assegno di mantenimento alla ex moglie: tre milioni di euro al mese, centomila euro al giorno, con Veronica che rinunciava alla villa di Macherio.
Lo considerava l'ennesimo schiaffo dei magistrati milanesi: un'altra botta al portafoglio, più o meno come il Lodo Mondadori con cinquecento milioni di euro a De Benedetti.
Così l'estate scorsa l'ex premier ha avviato a Monza una causa di divorzio. A Milano con Veronica Lario aveva trattato la separazione consensuale. I giudici brianzoli hanno praticamente dimezzato l'appannaggio della ex moglie: Berlusconi adesso le deve un milione e quattrocentomila euro al mese, quarantaseimila euro al giorno.
L'ex presidente del Consiglio aveva già provato a ricontrattare con Veronica gli alimenti. Si era parlato anche di un riavvicinamento dopo un incontro a pranzo e di un accordo sulle basi di questa cifra.
La cosa non era andata in porto. Gli avvocati avevano smentito ufficialmente e parlato solo di rapporti civili.
Ora la nuova svolta. L'ordinanza dei magistrati monzesi è appellabile sempre a Milano. Quindi, probabilmente, la querelle della separazione tra Silvio e Veronica avrà ancora un seguito.
Cominciò tutto con la lettera della Lario alla Repubblica nel 2007 con le vergini che si offrono al drago: un passaggio citato anche dai pubblici ministeri di Milano nella requisitoria del processo Ruby bis. Poi nel 2009 c'era stata un'altra missiva di Veronica dopo il caso del compleanno di Noemi Letizia festeggiato da Berlusconi in un ristorante di Casoria: Veronica aveva scritto di divertimento dell'Imperatore e ciarpame senza pudore per le candidature di un gruppo di ragazze alle elezioni europee.
Il matrimonio dopo ventidue anni ovviamente era saltato. Nel 2010 è scoppiato lo scandalo Bunga bunga e si è saputo più o meno tutte delle feste di Arcore con le Olgettine. L'estate scorsa la condanna per concussione e prostituzione minorile.
Veronica intanto è uscita di scena. Berlusconi ha trovato una nuova compagna, Francesca Pascale: una relazione passata tra le foto sui settimanali con il barboncino Dudù, la Pascale ha imposto la spending review a Palazzo Grazioli e, secondo i rumours dellla politica, vietato le visite ai falchi tipo Santanchè e Bondi, mentre la settimana scorsa da Santoro, Michelle Bonev ha gettato più di un'ombra sull'autenticità del rapporto e i gusti sessuali di Francesca e si è presa una querela e la richiesta di un risarcimento di dieci milioni.
Adesso il Tribunale di Monza assottiglia l'assegno di mantenimento per la ex moglie, una cosa di prassi, secondo gli avvocati di Berlusconi per i quali l'appannaggio dato nella causa di separazione normalmente si ritocca al ribasso in sede di divorzio. Berlusconi davanti ai magistrati di Bari che indagano sul caso escort aveva giustificato così i cinquemila euro versati ogni mese a Tarantini: "Signori, mi hanno condannato a pagare 3 milioni e 200 mila euro al mese a mia moglie, cioè 100 mila euro al giorno. Cinque mila euro sono venti minuti di pagamento, venti minuti a mia moglie".
                                                      La coppia ai tempi d'oro