giovedì 27 febbraio 2014

IL FILOSOFO CACCIARI: L'ORA DI RELIGIONE DOVREBBE ESSERE OBBLIGATORIA

Il filosofo agnostico Cacciari: "L'ora di religione è talmente fondamentale che dovrebbe essere obbligatoria"




Massimo Cacciari non ha dubbi. «La nostra tradizione religiosa insegnata obbligatoriamente a scuola. Non solo, la teologia dovrebbe essere presente in tutti i corsi universitari di filosofia». Riprendiamo un’intervista di Francesco Dalmas, tratta da Avvenire del 13/08/2009.








Il motivo di tanta perentorietà?

Siamo in presenza di un analfabetismo di massa in campo religioso.

Dunque lei è per l’obbligatorietà dell’insegnamento, senza se e senza ma.

Non lo dico da oggi: sarebbe civile che in questo Paese si insegnassero nelle scuole i fondamenti elementari della nostra tradizione religiosa. Sarebbe assolutamente necessario battersi perché ci fosse un insegnamento serio di storia della nostra tradizione religiosa. Lo stesso vale per le università; sarebbe ora che fosse permesso lo studio della teologia nei corsi normali di filosofia, esattamente come avviene in Germania.

La religione, dunque, alla pari della lingua italiana o della matematica. Non può essere un optional…

Macché optional. Per me è fondamentale il fatto che non si può essere analfabeti in materia della propria tradizione religiosa. È una questione di cultura, di civiltà. Non si può non sapere cos’è il giudaismo, l’ebraismo, non si può ignorare chi erano Abramo, Isacco e Giacobbe. Bisogna conoscerne la storia della religione, almeno della nostra tradizione religiosa, esattamente com’è conosciuta la storia della filosofia e della letteratura italiana. Ne va dell’educazione, della maturazione anche antropologica dei ragazzi. È assolutamente indecente che un giovane esca dalla maturità sapendo magari malamente chi è Manzoni, chi è Platone e non chi è Gesù Cristo. Si tratta di analfabetismo. La scuola deve alfabetizzare. Quando i ragazzi vanno in giro a fare i turisti vedono delle chiese e dei quadri con immagini sacre. Ma cosa vedono, cosa capiscono? Spesso riconoscono a malapena Gesù Bambino. Non sanno nulla delle nostre tradizioni. La religione è un linguaggio fondamentale. Come la musica.

Perché non pensare ad un insegnamento, più democratico, di Storia delle religioni?

Non ha nessun senso insegnare Storia delle religioni. Così come si insegna Storia della letteratura italiana e non storia delle letterature mondiali, storia dell' arte italiana e non storia dell' arte cinese, non vedo la necessità di insegnare il buddismo zen o la religione degli aztechi. Chi suggerisce di studiare tutte le storie delle religioni finisce per volere, in pratica, che non se ne studi nessuna. È necessario, invece, sapere bene almeno cosa dicono le grandi tradizioni monoteistiche.

A suo avviso non è sufficiente l’insegnamento che oggi viene assicurato?

No. Sappiamo benissimo che ora l’ora di religione non conta come dovrebbe contare, viene presa sottogamba.

Invece?

Vorrei che fosse una materia in cui si studiasse veramente la Bibbia, prendiamo in mano il Vangelo e approfondiamolo come facciamo con l’italiano piuttosto che con la filosofia o il greco o, ancora, il latino.

In cattedra, per l’insegnamento della religione cattolica, non può sedersi chiunque.

Certo, ma con il concorso pubblico, che auspicherei anche per l’insegnamento di questa materia, la Chiesa non correrebbe nessun rischio, perché l’insegnante sarebbe sempre una persona motivata, appassionata, che sente una vocazione per queste materie. Lo dico perché vorrei una Chiesa che si ponesse di fronte allo Stato e dicesse: ‘Ma non è indecente che nelle nostre scuole non ci sia la religione cattolica? È una materia importante al pari dell’italiano, della storia, dell’arte e della filosofia. Non è indecente che un ragazzo possa uscire dal liceo senza sapere cos’è il Vangelo? E all’università non si dovrebbe poter studiare teologia in modo da poter formare anche un corpo docente in grado di poter insegnare alle scuole medie professionalmente?’. La Chiesa dovrebbe liberarsi delle sue paure. E battersi perché nella scuola pubblica venga insegnata religione da docenti come gli altri. Chi vuole che vada a insegnare religione, se non una persona particolarmente motivata a questo tipo di studi? Di cosa hanno paura? Che vada il matematico Piergiorgio Odifreddi?

mercoledì 26 febbraio 2014

IL SOGNO DI UNA CHIESA PROGRESSISTA




Davvero qualcuno può pensare che papa Benedetto XVI, nel 2013,  si sia dimesso liberamente, spontaneamente, senza condizioni, senza pressioni, senza la gravissima minaccia di uno scisma, senza dossiers relativi a  scandali  (IOR, scisma invocato da alcuni cardinali e pedofilia) che coinvolgevano vescovi e cardinali? Stiamo ai fatti e al contesto storico in cui sono avvenute le dimissioni.  La Chiesa cattolica, durante il suo pontificato,  viene attaccata un giorno si e un giorno no dai giornali inglesi, tedeschi  e americani sul caso della pedofilia dei chierici che hanno abusato sessualmente di minori. I giornali  suddetti sono tutti di area protestante, massonica, oppure anticlericali e laicisti. Vedi Repubblica, L'Espresso, Corriere della Sera (Non è un caso che Martini abbia una rubrica fissa su tale giornale) e La Stampa; giornali  il cui capofila in Italia è il cardinale gesuita Carlo Maria Martini accusato di essere un massone di rito ebraico del 33° grado che aveva buoni rapporti con la Bocconi, Profumo, Unicredit e Intesa San Paolo,  Prodi, i deputati Monaco e Duilio (fatti eleggere dalle parrocchie e dall'azione cattolica su sua indicazione) e la sinistra democristiana di Martinazzoli. Non è stato amato dai ciellini, dall'Opus Dei, dalla Lega Nord e da Forza Italia e lui ha ricambiato cordialmente.  Il capolavoro di Martini sarà quello di controllare la Facoltà teologica di Milano e tutti i vescovi lombardi. Tutti privilegeranno la Sacra Scrittura e la politica rispettivamente con le scuole della Parola e le scuole  di Formazione Sociale e Politica che avranno molto successo di partecipazione. Per Martini l’unica autorità è la Bibbia (Sola Scriptura), cioè le Sacre Scritture che sono l’unica, sufficiente e infallibile regola di fede. Il magistero ecclesiastico ed in particolare l’autorità papale e la Sacra Tradizione non sono poi così  vincolanti... Martini credeva fermamente a ciò che Giovanni Calvino disse a tale riguardo:  "La differenza tra noi e i papisti sta nel fatto che essi credono che la chiesa non possa essere la colonna e il fondamento della verità se essa non signoreggia la Parola di Dio. Ma noi, al contrario, afferiamo che, solo in quanto essa si inchina reverente dinanzi alla Parola di Dio, può preservarla e trasmetterla ad altri". Possiamo dire che Martini è innamorato della Scrittura ma anche della teologia biblica protestante.
Martini, che era un biblista di fama internazionale, uomo colto e raffinato, aristocratico, che ha guidato per 25 anni la Diocesi più popolosa del mondo, Milano, dopo 7 anni di papato ratzingeriano,  ha voluto  con forza una discontinuità nel papato  con un gesuita che risiede a Buenos Aires: Jorge Mario Bergoglio che vive da solo rinunciando a privilegi del palazzo arcivescovile, senza lusso, senza scorta, senza sfarzo, sobriamente e che  frequenta le periferie, gli ultimi, i deboli e i non tutelati. 


Bergoglio, fino al 2005, era un cardinale sconosciuto, ma quando nel Conclave che eleggerà Ratzinger prenderà ben  40 voti dai cardinali elettori anche l'area progressista finalmente avrà un suo candidato  autorevole e un suo punto di riferimento anche perchè il cardinale Martini era stanco e malato. L'altro candidato progressista, Dionigi Tettamanzi,  che aspira al soglio di Pietro, prenderà solo due voti.  Ma Bergoglio supplica i fratelli cardinali di non votarlo perchè si sente impreparato a fare il Papa. E cosi la sua candidatura perde consensi e al quarto e ultimo scrutinio  saranno solo 26 cardinali a votarlo, gli altri 14 voti Martini li farà confluire su Ratzinger.  In totale 84 cardinali elettori voteranno compatti per il cardinale Joseph  Ratzinger. I 26 cardinali progressisti pensano che Ratzinger farà un pontificato breve come quello di Giovanni XXIII avendo ben 78 anni.  Ma egli, non solo resiste come papa Leone XIII che morirà a 93 anni (che la massoneria odiava per avere riabilitato nel 1879  la filosofia di san Tommaso con l'Enciclica Aeternis Patris),  ma ribadirà i cosiddetti valori non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione  e bene comune che non sono graditi ai cardinali progressisti ( essi dicono: "è meglio parlare d'altro senza irrigidirsi troppo su questi argomenti e mettere al primo posto l'annuncio del Vangelo"...). Questi principi, ovviamente, non sono verità di fede, anche se sono illuminati e confermati dalla fede; sono insiti nella natura umana, e pertanto sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nella loro promozione non è quindi di carattere professionale, ma si dirige a tutte le persone, indipendentemente dalla loro affiliazione religiosa.
"Questa azione - diceva papa Benedetto XVI -  è anzi ancor più necessaria nella misura in cui questi principi sono negati o fraintesi, perché in questo modo si compie un’offesa alla verità della persona umana, una grave ferita provocata alla giustizia stessa".
Nell’intervista a la “Civiltà Cattolica” papa Francesco dice:  «Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». E’ giusto dare ragione della nostra posizione in campo bioetico e cercare di aiutare gli altri a capire i loro errori, ma non è l’essenziale per un cristiano. Invece, ci spiega Papa Francesco, «l’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».




Il desiderio dev’essere innanzitutto di portare a tutti lo sguardo di misericordia che abbiamo incontrato nel volto di Gesù e quindi nella Chiesa. «Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù», ha spiegato giustamente. E ancora più chiaramente: «La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”». Da questo deriva anche tutto il resto: quando si prende coscienza di tale annuncio e lo si fa proprio, infatti, allora ne conseguirà anche una posizione morale sull’aborto, sull’eutanasia, sul matrimonio omosessuale ecc. E’ anche vero, comunque, che la sacralità della vita la si può capire e difendere anche per sola ragione, come fanno tantissimi laici nostri compagni. Ma se ci limitiamo a questo, senza un impegno principale nell’annuncio cristiano (“Gesù Cristo ti ha salvato!”) la nostra difesa in campo bioetico alla lunga risulterà sterile. La Chiesa deve innanzitutto «curare le ferite e riscaldare il cuore dei fedeli», perché siamo tutti feriti senza distinzione di credo o di filosofia o di fede politica.
Inoltre da buon teologo Papa Ratzinger custodirà il deposito della fede cattolica. Ribadirà l'importanza del Vaticano II, proclamerà santi e beati, ribadirà la grandezza della Maria Madre di Dio la grande assente tra i teologi di casa nostra, vigilerà sulla penetrazione della teologia protestante nei Seminari e nella Facoltà teologiche e controllerà con una pazienza certosina il curriculum di ogni aspirante vescovo al fine di evitare nomine controverse, discutibili, fallaci e nefaste. Il successore di Pietro di colui che fu eletto dal Signore a fondamento della sua Chiesa, e a cui il Signore affidò le somme chiavi del suo regno, con la missione di pascere e di riunire il suo gregge, l’umanità redenta, fino al suo finale ritorno glorioso, deve essere ridimensionato. Ed ecco la parola chiave dei martiniani  "collegialità" tenendo presente ovviamente  il dogma dell'Infallibilità del Pontefice Ex Cathedra ( proclamato nel 1870 da Pio IX nella Costituzione dogmatica Pastor Aeternus del Vaticano I)  che, come tutti gli altri dogmi cattolici, vengono ritenuti una prigione del pensiero. Il  gesuita padre De Rosa (di cui abbiamo sempre avuto una grandissima stima), nel 1985, vicedirettore de La Civiltà Cattolica, scriverà a questo riguardo, stupendoci e meravigliandoci non poco : “senza arrecare prove documentarie Pio IX, afferma che dell'infallibilità pontificia non vi è traccia né nella Scrittura né nella Tradizione; che, anzi, la storia dimostra doviziosamente il contrario; e che quella successiva al Concilio prova la sterilità del dogma di fronte all'attesa di verità importanti”. Ne conclude che "nessun nemico avrebbe potuto danneggiare la Chiesa più di Pio IX" e che "difficilmente nella storia avrebbe potuto esserci un papa cui applicare l'aggettivo di infallibile con maggiore trepidazione". 
      Il curioso  stemma di papa Francesco (la stella nella seconda versione è più grande)

Pio IX avrebbe convocato il Concilio mosso soprattutto da ambizioni personali ed avrebbe fatto dell'infallibilità (della/nella Chiesa) una questione ed una istanza personalissime per risarcirsi moralmente della deminutio politica: per riaccreditare il suo prestigio e riproporre la sua autorità, in forte calo dopo l'usurpazione dello Stato pontificio e la prevedibile prossima occupazione di Roma. Avrebbe voluto che fosse proclamata di fede l'incondizionata infallibilità del papa (e quindi la sua propria),
nonostante fosse priva di validi fondamenti scritturistici,
non fosse attestata da autentica ed universale tradizione,
fosse del tutto inopportuna dal punto di vista politico,
mettesse la Chiesa in totale contraddizione con la cultura moderna,
avesse contro un'agguerrita ed informata minoranza.
E per ottenere quella definizione, avrebbe forzato il Concilio:
cioè montata e plagiata la maggioranza,
imposto presidenze, commissioni, regolamenti e formule,

intimorito e ricattato e diviso la minoranza antiinfallibilista, la quale, ciononostante, si contrappose fino all'ultimo, disertando poi la votazione finale, così facendo mancare la unanimità morale alla Costit. Pastor Aeternus.

Il comportamento di Pio IX durante i lavori del Concilio, la durezza mostrata verso gli antiinfallibilisti, il non essere stato, egli, nel pieno possesso delle sue facoltà  (come si evincerebbe dallo scontro col patriarca melchita Gregorio Yussef e con il card. Guidi), proverebbero che il Concilio non ha avuto una libertà sufficiente e che quindi almeno la sua seconda Costituzione, la Pastor Aeternus, non può considerarsi valida.

Infine, l'accettazione del dogma da parte della minoranza antiinfallibilista è frutto delle pressioni subite e si riduce ad un atto di obbedienza, non ad una convinta professione di fede.
                                                 il cardinale Cardinale Carlo Maria Martini


Altra parola chiave dei martiniani (Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, honduregno, il cardinale brasiliano-tedesco Claudio Hummes, l’arcivescovo di Santiago del Cile Javier Francisco Erraruriz Ossa, il brasiliano, Joao Braz de Avizil capo dei vescovi Usa, Timothy Dolan, l'arcivescovo di San Paolo Odilo Scherer, quello di Tegucicalpa Oscar Maradiaga ( salesiano come Bertone), il cardinale di Boston Sean O'Malley, Cristoph Schoenborn, vescovo di Vienna. Godfried Danneels, l' arcivescovo di Bruxelles, Robert Sarah (della Guinea), il ghanese Peter Turkson, Luigi Bettazzi, vescovo Emerito di Ivrea,  è “sogniamo un nuovo Concilio Ecumenico.” E' evidente, a questo punto, che i progressisti vogliono l'abolizione del celibato sacerdotale, un ruolo importante per la donna nella Chiesa, discutere la questione della sessualità, rivedere la disciplina del matrimonio e quella della prassi penitenziale. Ma con Ratzinger sono bloccati nelle loro aspirazioni e sono disposti – solo a parole – a fare uno scisma. Ma Ratzinger pensa  nel suo cuore che  Gesù disse tre volte a Pietro: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore», essendo  ormai dichiarato suo continuatore, suo vicario nell’ufficio pastorale, che Gesù stesso indicò come sua caratteristica e preferita missione: «Io sono il buon Pastore» (Gv  10, 11). Il primato di Pietro, nella guida e nel servizio del popolo cristiano, sarebbe stato un primato pastorale, un primato d’amore. Nell’amore, ormai inestinguibile, di Pietro a Cristo sarebbero fondate la natura e la forza della funzione pastorale del primato apostolico. Dall’amore di Cristo e per l’amore ai seguaci di Cristo la potestà di reggere, di ammaestrare, di santificare la Chiesa di Cristo. Una potestà che non è lecito né contestare, né ingannare (cf. At  5); ma una potestà nascente dalla carità, nella carità esercitata e per la carità. Una potestà, di cui Pietro lascerà eredi i suoi successori sulla  sua cattedra romana, ed a cui egli darà nel sangue la suprema testimonianza: «Cum autem senueris, extendes manus tuas, et te alius cinget et ducet quo tu non vis»; «quando poi sarai invecchiato, - sono parole di Gesù a Pietro al termine del fatto evangelico ricordato - tenderai le mani, e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorresti. Disse questo (il Signore) per indicare con quale morte egli (Pietro) avrebbe reso gloria a Dio. E, detto ciò, gli soggiunse: Seguimi» (Gv  21, 18-19). La pietra di cui parla Gesù è sempre presente nei pensieri di Benedetto XVI,  questa vuol essere immagine ed onore, concepita da Cristo Signore, quando disse a Pietro: «Sopra questa pietra costruirò la mia Chiesa» (Mt  16, 18), edificata nell’amore? Dura ancora l’edificio escatologico, dura ancora la Chiesa, e sempre la carità è la sua vita.            
                   ll Patriarca di Venezia S.E. Mons. Francesco Moraglia


Siamo nel 2012 Martini muore ma i suoi confratelli progressisti intendono portare avanti le sue istanze con determinazione. In Vaticano, intanto, i corvi fanno sparire documenti riservati e fanno capire a Benedetto XVI che sono in grado di controllare ogni sua mossa, attaccano violentemente il Segretario di Stato Tarcisio Bertone e chiedono la testa del presidente IOR Gotti Tedeschi ( al suo posto verrà nominato un massone tedesco).  I giornali di area protestante continuano a perseguitare Benedetto XVI  sul tema della pedofilia del clero nonostante egli abbia fatto più di ogni altro papa per ridurre allo stato laicale i preti e vescovi pedofili. Non solo: Il Papa subisce l'umiliazione a Ratisbona nel corso della sua lectio magistralis.  Nel discorso di Ratisbona, Benedetto XVI rivendicò le radici ebraiche, greche e cristiane della propria fede, spiegando perché erano diverse dal monoteismo islamico. Odio e fanatismo, disse papa Ratzinger, sono “patologie” della religione e il jihad è “irragionevole” e “contrario” a Dio. La lectio papale conteneva una drammatica citazione dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo che annotava questo suo scambio con un persiano: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. Dinamite magistralmente addolcita dalla citazione di una sura coranica del tempo giovanile, annotava Ratzinger, “in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato”, e che recita: “Nessuna costrizione nelle cose di fede” (sura 2, 256). A Ratisbona Ratzinger mise in scena il dramma del nostro tempo, esploso letteralmente con l’11 settembre e quel quadruplice volo mortale sui cieli d’America. Il Papa discusse di islam senza ripetere banalità ireniste. Fece ciò che nel mondo islamico, pena la testa e la lingua, è vietato fare: discutere liberamente di fede. Ma fu costretto a porgere le sue scuse. Inoltre non potrà tenere il suo discorso all'Università La Sapienza di Roma.  Tutte singolari coincidenze? Lo escludiamo nella maniera più categorica.

Benedetto XVI infine  quando avrà la prova e la certezza  che alcuni cardinali vogliono lo scisma si dimette per il bene della Chiesa. E, finalmente, verrà eletto Papa Bergoglio il quale insiste nel suo magistero sul concetto di collegialità, si proclama solo Vescovo di Roma, ( ma Romano Pontefice è l'appellativo alternativo con cui si designa, specialmente nel Diritto canonico, il Papa, che quale successore di Pietro, detiene il potere supremo di guida pastorale della Chiesa, che si fonda nella Scrittura e nella sacra Tradizione. Quale Vicario di Cristo in terra, successore dell'apostolo Pietro e pastore universale, il Papa ha, su tutta la Chiesa, una potestà suprema, piena, immediata e universale che può esercitare liberamente.

  • Potestà suprema consiste nel fatto che le sue deliberazioni non necessitano di ottenere l'approvazione del Collegio episcopale o di altra persona o organo; quindi nell'insindacabilità delle medesime sue decisioni da parte dei fedeli.
  • Potestà piena indica che essa è diretta ed esercitata nella pienezza sia in materia di fede che di costumi.
  • Potestà immediata significa invece che essa deriva direttamente da Dio e pertanto priva della necessità delle mediazioni umane.               


Bergoglio apre alle donne nella Chiesa e declassa il prefetto della Congregazione del Clero, cardinale Mauro Piacenza, (pupillo di Siri) alla Penitenzieria Apostolica ma promuove il chiaccherato e discusso prelato omosessuale mons. Battista Ricca allo IOR (consigliere di nunziatura di prima classe), ingaggia un braccio di ferro incomprensibile ed estenuante  con il capo della CEI, l'ottimo tomista Angelo Bagnasco, non nomina cardinale il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia (apprezzato Professore e Dottore in Teologia dogmatica), parla di “teologia in ginocchio” e di "misericordia" e "perdono" esattamente come i fratelli protestanti. Alla base della preoccupazione di Lutero, infatti,  vi è un rapporto irrisolvibile un Dio giusto che perseguita il peccatore, dall'altra la coscienza dell'uomo che non riesce a tranquillizzarsi. Invece, la base del cristianesimo è l'annuncio di una realtà nuova nel mondo (evangelo, buona novella), a cui il singolo partecipa nella sua individualità: nessun limite o errore proprio del soggetto pregiudica la certezza dell'evento, credendo che esso è più grande del suo male. Con la Riforma il problema fondamentale del cristiano diventa quello di non avere problemi con Dio. È come se scomparisse l'evento di Cristo, dentro il quale la misericordia di Dio accoglie l'uomo così com'è, pur invitandolo continuamente a non peccare più.

«
Dio infine ebbe pietà di me e, meditando giorno e notte un certo versetto, cominciai allora a comprendere che la giustizia di Dio è quella per mezzo della quale il giusto vive del dono di Dio, se ha la fede. Mi sentii allora letteralmente rinascere e mi sembrò di essere entrato nel paradiso »
(Martin Lutero).
In ogni caso,  il nuovo vescovo di Roma, eletto il 13 marzo 2013,  può contare sull'Ordine dei Gesuiti, sui cardinali progressisti, sulla diplomazia vaticana, sul cardinale Parolin, su mons. Becciu,  sull'anziano cardinale Kasper, su Padre Lombardi, sul cardinale milanese  Francesco Coccopalmerio martiniano doc,  e sull'esuberante e ambizioso teologo  Bruno Forte che aspira al posto del cardinale Crescenzio Sepe nella Arcidiocesi di Napoli perchè la diocesi di Vasto e Chieti gli sta stretta.  L'era dei cosiddetti conservatori è finita anche se il cardinale australiano George Pell è stato nominato "responsabile della stesura degli Statuti definitivi del Consiglio per l'Economia, della Segreteria per l'Economia e dell'ufficio del Revisore Generale". 

                 Il grande sconfitto del Conclave del 2013 il cardinale Scola

Non escludiamo che Francesco convochi, all'inizio del Terzo millennio, in una società "complessa", "liquida" e "postmoderna" secolarizzata,  scristianizzata e neopagana,  un nuovo Concilio Ecumenico per discutere i temi cari a Carlo Maria Martini.  Per quanto riguarda Benedetto XVI,  in questa torbida vicenda che riguarda il suo breve pontificato dove abbiamo visto aggirarsi  avvoltoi, parassiti ed ecclesiastici disonesti (interessati solo al potere, al denaro e alla carriera) ci appare come Don Abbondio  uno dei personaggi principali de I Promessi Sposi, il più noto romanzo di Alessandro Manzoni. Il religioso è, com'è noto, un uomo pauroso, remissivo, senza coraggio, che si sottrae davanti alle difficoltà e agli ostacoli che incontra. Esattamente come Benedetto XVI che si è dimesso, ritirato dal mondo, chiuso in un monastero a pregare come volevano massoni, protestanti e progressisti.


PAPA FRANCESCO, I DOGMI E I TEOLOGI DISONESTI




Oggi, imitando la teologia protestante, in talune  Facoltà teologiche italo- olandesi, Seminari, Università cattoliche, si negano arbitrariamente  fra alcuni teologi ed ecclesiastici i dogmi della Chiesa Cattolica ingenerando nei fedeli e nei nuovi preti  sconcerto e disorientamento. Alcuni  ecclesiastici si arrogano la licenza e l'arbitrio di selezionare le verità di fede privilegiando di fatto un soggettivismo privo dell'assistenza del magistero ecclesiastico e della s. Tradizione. 
«Il soggettivismo dei moderni - scrive un teologo cattolico contemporaneo deceduto nel 2004 - ha obbligato a insistere sul fatto che questa obiettività del dato rivelato e tradizionale si troverebbe ridotta a niente, se fosse in potere di chi che sia di attribuirle il senso ch’egli giudica buono, e non in potere del corpo stesso (la Chiesa) al quale e per il quale la Parola divina è stata data, e specialmente, nell’interno di esso, ai membri responsabili del tutto, in virtù del loro mandato apostolico» (Louis Bouyer).
Di fronte a tale grave dissenso dottrinale devono prevalere due cose come affermava Papa Benedetto XVI: l'amore verso la Chiesa e l'unità della fede.
 Un altro problema dottrinale della Chiesa di Francesco e quello della Congregazione per la Dottrina della Fede guidata dal cardinale Gerhard Ludwig Muller (definito, dal connazionale cardinale Marx  alla conclusione dell’assemblea d’autunno dei vescovi bavaresi, un esempio di «erudizione dottrinale» e un «recinto» costruito attorno a quell’«ospedale da campo» della misericordia rappresentato dalla Chiesa nel suo rivolgersi ai feriti della società),  è quello del dubbio sistematico e della contestazione corrosiva dei dogmi cattolici formulati o dai Concilii Ecumenici nel corso della storia della Chiesa, o dai Pontefici. Si tratta di quattro dogmi mariani (Verginità  perpetua della Madonna, Maria Madre di Dio, Maria Assunta in cielo, e Maria Immacolata Concezione). Poi ci sono il dogma sulla S.S. Trinità, quello sulle due nature di Gesù : quella umana e divina, il dogma sul Purgatorio, il dogma sul Primato e Infallibilità del Pontefice solo quando parla ex cathedra, e quello della Transustanziazione, e quello su  Gesù Cristo che è il Figlio di Dio, ed è stato generato prima dei secoli, ma non è una creatura di Dio, ed è della stessa sostanza del Padre. Ebbene, questi dogmi (considerati spesso discutibili ed infraumani)  proprio perché elaborati da Papi o da Concilii Ecumenici o perché non presenti all'interno dei testi sacri,  non vengono tenuta nella debita considerazione o, peggio, negati da alcuni sacerdoti e alcuni vescovi orfani della Riforma protestante. C'è, insomma, un atteggiamento di sospetto o di pregiudizio in nome del libero pluralismo religioso. Senza contare che ci sono anche Facoltà teologiche che educano i loro studenti alla negazione di tali dogmi:  libertà  di insegnamento, ma non libertà di apprendimento perché scattano l'arbitrio, la licenza, il dissenso dottrinale, l ’incertezza, la servilità, la desolazione, perché  tale negazione è  priva dell’assistenza del magistero ecclesiastico. E come non rilevare con amarezza  il disorientamento e lo sconcerto tra i Fedeli che vedono i  loro preti dall'altare negare verità di fede? Assistiamo di fatto a una grave  forma di indifferenza, di incredulità, di laicismo areligioso e pagano,  e a un  atteggiamento di soggettivismo che nuocciono fortemente alla fede e alla  Chiesa. Il Popolo di Dio che si distingue e si qualifica per il suo carattere  religioso e messianico, sacerdotale e profetico che tutto converge verso Cristo, come suo centro focale, e che tutto da Cristo deriva com’è compaginato? com’è caratterizzato? com’è organizzato? come esercita la sua missione ideale e tonificante nella società, nella quale è immerso?  Sappiamo che il Popolo di  Dio ha, storicamente, un nome a tutti più familiare; è la Chiesa; la Chiesa amata, fino al sangue, da Cristo, suo mistico corpo, sua opera in via di costruzione perenne;  la nostra Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica; ebbene, chi davvero la conosce, la vive? Chi possiede quel sensus ecclesiae, cioè quella coscienza di appartenere ad una società speciale, soprannaturale, che fa corpo vivo con Cristo, suo capo, e che forma appunto con Lui quel  totus  Christus. 
Bisogna ricordare che i dogmi della Chiesa possono essere attuali sotto un duplice aspetto: sotto un aspetto relativo al loro contenuto di verità rivelata, in quanto cioè sono definizioni autorevoli di un insegnamento divino contenuto nella Sacra Scrittura, o derivato a noi dalla predicazione apostolica, per via di Tradizione (cfr. Dei Verbum, 8, 9); sono la fede pensata, vissuta, celebrata dalla Chiesa, come Popolo di Dio animato dallo Spirito Santo e ammaestrato da una testimonianza autorizzata e qualificata, il Papa e i Vescovi con lui; e sotto questo aspetto i dogmi della Chiesa sono sempre attuali, cioè sono sempre veri di quella verità divina e soprannaturale, alla quale essi si riferiscono. La verità divina non cambia; perciò i dogmi della fede sono sempre attuali, sono sempre veri.
Ma essi possono essere attuali anche sotto un altro aspetto, quello contingente, relativo al tempo e alle condizioni storiche, che ne provocarono la definizione, che prestarono alla definizione stessa il linguaggio e che ne giustificarono l’opportunità. Questo aspetto può venir meno col cambiamento delle condizioni storiche e culturali, alle quali i dogmi, nel momento preciso della loro formulazione, portavano lume di verità e rimedio canonico d’autorità. Perciò possono essere classificati secondo il processo storico, che li portò alla coscienza soggettiva della Chiesa, e che li chiama cronologicamente antichi o moderni secondo questo rapporto antico o moderno, cioè attuale con la vita temporale della Chiesa. A me pare che essi conservano non solo l’attualità perenne della loro verità oggettiva, ma conservano altresì l’attualità contingente della loro opportunità relativa al tempo nostro per la ragione cioè che le verità affermate dai vari Concilii sono presentissime alla nostra moderna mentalità, sia pure per essere impugnate, discusse, sperimentate, professate in piena coscienza ai giorni nostri. Qualche teologo e qualche vescovo pensa che le definizioni dogmatiche siano forme superate dell’insegnamento cattolico, e che  il Concilio Vaticano II non avendo pronunciato dogmi di fede può  essere considerato come una liberazione dagli antichi dogmi e relativi anatemi. La fede, si dice, non è il dogma verbalmente considerato; questo consiste in formule fisse che tentano di definire e di racchiudere verità immense, ineffabili e inesauribili. E sta bene; anche S. Tommaso c’insegna che l’atto di fede non termina alle formule che la espongono, ma alla realtà a cui esse si riferiscono; ma non senza una visione integrale di questa dottrina (cf. II, IIæ, 1, 2, ad 2). Inoltre si osserva che la fede ha una virtù dataci dallo Spirito Santo, e perciò sembrerebbe che nessun intermediario debba imporle una disciplina particolare; non si vedrebbe così quale funzione possa avere un magistero che la definisca e la tenga sotto tutela; così che la fede dovrebbe essere libera da vincoli esterni, ed avere per strumento interno di decifrazione la coscienza; e potrebbe perciò avere fra gli uomini differenti concezioni e differenti contenuti.
Non vogliamo pensare che a queste conclusioni si voglia arrivare: la fede resterebbe senza «simboli», che la definiscono e la esprimono; resterebbe senza catechesi univoca e autorevole; resterebbe fonte di divisione e non più d’unione (una fides!), resterebbe senza la guida, stabilita da Cristo, d’un magistero incontestabile, che ne vigila, le espressioni, ne promuove l’insegnamento e la diffusione, ne difende l’integrità, di cui i fedeli si alimentano, e per cui è doverosa la testimonianza. Paolo VI affermava a questo proposito: "Non è vero [...] che la fede sia una paralisi del pensiero e che le sue formulazioni dogmatiche arrestino la ricerca della verità; è vero il contrario. Il dogma non è una prigione del pensiero; è una conquista, è una certezza, che stimola la mente alla contemplazione e all’esplorazione, sia del suo contenuto, di solito profondo fino all’insondabile, sia del suo sviluppo nel concerto e nella derivazione di altre verità. Intellectus quaerens fidem, l’intelligenza esercita nella fede la sua ricerca, diceva il teologo medievale e tuttora degno d’esserci maestro, S. Anselmo; e aggiungeva: fides quaerens intellectum, la fede ha bisogno dell’intelletto. La fede infonde fiducia all’intelligenza, la rispetta, la esige, la difende; e per il fatto stesso che la impegna allo studio di verità divine, la obbliga ad un’assoluta onestà di pensiero, e ad uno sforzo che non la debilita, ma la conforta, tanto nell’ordine speculativo naturale, quanto in quello soprannaturale."
Vogliamo piuttosto osservare che, se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare le affermazioni conciliari sulla necessità congiunta della Chiesa insegnante e della fede (Lumen Gentium, 14, 48), sul senso della fede, sotto la guida del sacro magistero, anima tutto il Popolo di Dio (ibid. 12), sulla doverosa purezza della fede, asserita proprio in funzione del dialogo ecumenico (Unit. red., 11), sull’opera dei Vescovi nell’insegnamento delle verità della fede (Christus Dominus, 36), sull’incontro della fede e della ragione in un’unica verità al livello degli studi superiori (Graviss. educ., 10), sulla sintesi nuova, che s’intravede possibile e magnifica fra la fede antica e la cultura moderna (Gaudium et spes, 57), e così via, per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa.
 Di fronte a queste divisioni e lacerazioni  occorre quella comunione unitaria in Cristo dell’umanità, che costituisce il grande disegno dell’amore di Dio verso di noi, e da cui dipende la nostra salvezza; comunione con  papa Francesco, i Pastori, in unità di dottrina - nello studio assiduo e attento  della Scrittura, dei documenti conciliari (non mai abbastanza approfonditi),  nonché degli atti del Magistero pontificio ed episcopale - e in unità di amore, nella certezza che l’unione alla Gerarchia è il mezzo voluto da Cristo per assicurare la fondamentale unione col Padre celeste. Chi rifiuta per incredulità, o per radicale laicismo questa sapienza superiore spegne la luce di Cristo sulla nostra vita, la quale sembra liberata da dogmi difficili,  estranei e vincolanti, mentre è privata della fede e della scienza vitale, ch’essa dall’alto liberamente e amorosamente proietta sui nostri passi, poveri  passi disorientati e presto mortificati dall’oscurità, o dall’insufficiente lume del pensiero profano. Cito  ancora  a questo riguardo S. Paolo: “vi  esorto dunque, o fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come ostia vivente santa, gradevole a Dio, quale vostro culto ragionevole; e  non conformatevi al secolo presente, ma trasformatevi col rinnovamento del vostro spirito” (Rm  12, 2). In conclusione, i dogmi della Chiesa  sono attuali.  Per le sue dottrine. Possono essere attuali sotto un duplice aspetto: sotto un aspetto relativo al loro contenuto di verità rivelata, in quanto cioè sono definizioni autorevoli di un insegnamento divino contenuto nella Sacra  Scrittura, o derivato a noi dalla predicazione apostolica, per via di Tradizione (cfr. Costituzione dogmatica  Dei Verbum, 8, 9); sono la fede pensata, vissuta, celebrata dalla Chiesa, come Popolo di Dio animato dallo Spirito Santo e ammaestrato da una testimonianza autorizzata e qualificata, il Papa e i Vescovi con lui; e sotto questo aspetto i dogmi della Chiesa sono sempre attuali, cioè sono sempre veri di quella verità divina e soprannaturale, alla quale essi si riferiscono. La verità divina non cambia; perciò i dogmi della fede sono sempre attuali, sono sempre veri, checchè ne dicano i cosiddetti teologi progressisti considerati a là  page. 




                                Sogno una grande speranza (preghiera di Paolo VI)





 Sogno una Chiesa che è Porta Santa, aperta, che accoglie tutti, piena di compassione e di comprensione per le pene e le sofferenze dell'umanità, tutta protesa a consolarla.

Sogno una Chiesa che è Parola, che mostra il libro del Vangelo ai quattro punti cardinali della terra, in un gesto di annuncio, di sottomissione alla Parola di Dio, come promessa dell'Alleanza eterna.

Sogno una Chiesa che è Pane, Eucaristia, che si lascia mangiare da tutti, affinché il mondo abbia la vita in abbondanza.
Sogno una Chiesa che è appassionata di quella unità che ha voluto Gesù.

Sogno una Chiesa che è in cammino, Popolo di Dio, che dietro al Papa che porta la croce, entra nel tempio di Dio e pregando e cantando va incontro a Cristo Risorto, speranza unica, incontro a Maria e a tutti i Santi.

Sogno una Chiesa che porta nel suo cuore il fuoco dello Spirito Santo, e dove c'è lo Spirito, c'è la libertà, c'è il dialogo sincero con il mondo; e specialmente con i giovani, con i poveri e con gli emarginati, c'è il discernimento dei segni dei nostri tempi.

Sogno una Chiesa che è testimone di speranza e di amore, con fatti concreti, come quando si vede il Papa abbracciare tutti...nella grazia di Gesù Cristo, nell'amore del Padre e nella comunione dello Spirito, vissuti nella preghiera e nell'umiltà.

giovedì 20 febbraio 2014

POLIZIOTTI MASSACRANO E UCCIDONO GIOVANE, POI RITORNANO IN SERVIZIO





LA MORTE DI FEDERICO ALDROVANDI - Sabato 24 settembre 2005 per Federico Aldrovandi, un diciottenne di Ferrara, è un giorno come tanti altri. Primogenito di Lino Aldrovandi e Patrizia Moretti, Federico vive con i genitori e il fratello minore Stefano. Quella sera il ragazzo ha in programma una trasferta a Bologna per assistere a un concerto al Link, uno dei locali più noti della città. Dopo il lavoro in una pizzeria da asporto, Federico incontra gli amici e insieme si dirigono verso il capoluogo emiliano. Il concerto però viene annullato. I ragazzi decidono comunque di trascorrere la serata a ballare e bere all’interno del locale.
Quel che è certo è che Federico assume anche della droga, Lsd, popper, hashish e forse altro. Verso le 5 del mattino il gruppo di amici fa rientro a Ferrara. Federico si fa lasciare nei pressi di via Ippodromo, non lontano da casa. Ha ancora voglia di stare in giro, probabilmente per riprendersi un po’ dallo sballo. Prova a contattare sul cellulare alcuni suoi amici, ma non riceve risposta. Alle 5.47 la sala operativa della Questura viene allertata da parte di alcuni residenti di via Ippodromo, che riferiscono la presenza di un ragazzo che urla frasi sconnesse e tira calci qua e là. Sul posto giunge una volante della polizia con a bordo due poliziotti i quali, non riuscendo a calmare il giovane, chiamano prima un'altra volante e poi una pattuglia dei carabinieri.
Alle 6.04 viene chiamata anche un’ambulanza del 118. Tra il ragazzo e le forze dell’ordine c’è una colluttazione, al termine della quale i poliziotti hanno la meglio: riescono a immobilizzare Federico in posizione prona e gli mettono le manette ai polsi. Federico a questo punto è fermo, immobile, sembra svenuto. Quando arriva l’ambulanza, per Federico non c’è più nulla da fare, è morto.
aldrovandiLE INDAGINI E LE PERIZIE - La morte di Federico Aldrovandi, in un primo momento, sembra a tutti gli effetti collegata all’assunzione di sostanze stupefacenti. Alcuni mesi più tardi, nel gennaio 2006, la mamma di Federico apre un blog che in poco tempo diventa uno dei più cliccati in Italia. In esso vengono evidenziati alcuni elementi che, a detta della famiglia Aldrovandi, non tornano, e che sono legati al comportamento dei poliziotti intervenuti per placare il ragazzo.
La perizia tossicologica, infatti, non sembra essere coerente con la versione dell’overdose e sul corpo del ragazzo ci sono segni evidenti di percosse che hanno portato anche alla rottura di due manganelli. C’è poi una testimone che dichiara di aver sentito Federico urlare “aiuto!” e “basta!” e di averlo visto prima picchiato e poi a terra mentre un poliziotto gli premeva un ginocchio sulla schiena. Le indagini vengono riaperte e viene disposta una serie di perizie allo scopo di accertare l’accaduto.
La perizia medico-legale del professor Stefano Malaguti, consulente della procura di Ferrara, conferma che Federico sarebbe morto a causa all’assunzione combinata di ketamina, eroina e alcol: un mix diabolico che avrebbe pregiudicato lo stato psicofisico del ragazzo provocando un insufficienza respiratoria e quindi un arresto cardiocircolatorio.
A queste conclusioni la famiglia Aldrovandi si oppone con la consulenza dei professori Antonio Zanzi e Giorgio Gualandri, secondo i quali la causa del decesso di Federico sarebbe un’asfissia posturale, dovuta al fatto che il ragazzo sarebbe stato costretto per diversi minuti in posizione prona con le manette ai polsi. In quel frangente di forte stress e agitazione psico-motoria, il fisico di Federico avrebbe avuto bisogno di un maggior apporto di ossigeno, che al contrario è stato carente.
Nel marzo del 2006 vengono iscritti sul registro degli indagati i 4 poliziotti intervenuti in via Ippodromo la mattina in cui è morto Federico Aldrovandi. Nel frattempo la procura chiede al professor Francesco Maria Avato una consulenza supplementare, i cui risultati ribadiscono il ruolo predominante del mix di droga e alcool nella morte di Federico.
Ma non è ancora finita: il pm Nicola Proto chiede che venga eseguita in incidente probatorio una superperizia, medico-legale e tossicologica, affidata ai professori Roberto Testi ed Emanuele Bignamini. Il risultato di questo nuovo accertamento stabilisce che la morte di Aldrovandi è stata provocata da una sindrome da ipereccitazione chiamata “Excited Syndrome Delirium”. In sostanza, Federico non sarebbe morto né a causa della droga assunta né per le percosse dei poliziotti, ma per una mancanza d’aria dovuta al suo stato di agitazione e stress che avrebbe provocato un crollo delle funzioni cardiache e respiratorie dell’organismo. Per il pm è chiaro: l’agitazione di Federico fu causata dalle percosse subite dai poliziotti e dalla costrizione in posizione prona. I quattro poliziotti vengono quindi rinviati a giudizio con l’accusa di “eccesso colposo”.
LA SENTENZA DI PRIMO GRADO - Il 6 luglio 2009 i poliziotti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri vengono condannati a 3 anni e 6 mesi di reclusione. Per i giudici i quattro agenti, durante un normale controllo di ordine pubblico, commisero il reato di eccesso colposo causando la morte di Federico Aldrovandi. Si trattò, dunque, di omicidio colposo. Nella sentenza il giudice Francesco Caruso afferma che la morte di Federico fu la “conseguenza della violenta colluttazione con i quattro agenti, armati di manganelli, decisi a immobilizzarlo e ad arrestarlo a ogni costo, per fargli scontare le conseguenze di una precedente fase di conflitto, con reciproci atti di violenza, nel corso della quale venne danneggiata l’auto della pattuglia Alfa 2”.                          

In quell’alba maledetta, secondo la Corte, Federico era una persona bisognosa di aiuto sanitario, non un soggetto pericoloso che andava a tutti i costi arrestato. Ma c’è di più: il giudice Caruso ipotizza anche che lo stato di agitazione del ragazzo, descritto dai testimoni, fosse dovuto proprio all’intervento della prima volante, che evidentemente si sarebbe già trovata nei pressi di via Ippodromo al momento dell’arrivo di Federico, quindi prima della richiesta di intervento da parte degli abitanti della zona.
ALDROVANDI-BIS E ALDROVANDI-TER - Nel maggio del 2007 viene aperta un’inchiesta-bis sulla morte di Federico Aldrovandi, volta ad accertare perché il brogliaccio delle chiamate al 113 del 25 settembre 2005 fu corretto nello spazio in cui venivano riportati i dati dell’intervento dei quattro poliziotti in via Ippodromo e perché uno dei fogli non venne trasmesso alla Procura. Il dubbio, infatti, è che al momento della richiesta di intervento da parte degli abitanti di via Ippodromo, una prima volante fosse già sul posto e avesse già avviato una colluttazione con il ragazzo.
Nell’ambito di questa inchiesta vengono rinviati a giudizio 4 poliziotti: Paolo Marino, all’epoca dirigente dell’Ufficio Volanti, Marco Pirani, all’epoca braccio destro del primo pm che si occupò delle indagini, Marcello Bulgarelli, responsabile della centrale operativa del 113 e Luca Casoni, ispettore capo delle volanti in servizio quella mattina. Le accuse nei loro confronti sono, a vario titolo, falso, favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio. Avrebbero mentito e cercato di manomettere dati allo scopo di ritardare le indagini e aiutare i loro colleghi. Tre di loro verranno condannati a pene che vanno da otto mesi a un anno di reclusione. Luca Casoni, l’unico a non aver chiesto il rito abbreviato, verrà assolto dall’accusa di falsa testimonianza perché “il fatto non sussiste” e dai reati di omissione d’atti d’ufficio e di favoreggiamento perché “il fatto non costituisce reato”.
Nel 2011 un terzo filone dell’inchiesta, detto “Aldro-ter”, vedrà il dirigente dell’Ufficio Volanti Paolo Marino condannato in primo grado ad altri 3 mesi di carcere per omessa denuncia aggravata in relazione alle prime indagini. Non avrebbe denunciato i pasticci nei brogliacci compilati dal responsabile della centrale operativa la mattina in cui morì Federico.
LA SENTENZA DI SECONDO GRADO - Il 16 maggio 2011 alla Corte D’Appello di Bologna si apre il processo di secondo grado per la morte di Federico Aldrovandi. La famiglia del ragazzo rinuncia a costituirsi parte civile perché in cambio, nell’ottobre 2010, il Ministero dell’Interno le ha risarcito quasi due milioni di euro. Lo scorso 10 giugno la Corte D’Appello conferma la pena a 3 anni e 6 mesi di reclusione per i quattro poliziotti: Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri. Nelle motivazioni i giudici danno un ruolo rilevante alla droga assunta da Federico Aldrovandi la sera prima della morte, che gli avrebbe provocato uno stato di agitazione fuori dal normale, ma proprio questo elemento diventa un aggravante per i quattro poliziotti: infatti, essendo professionalmente preparati, avrebbero dovuto capire lo stato di necessità del ragazzo e, di conseguenza, intervenire in modo diverso.
Usando le parole dei giudici, gli agenti “avrebbero dovuto avere un approccio di tipo psichiatrico-sanitario e non iniziare una manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione condotta con estrema violenza, con modalità scorrette e lesive, quasi i quattro volessero punire Aldrovandi per il comportamento aggressivo tenuto nel corso della prima colluttazione con Pontani e Pollastri”. I quattro agenti vengono ritenuti responsabili allo stesso modo perché, leggiamo sempre nelle motivazioni, “ognuno di loro ha percosso o calciato il ragazzo, anche dopo essere stato atterrato e ognuno di loro non ha richiesto l’invio di personale medico prima, ma soltanto dopo averne vinto con violenza la resistenza”.
LA CASSAZIONE - Il 21 giugno 2012 la Corte di Cassazione conferma la condanna a 3 anni e 6 mesi di carcere per gli agenti di polizia Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri.

                                   

Ora stanno tornando in servizio i quattro agenti che hanno ucciso suo figlio e lei, Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, non sa nemmeno il perché. I vertici della polizia hanno negato al suo avvocato l’accesso agli atti per conoscere le motivazioni dei provvedimenti disciplinari che hanno inflitto sei mesi di sospensione dal servizio per i quattro poliziotti pregiudicati. “Perché, ci hanno detto che ai sensi di legge non siamo ‘diretti interessati”. Dopo i sei mesi di detenzione e l’uguale periodo di sospensione due di loro – Monica Segatto e Luca Pollastri – sono già rientrati in servizio, scaduto il tempo dei mesi di sospensione decisi dalla disciplinare. Un terzo, Paolo Forlani, è stato reintegrato ma non tornerà per il momento in servizio, perché da tempo in cura per una “nevrosi reattiva”, dovuta “alle vicende del processo e a tutto quello che ha vissuto – come spiega il suo legale Gabriele Bordoni -, con grande dolore, anche per la morte del ragazzo”. Enzo Pontani dovrebbe ritornare in servizio a breve (per lui i tempi iniziano a decorrere un mese dopo rispetto ai colleghi per via del diverso iter giudiziario, ‘rallentato’ a causa di un difetto di notifica).

E la madre di Federico si sente “umiliata, mortificata”. Vuoi perché si sarebbe aspettata una chiamata da parte della Polizia o del ministero dell’Interno, vuoi perché “nonostante tutta questa lotta basata su un’esigenza di giustizia per cercare di cambiare il mondo, ti accorgi che le cose non cambiano.




 Arrivano la manifestazioni di vicinanza e di solidarietà dei politici ma non cambia nulla”. Ultima in ordine di tempo fu la Cancellieri, allora al Viminale, a promettere “pene esemplari” contro “le mele marce” all’interno della polizia. “Si era in parte impegnata a seguire attentamente la vicenda, poi ha cambiato ministero. Il problema è che cambia politico e non c’è più modo di proseguire il dialogo e non hai più un interlocutore”.
Prima di lei lunga è stata la schiera di politici, ministri, Presidenti della Camera e sottosegretari che hanno ricevuto lei e suo marito Lino Aldrovandi. Da Bertinotti ad Amato, da Manconi a Manganelli. Alle parole però non seguirono i fatti. E nemmeno le parole sono arrivate in questi otto anni (Federico morì il 25 settembre del 2005) dai quattro agenti, che non hanno mai cercato di contattarla: “Mai, mai assolutamente”. Quanto al fatto che non sia possibile la destituzione dalla polizia per condanne per reati colposi, la madre di Federico ribadisce quanto lei e il padre, Lino Aldrovandi, hanno sempre sostenuto: “in tutte le sentenze che si sono succedute, in particolare la prima, hanno sancito che non è stato possibile arrivare ad una pena maggiore a causa degli insabbiamenti dei colleghi. Io ho letto il regolamento della polizia – rimarca -: la radiazione (destituzione, ndr) anche è prevista per il disonore alla divisa. E questo per me è alto tradimento. Basta leggerle le cose, basta volerle applicare, per me gli appigli ci sono. Ma forse non vogliono farlo”. “Qui non ci siamo solo noi – è la sua conclusione – ma è una questione che riguarda tutti, riguarda quello che decide di fare una istituzione di fronte ad una condanna per omicidio”.
Ora, a conti fatti, con il reintegro dei poliziotti, Moretti chiede “che almeno io non debba più vederli, che quelle persone non possano più salire sopra una volante”. Perché “anche loro, come Federico e per motivi opposti, sono diventati un simbolo. Il simbolo dell’impunità”.