mercoledì 9 ottobre 2013

L'ARCIVESCOVO PELVI, LA GUERRA SPORCA E UNO STIPENDIO D' ORO

                   


 L'Arcivescovo Vincenzo Pelvi, 65 anni, napoletano, un dottorato in teologia, ex Ordinario militare per l'Italia, una busta paga di 9.500  euro lordi  al mese, finalmente se ne va in "pensione".  La prassi anzi il Codice di Diritto canonico vuole però che adesso per 10 anni la Congregazione dei Vescovi gli cerchi una Diocesi per fare il Pastore e non restare  a scaldare la sedia all'Ordinariato militare. Ma il punto è un altro: la Chiesa di Papa Francesco non vuole la guerra, ma la pace. Percio' i preti in stellette vanno aboliti.  E' vero che ci sono 180 Cappellani, ma è altrettanto vero che il clero invecchia e c'è bisogno di nuovi preti nelle 250 Diocesi italiane. Non solo: tutto questo clero militare costa agli italiani  ben 17 milioni di euro cioè 34 miliardi delle vecchie lire che potrebbero essere destinati ai disperati di Lampedusa.  Hanno poi un sacco di privilegi e spesso alcuni di costoro sono degli imboscati, altri sono invece dei dispensatori dei misteri di Dio che sono poi sono simili a  Giovanni Bosco e don Luigi Orione.Ed ecco la mia proposta:  mons. Pelvi - come ha detto autorevolmente il Papa - non faccia lo zitello, ma vada in terra di missione, sia attivo, dinamico ed efficiente.La sua stagione è finita. Ora dovrà fare davvero il Pastore che va vicino alle pecore, le annusa,  si sporca e le lava.  Che bella vita all'Ordinariato servito e lodato da ragazzi in divisa che scattavano sull'attenti davanti a quest'uomo che è un successore degli Apostoli mentre apprezzava ed era gonfio e tronfio  delle sue quattro stellette. Ma Gesù Cristo  chiedeva ai suoi discepoli di mettersi sull'attenti? E allora Pelvi vai in Africa, in Brasile, in India, in terra di missione accanto agli ultimi, ai poveri, ai diseredati. Altro che  scattare sull'attenti. Vai a scuola di Papa Francesco;  Lui si che è cresciuto nelle periferie di Buenos Aires. Papa Francesco la scorsa settimana ha tenuto a rimarcare che la guerra si fa per business, per soldi, per affari sporchi. Che bello se Pelvi dicesse le stesse cose di Papa Francesco anzichè cercare un posto vescovile...

                                                   
Sua preoccupazione prioritaria sia quella di promuovere e sostenere «un più convinto impegno ecclesiale a favore della nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede» (Lett. ap. Porta fidei, 7). Anche in questo ella è  chiamata a favorire e alimentare la comunione e la collaborazione tra tutte le realtà delle varie  diocesi. L'evangelizzazione, infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell'intero Popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori. Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell'annuncio e della testimonianza del Vangelo. Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava: «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze», e per questo - aggiungeva - «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività (cfr Discorso di chiusura del I periodo del Concilio, 8 dicembre 1962). Gli effetti di quella nuova Pentecoste, nonostante le difficoltà dei tempi, si sono prolungati, raggiungendo la vita della Chiesa in ogni sua espressione: da quella istituzionale a quella spirituale, dalla partecipazione dei fedeli laici nella Chiesa alla fioritura carismatica e di santità. A questo riguardo non possiamo non pensare allo stesso Beato Giovanni XXIII e al Beato Giovanni Paolo II, a tante figure di vescovi, sacerdoti, consacrati e di laici, che hanno reso bello il volto della Chiesa nel nostro tempo.

                                             









Questa eredità è stata affidata anche alla sua  cura pastorale. Attinga mon. Pelvi  da questo patrimonio di dottrina, di spiritualità e di santità per formare nella fede i fedeli, affinché la loro testimonianza sia più credibile. Allo stesso tempo, il suo  servizio episcopale le  chiede di «rendere ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15) a quanti sono alla ricerca della fede o del senso ultimo della vita, nei quali pure «lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina» (Gaudium et spes, 22). Si impegni affinché a tutti, secondo le diverse età e condizioni di vita, siano presentati i contenuti essenziali della fede, in forma sistematica ed organica, per rispondere anche agli interrogativi che pone il nostro mondo tecnologico e globalizzato. Sono sempre attuali le parole del Servo di Dio Paolo VI, il quale affermava: «Occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell'uomo... partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra di loro e con Dio» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20). A questo scopo è fondamentale il Catechismo della Chiesa Cattolica, norma sicura per l'insegnamento della fede e la comunione nell'unico credo. La realtà in cui viviamo esige che il cristiano abbia una solida formazione!
La fede chiede testimoni credibili, che confidano nel Signore e si affidano a Lui per essere «segno vivo della presenza del Risorto nel mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 15). Il Vescovo, primo testimone della fede, accompagna il cammino dei credenti offrendo l'esempio di una vita vissuta nell'abbandono fiducioso in Dio. Egli, pertanto, per essere autorevole maestro e araldo della fede, deve vivere alla presenza del Signore, quale uomo di Dio. Non si può essere, infatti, al servizio degli uomini, senza essere prima servi di Dio. Il suo  personale impegno di santità la  veda assimilare ogni giorno la Parola di Dio nella preghiera e nutrirsi  dell'Eucaristia, per attingere da questa duplice mensa la linfa vitale per il ministero. La carità la  spinga ad essere vicino ai  sacerdoti, con quell'amore paterno che sa sostenere, incoraggiare e perdonare; essi sono i suoi primi e preziosi collaboratori nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Ugualmente, la carità del Buon Pastore la  farà attenti ai poveri e ai sofferenti, per sostenerli e consolarli, come anche per orientare coloro che hanno perduto il senso della vita. Sia particolarmente vicino alle famiglie: ai genitori, aiutandoli ad essere i primi educatori della fede dei loro figli; ai ragazzi e ai giovani, perché possano costruire la loro vita sulla salda roccia dell'amicizia con Cristo. Abbia speciale cura dei seminaristi, preoccupandovi che siano formati umanamente, spiritualmente, teologicamente e pastoralmente, affinché le comunità possano avere Pastori maturi e gioiosi e guide sicure nella fede.
Cari Fratelli, l'Apostolo Paolo scriveva a Timoteo: «Cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace...Un servo del Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare» (2 Tm 2,22-25). Ricordando, a me e a lei, queste parole, La saluto nella preghiera.


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