mercoledì 30 ottobre 2013

GIRO DI BABY PROSTITUTE CON L'ASSENSO DELLA MADRE

 
 
“Quella madre ha venduto il corpo della figlia come un macellaio vende una bistecca”. La riflessione, “commerciale”, dello psicologo clinico Enzo Cordaro traccia in modo drammatico la storia delle due studentesse costrette da cinque persone, fra cui la madre di una delle due, a prostituirsi in un appartamento dei Parioli, uno dei quartieri più esclusivi della Capitale. Le indagini erano cominciate dopo che la mamma di una delle due baby prostitute, ragazzine di quattordici e quindici anni diventate cocainomani, si era preoccupata per l’inconsueta aggressività e per il denaro che la figlia mostrava di maneggiare. “La mamma che fa prostituire la figlia è una drammatica degenerazione delle relazioni sentimentali e affettive”, spiega Cordaro, rilevando come il mondo occidentale stia convergendo verso una rappresentazione sempre più consumistica della realtà, forse anche per questo “anche il sesso è stato fatto rientrare da quella madre in una categoria del commercio”.
Da quel che si può desumere dalle cronache, le due giovanissime liceali erano in un certo qual modo consenzienti, di sicuro per Cordaro non si può incolpare della drammatica vicenda i social network. “Sono strumenti di contatto neutro” che possono essere utilizzati in modo sbagliato, ma è inutile demonizzare i network (anche se sarebbe opportuna una autoregolamentazione): “Tutto dipende da chi gli usa”. Nessuno può controllare il Web, libero per antonomasia, il problema vero è il depauperamento della cultura sociale: “Consumare è diventata una parola d’ordine, così anche vendere il proprio corpo, può essere considerato business”. Un tempo, il compito di “tirare le briglie” spettava alle famiglie e alla scuola. “I genitori possono fare molto, ma l’esperienza clinica mi ha fatto capire che sempre più spesso padri e madri stanno perdendo il loro ruolo” dice lo psicologo. Nemmeno la scuola è esente da colpe: “Sta perdendo la sua coerenza di ruolo: mandiamo i figli a scuola ma se un professore si arrischia a punire uno studente, è l’intero nucleo familiare, se non tutta la collettività, a reagire a volte in modo incomprensibile contro il “professore”, enuncia Cordero.
                                                                      

La vicenda è stata monitorata anche dal Movimento Italiano Genitori (Moige). La presidente Maria Rita Munizzi chiede a tutte le famiglie di stare allerta. “Un plauso alla mamma che ha fatto scattare la denuncia, allarmata dal comportamento aggressivo della figlia e dalla sua improvvisa disponibilità economica. Il dialogo, si sa, è alla base di ogni rapporto, e più questo è aperto, più è facile confrontarsi senza imbarazzi e pregiudizi su qualsiasi argomento. Raccontare una brutta esperienza è l’unico modo per essere aiutati, protetti e tutelati dalle insidie della rete”, commenta Munizzi. Che poi sottolinea il ruolo dei network. “Vietare i social network e le chat è inutile, crea un provocatorio effetto di opposizione. Bisogna educare i figli alla prudenza e alla navigazione sicura, spiegare che è bene non comunicare a nessuno informazioni personali come indirizzo di casa, numero di telefono, nome della scuola; non prendere appuntamenti con persone conosciute in chat, non condividere la propria password con nessuno, neanche con gli amici”, evidenzia il presidente del Moige. 
Bisognerebbe sempre ricordare ai minori che il materiale pubblicato su internet “può rimanere disponibile online anche per molto tempo”. In effetti, “quando è pubblicata una foto o un qualsiasi contenuto, anche se goliardico, su di un sito o un social network, se ne perdono i diritti e non è riconosciuta la possibilità di rimuoverli (tranne che in eccezionali situazioni qualora intervenga la polizia postale). Inoltre, anche se si riuscisse a eliminare una foto o un video non riusciremmo mai a cancellarla dai dispositivi di coloro che l’hanno salvata” rileva la rappresentante del Moige. Munizzi pone in rilievo quale ruolo deve avere la scuola . “Fondamentale è dedicare in classe tempo per la media education, trasmettendo ai bambini l’importanza di una fruizione responsabile dei media e creando un’azione di sistema e coordinamento con la scuola e le famiglie per educare i bambini a un approccio corretto e consapevole al loro utilizzo”. Parole che suoneranno sante per tutti, tranne per la mamma “macellaia”.
 

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