giovedì 22 agosto 2013

PERCHE' DIO ESISTE E PERMETTE IL MALE, IL DOLORE E LA SOFFERENZA?



Leggiamo  il testo della prima Lettera di san Pietro,  “Sia benedetto
Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande
misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù
Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si
corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli
per voi” (1 Pt 3-4).
Poco oltre lo stesso apostolo ha un’affermazione illuminante e
consolante insieme: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora
dovete essere un po’ di tempo afflitti da varie prove, perché il
valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur
destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco . . .” (1 Pt 1, 6-7).
Già dalla lettura di questo testo si arguisce che la verità rivelata
circa la “predestinazione” del mondo creato e soprattutto dell’uomo in
Cristo (praedestinatio in Christo), costituisce il fondamento
principale e indispensabile delle riflessioni che intendiamo proporre
sul tema del rapporto tra la Provvidenza divina e la realtà del male e
della sofferenza presenti sotto tante forme nella vita umana.
 Ciò costituisce per molti la principale difficoltà ad accettare la
verità sulla divina Provvidenza. In alcuni casi questa difficoltà
assume forma radicale, quando addirittura si accusa Dio a causa del
male e della sofferenza presenti nel mondo, giungendo fino a rifiutare
la verità stessa su Dio e sulla sua esistenza (cioè all’ateismo). In
una forma meno radicale, e tuttavia inquietante, questa difficoltà si
esprime nei tanti interrogativi critici, che l’uomo pone a Dio. Il
dubbio, la domanda o addirittura la contestazione nascono dalla
difficoltà di conciliare tra loro la verità della Provvidenza divina,
della sollecitudine paterna di Dio per il mondo creato, e la realtà
del male e della sofferenza sperimentata in diversi modi dagli uomini.
Possiamo dire che la visione della realtà del male e della sofferenza
è presente con tutta la sua pienezza nelle pagine della Sacra
Scrittura. Si può affermare che la Bibbia è, oltre tutto, un grande
libro sulla sofferenza: questa entra in pieno nell’ambito delle cose
che Dio volle dire all’umanità “molte volte . . . per mezzo dei
profeti, e ultimamente per mezzo del Figlio” (cf. Eb 1, 1): entra nel
contesto dell’autorivelazione di Dio e nel contesto del Vangelo; ossia
della buona novella della salvezza. Per questo l’unico metodo adeguato
per trovare una risposta all’interrogativo sul male e sulla sofferenza
nel mondo è di cercarla nel contesto della rivelazione offerta dalla
parola di Dio.
Dobbiamo però prima di tutto intenderci sul male e sulla sofferenza.
Essa è in se stessa multiforme. Comunemente si distingue il male in
senso fisico da quello in senso morale. Il male morale si distingue da
quello fisico prima di tutto per il fatto che comporta una
colpevolezza, perché dipende dalla libera volontà dell’uomo, ed è
sempre un male di natura spirituale. Esso si distingue dal male
fisico, perché quest’ultimo non include necessariamente e direttamente
la volontà dell’uomo, anche se ciò non significa che esso non possa
essere causato dall’uomo o essere effetto della sua colpa. Il male
fisico causato dall’uomo, a volte solo per ignoranza o mancanza di
cautela, a volte per trascuratezza di precauzioni opportune o
addirittura per azioni inopportune e dannose, si presenta in molte
forme. Ma si deve aggiungere che esistono nel mondo molti casi di male
fisico, che avvengono indipendentemente dall’uomo. Basti ricordare per
esempio i disastri o le calamità naturali, come anche tutte le forme
di minorazione fisica oppure di malattie somatiche o psichiche, di cui
l’uomo non è colpevole,
La sofferenza nasce nell’uomo dall’esperienza di queste molteplici
forme di male. In qualche modo essa può trovarsi anche negli animali,
in quanto sono esseri dotati di sensi e della relativa sensibilità, ma
nell’uomo la sofferenza raggiunge la dimensione propria delle facoltà
spirituali che egli possiede. Si può dire che nell’uomo la sofferenza
è interiorizzata, coscientizzata, sperimentata in tutta la dimensione
del suo essere e delle sue capacità di azione e di reazione, di
ricettività e di rigetto; è un’esperienza terribile, dinanzi alla
quale, specialmente quando è senza colpa, l’uomo pone quei difficili,
tormentosi, a volte drammatici interrogativi, che costituiscono ora
una denuncia, ora una sfida, ora un grido di rifiuto di Dio e della
sua Provvidenza. Sono interrogativi e problemi che si possono
riassumere così: come conciliare il male e la sofferenza con quella
sollecitudine paterna, piena d’amore, che Gesù Cristo attribuisce a
Dio nel Vangelo? Come conciliarli con la trascendente sapienza e
onnipotenza del Creatore? E in forma anche più dialettica: possiamo
noi, di fronte a tutta l’esperienza del male che è nel mondo,
specialmente di fronte alla sofferenza degli innocenti, dire che Dio
non vuole il male? E se lo vuole, come possiamo credere che “Dio è
amore”? Tanto più che questo amore non può non essere onnipotente?
 Di fronte a questi interrogativi anche noi, come Giobbe, sentiamo
quanto sia difficile dare una risposta. La ricerchiamo non in noi, ma
con umiltà e fiducia nella parola di Dio. Già nell’Antico Testamento
troviamo l’affermazione vibrante e significativa: “contro la Sapienza
la malvagità non può prevalere. Essa si estende da un confine
all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap 7,
30-8, 1). Di fronte alla multiforme esperienza del male e della
sofferenza nel mondo già l’Antico Testamento rende testimonianza al
primato della Sapienza e della bontà di Dio, alla sua divina
Provvidenza. Questo atteggiamento si delinea e sviluppa nel Libro di
Giobbe, che è dedicato completamente alla tematica del male e del
dolore visti come prova a volte tremenda per il giusto, ma superata
dalla certezza, faticosamente conquistata, che Dio è buono. In questo
testo cogliamo la consapevolezza del limite e della caducità delle
cose create, per cui alcune forme di “male” fisico (dovute a mancanza
o a limitazione del bene) appartengono alla struttura stessa degli
esseri creati, che per propria natura sono contingenti e passeggeri,
dunque corruttibili.
 Sappiamo inoltre che gli esseri materiali sono in stretto rapporto di
interdipendenza come esprime l’antico adagio: “la morte dell’uno è la
vita dell’altro” (“corruptio unius est generatio alterius”). Così
dunque, in una certa misura anche la morte serve alla vita. Questa
legge riguarda anche l’uomo in quanto è un essere animale e insieme
spirituale, mortale e immortale. A questo proposito tuttavia le parole
di san Paolo dischiudono orizzonti ben più ampi: “se anche il nostro
uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno
in giorno” (2 Cor 4, 16). E ancora: “Infatti il momentaneo, leggero
peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed
eterna di gloria” (2 Cor 4, 17).
 L’assicurazione della Sacra Scrittura: “contro la sapienza la
malvagità non può prevalere” (Sap 7, 30), rafforza la nostra
convinzione che, nel piano provvidenziale del Creatore riguardo al
mondo, il male è in definitiva subordinato al bene. Inoltre nel
contesto della verità integrale sulla divina Provvidenza, si è aiutati
a comprendere meglio le due affermazioni: “Dio non vuole il male come
tale” e “Dio permette il male”. A proposito della prima è opportuno
richiamare le parole del Libro della Sapienza: “. . . Dio non ha
creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha
creato tutto per l’esistenza” (Sap 1, 13-14). Quanto alla permissione
del male nell’ordine fisico, ad esempio di fronte al fatto che gli
esseri materiali (tra essi anche il corpo umano) sono corruttibili e
subiscono la morte, bisogna dire che esso appartiene alla stessa
struttura dell’essere di queste creature. D’altra parte sarebbe
difficilmente pensabile, allo stato odierno del mondo materiale,
l’illimitato sussistere di ogni essere corporeo individuale. Possiamo
dunque capire che, se “Dio non ha creato la morte”, come afferma il
Libro della Sapienza, tuttavia egli la permette, in vista del bene
globale del cosmo materiale.
 Ma se si tratta del male morale, cioè del peccato e della colpa nelle
loro diverse forme e conseguenze anche nell’ordine fisico, questo male
Dio decisamente e assolutamente non lo vuole. Il male morale è
radicalmente contrario alla volontà di Dio. Se nella storia dell’uomo
e del mondo questo male è presente e a volte addirittura opprimente,
se in un certo senso ha una propria storia, esso viene solo permesso
dalla divina Provvidenza per il fatto che Dio vuole che nel mondo
creato vi sia libertà. L’esistenza della libertà creata (e dunque
l’esistenza dell’uomo, l’esistenza anche di spiriti puri come sono gli
angeli, dei quali parleremo più avanti), è indispensabile per quella
pienezza della creazione, che risponde all’eterno piano di Dio (come
abbiamo già detto in una delle precedenti catechesi). A motivo di
quella pienezza di bene che Dio vuole realizzare nella creazione,
l’esistenza degli esseri liberi è per lui un valore più importante e
fondamentale del fatto che quegli esseri abusino della propria libertà
contro il Creatore, e che perciò la libertà possa portare al male
morale.
Indubbiamente è grande la luce che riceviamo dalla ragione e dalla
rivelazione a riguardo del mistero della divina Provvidenza, che pur
volendo il male lo tollera in vista di un bene più grande. La luce
definitiva, tuttavia, ci può venire soltanto dalla croce vittoriosa di
Cristo.

Nessun commento: