L'Arcivescovo Vincenzo Pelvi, 65 anni, napoletano, un dottorato in teologia, ex Ordinario militare per l'Italia, una busta paga di 9.500 euro lordi al mese, finalmente se ne va in "pensione". La prassi anzi il Codice di Diritto canonico vuole però che adesso per 10 anni la Congregazione dei Vescovi gli cerchi una Diocesi per fare il Pastore e non restare a scaldare la sedia all'Ordinariato militare. Ma il punto è un altro: la Chiesa di Papa Francesco non vuole la guerra, ma la pace. Percio' i preti in stellette vanno aboliti. E' vero che ci sono 180 Cappellani, ma è altrettanto vero che il clero invecchia e c'è bisogno di nuovi preti nelle 250 Diocesi italiane. Non solo: tutto questo clero militare costa agli italiani ben 17 milioni di euro cioè 34 miliardi delle vecchie lire che potrebbero essere destinati ai disperati di Lampedusa. Hanno poi un sacco di privilegi e spesso alcuni di costoro sono degli imboscati, altri sono invece dei dispensatori dei misteri di Dio che sono poi sono simili a Giovanni Bosco e don Luigi Orione.Ed ecco la mia proposta: mons. Pelvi - come ha detto autorevolmente il Papa - non faccia lo zitello, ma vada in terra di missione, sia attivo, dinamico ed efficiente.La sua stagione è finita. Ora dovrà fare davvero il Pastore che va vicino alle pecore, le annusa, si sporca e le lava. Che bella vita all'Ordinariato servito e lodato da ragazzi in divisa che scattavano sull'attenti davanti a quest'uomo che è un successore degli Apostoli mentre apprezzava ed era gonfio e tronfio delle sue quattro stellette. Ma Gesù Cristo chiedeva ai suoi discepoli di mettersi sull'attenti? E allora Pelvi vai in Africa, in Brasile, in India, in terra di missione accanto agli ultimi, ai poveri, ai diseredati. Altro che scattare sull'attenti. Vai a scuola di Papa Francesco; Lui si che è cresciuto nelle periferie di Buenos Aires. Papa Francesco la scorsa settimana ha tenuto a rimarcare che la guerra si fa per business, per soldi, per affari sporchi. Che bello se Pelvi dicesse le stesse cose di Papa Francesco anzichè cercare un posto vescovile...
Sua preoccupazione prioritaria sia quella di promuovere e sostenere «un più convinto impegno ecclesiale a favore della nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede» (Lett. ap. Porta fidei, 7). Anche in questo ella è chiamata a favorire e alimentare la comunione e la collaborazione tra tutte le realtà delle varie diocesi. L'evangelizzazione, infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell'intero Popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori. Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell'annuncio e della testimonianza del Vangelo. Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava: «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze», e per questo - aggiungeva - «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività (cfr Discorso di chiusura del I periodo del Concilio, 8 dicembre 1962). Gli effetti di quella nuova Pentecoste, nonostante le difficoltà dei tempi, si sono prolungati, raggiungendo la vita della Chiesa in ogni sua espressione: da quella istituzionale a quella spirituale, dalla partecipazione dei fedeli laici nella Chiesa alla fioritura carismatica e di santità. A questo riguardo non possiamo non pensare allo stesso Beato Giovanni XXIII e al Beato Giovanni Paolo II, a tante figure di vescovi, sacerdoti, consacrati e di laici, che hanno reso bello il volto della Chiesa nel nostro tempo.
Questa
eredità è stata affidata anche alla sua cura
pastorale. Attinga mon. Pelvi da questo patrimonio di dottrina, di
spiritualità e di santità per formare nella fede i fedeli, affinché la loro testimonianza sia più
credibile. Allo stesso tempo, il suo servizio
episcopale le chiede di «rendere ragione della speranza
che è in voi» (1 Pt 3,15) a quanti sono alla
ricerca della fede o del senso ultimo della vita, nei
quali pure «lavora invisibilmente la grazia. Cristo,
infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo
è effettivamente una sola, quella divina» (Gaudium
et spes, 22). Si impegni affinché a tutti, secondo le diverse età e
condizioni di vita, siano presentati i contenuti
essenziali della fede, in forma sistematica ed organica,
per rispondere anche agli interrogativi che pone il nostro
mondo tecnologico e globalizzato. Sono sempre attuali le
parole del Servo di Dio Paolo
VI, il quale affermava: «Occorre evangelizzare - non
in maniera decorativa, a somiglianza di vernice
superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino
alle radici - la cultura e le culture dell'uomo...
partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai
rapporti delle persone tra di loro e con Dio» (Esort. ap.
Evangelii
nuntiandi, 20). A questo scopo è fondamentale il Catechismo
della Chiesa Cattolica, norma sicura per
l'insegnamento della fede e la comunione nell'unico credo.
La realtà in cui viviamo esige che il cristiano abbia una
solida formazione!
La fede
chiede testimoni credibili, che confidano nel Signore e si
affidano a Lui per essere «segno vivo della presenza del
Risorto nel mondo» (Lett. ap. Porta
fidei, 15). Il Vescovo, primo testimone della
fede, accompagna il cammino dei credenti offrendo
l'esempio di una vita vissuta nell'abbandono fiducioso in
Dio. Egli, pertanto, per essere autorevole maestro e
araldo della fede, deve vivere alla presenza del Signore,
quale uomo di Dio. Non si può essere, infatti, al
servizio degli uomini, senza essere prima servi di Dio. Il suo personale impegno di santità la veda assimilare
ogni giorno la Parola di Dio nella preghiera e nutrirsi
dell'Eucaristia, per attingere da questa duplice mensa la
linfa vitale per il ministero. La carità la spinga ad
essere vicino ai sacerdoti, con quell'amore paterno
che sa sostenere, incoraggiare e perdonare; essi sono i suoi primi e preziosi collaboratori nel portare Dio agli
uomini e gli uomini a Dio. Ugualmente, la carità del Buon
Pastore la farà attenti ai poveri e ai sofferenti, per
sostenerli e consolarli, come anche per orientare coloro
che hanno perduto il senso della vita. Sia
particolarmente vicino alle famiglie: ai genitori,
aiutandoli ad essere i primi educatori della fede dei loro
figli; ai ragazzi e ai giovani, perché possano costruire
la loro vita sulla salda roccia dell'amicizia con Cristo.
Abbia speciale cura dei seminaristi, preoccupandovi che
siano formati umanamente, spiritualmente, teologicamente e
pastoralmente, affinché le comunità possano avere
Pastori maturi e gioiosi e guide sicure nella fede.
Cari
Fratelli, l'Apostolo Paolo scriveva a Timoteo: «Cerca la
giustizia, la fede, la carità, la pace...Un servo del
Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti,
capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare» (2
Tm 2,22-25). Ricordando, a me e a lei, queste parole, La saluto nella preghiera.
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