Il cielo plumbeo promette pioggia che non arriverà, e l'aria in via Trilussa è già tesa mezz'ora prima dell'inizio del funerale. Don Pierpaolo Petrucci, superiore del distretto italiano della fraternità sacerdotale San Pio X, che dovrebbe celebrare il rito funebre per Priebke, viene insultato al suo arrivo, un paio di persone provano anche ad aggredirlo, prima che la polizia lo prenda di peso e lo spinga oltre il cancello verde dell'istituto Lefebvriano.
Ma è all'arrivo del carro funebre alle 17.23 che si scatena la bolgia. Una pioggia di sputi, calci e pugni investe la Mercedes nera, che riesce a farsi largo tra i colpi a fatica, mentre la polizia tenta di assicurare alla macchina una stretta via d'accesso, tra la folla che urla di tutto, fino all'ingresso del quartier generale lefevriano di Albano. L'ultimo saluto a Erich Priebke è, o dovrebbe essere, una cerimonia strettamente privata, la protesta a tratti feroce che accoglie le esequie e le accompagna dall'esterno è invece pubblica. In prima fila c'è anche il sindaco di questo comune dei Castelli Romani, Nicola Marini, con la fascia tricolore, che mostra l'ordinanza con cui il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, ha scavalcato in extremis nel pomeriggio il suo veto al transito della salma dell'ex ufficiale nel comune di Albano, imponendo il rito funebre nella cappella dei lefebvriani, unici a offrirsi di ospitare la cerimonia. Parla di «ferita profonda al territorio», assicura un presidio «pacifico e democratico», ma finisce coinvolto anche lui nella bagarre furiosa e violenta che si scatena al passaggio del nazista, spintonato dalla polizia che tenta di difendere la bara - e i vivi che la trasportano - dall'assalto dello stesso presidio. E che Priebke sia già morto e chiuso in una cassa sembra contare molto poco per le 2-300 persone - qualcuna anziana, molti giovanissimi - che provano in ogni modo a non far passare il piccolo corteo funebre.
L'uomo che ha passato gli ultimi anni della sua lunga vita scontando - ai domiciliari - una condanna all'ergastolo per aver partecipato all'eccidio delle fosse Ardeatine, l'uomo che non si è mai pentito del suo passato e delle sue azioni, l'ufficiale che ha sempre sostenuto di aver solo eseguito gli ordini, non riceve alcuna pietas neppure adesso che non c'è più. «Il padreterno ti avrà forse perdonato, noi no: assassino», sintetizza uno striscione.
Tanti tra i presenti collegano l'onta per Albano di ospitare i funerali di Priebke con gli eventi dell'ultimo conflitto che hanno interessato questa città in riva al lago.
Non sono bastati settant'anni a sedimentare l'odio, non è bastato l'ergastolo, non basta nemmeno la morte del «boia» Priebke, salutato al grido di «assassino», a sputi e calci.
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