“Quella madre ha venduto il corpo della
figlia come un macellaio vende una bistecca”. La riflessione,
“commerciale”, dello psicologo clinico Enzo Cordaro traccia in modo
drammatico la storia delle due studentesse costrette da cinque persone,
fra cui la madre di una delle due, a prostituirsi in un appartamento dei
Parioli, uno dei quartieri più esclusivi della Capitale. Le indagini
erano cominciate dopo che la mamma di una delle due baby prostitute,
ragazzine di quattordici e quindici anni diventate cocainomani, si era
preoccupata per l’inconsueta aggressività e per il denaro che la figlia
mostrava di maneggiare. “La mamma che fa prostituire la figlia è una
drammatica degenerazione delle relazioni sentimentali e affettive”,
spiega Cordaro, rilevando come il mondo occidentale stia convergendo
verso una rappresentazione sempre più consumistica della realtà, forse
anche per questo “anche il sesso è stato fatto rientrare da quella madre
in una categoria del commercio”.
Da quel che si può desumere dalle cronache,
le due giovanissime liceali erano in un certo qual modo consenzienti,
di sicuro per Cordaro non si può incolpare della drammatica vicenda i
social network. “Sono strumenti di contatto neutro” che possono essere
utilizzati in modo sbagliato, ma è inutile demonizzare i network (anche
se sarebbe opportuna una autoregolamentazione): “Tutto dipende da chi
gli usa”. Nessuno può controllare il Web, libero per antonomasia, il
problema vero è il depauperamento della cultura sociale: “Consumare è
diventata una parola d’ordine, così anche vendere il proprio corpo, può
essere considerato business”. Un tempo, il compito di “tirare le
briglie” spettava alle famiglie e alla scuola. “I genitori possono fare
molto, ma l’esperienza clinica mi ha fatto capire che sempre più spesso
padri e madri stanno perdendo il loro ruolo” dice lo psicologo. Nemmeno
la scuola è esente da colpe: “Sta perdendo la sua coerenza di ruolo:
mandiamo i figli a scuola ma se un professore si arrischia a punire uno
studente, è l’intero nucleo familiare, se non tutta la collettività, a
reagire a volte in modo incomprensibile contro il “professore”, enuncia
Cordero.
La vicenda è stata monitorata anche dal Movimento Italiano Genitori (Moige).
La presidente Maria Rita Munizzi chiede a tutte le famiglie di stare
allerta. “Un plauso alla mamma che ha fatto scattare la denuncia,
allarmata dal comportamento aggressivo della figlia e dalla sua
improvvisa disponibilità economica. Il dialogo, si sa, è alla base di
ogni rapporto, e più questo è aperto, più è facile confrontarsi senza
imbarazzi e pregiudizi su qualsiasi argomento. Raccontare una brutta
esperienza è l’unico modo per essere aiutati, protetti e tutelati dalle
insidie della rete”, commenta Munizzi. Che poi sottolinea il ruolo dei
network. “Vietare i social network e le chat è inutile, crea un
provocatorio effetto di opposizione. Bisogna educare i figli alla
prudenza e alla navigazione sicura, spiegare che è bene non comunicare a
nessuno informazioni personali come indirizzo di casa, numero di
telefono, nome della scuola; non prendere appuntamenti con persone
conosciute in chat, non condividere la propria password con nessuno,
neanche con gli amici”, evidenzia il presidente del Moige.
Bisognerebbe sempre ricordare ai minori
che il materiale pubblicato su internet “può rimanere disponibile
online anche per molto tempo”. In effetti, “quando è pubblicata una
foto o un qualsiasi contenuto, anche se goliardico, su di un sito o un
social network, se ne perdono i diritti e non è riconosciuta la
possibilità di rimuoverli (tranne che in eccezionali situazioni qualora
intervenga la polizia postale). Inoltre, anche se si riuscisse a
eliminare una foto o un video non riusciremmo mai a cancellarla dai
dispositivi di coloro che l’hanno salvata” rileva la rappresentante del
Moige. Munizzi pone in rilievo quale ruolo deve avere la scuola .
“Fondamentale è dedicare in classe tempo per la media education,
trasmettendo ai bambini l’importanza di una fruizione responsabile dei
media e creando un’azione di sistema e coordinamento con la scuola e le
famiglie per educare i bambini a un approccio corretto e consapevole al
loro utilizzo”. Parole che suoneranno sante per tutti, tranne per la
mamma “macellaia”.
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