IL NUOVO ORDINARIO MILITARE D'ITALIA: IL TENENTE GENERALE SUA ECCELLENZA L'ARCIVESCOVO MONSIGNOR SANTO MARCIANO'
Monsignor Santo Marcianò è nato a Reggio Calabria il 10 aprile 1960. Si è laureato in Economia e Commercio nel 1982, presso l’Università degli Studi di Messina. L’anno successivo ha intrapreso il cammino di discernimento vocazionale presso il Seminario Romano Maggiore e nel 1987 ha conseguito il Baccellierato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense.
È stato ordinato presbitero il 9 aprile 1988, nella Cattedrale di Reggio Calabria.
Nel 1990 consegue il Dottorato in Sacra Liturgia presso il Pontificio Ateneo “S. Anselmo”.
Dal 1988 al 1991 è stato Parroco a Santa Venere, Vicario parrocchiale a S. Maria del Divino Soccorso e animatore della pastorale giovanile di Azione Cattolica. Dal 1991 al 1996 è stato Padre Spirituale nel Seminario Maggiore Pio XI e dal 1996 è Rettore del medesimo Seminario, dove pure Docente di Liturgia e Teologia Sacramentaria. Dal 2000 ricopre anche l’ufficio di Direttore del Centro Diocesano Vocazioni.
Nell’Arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova, Mons. Marcianò è stato pure membro della Commissione Liturgica Pastorale, Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti e membro del Collegio dei Consultori. Nel 1997 è stato nominato canonico del Capitolo Metropolitano. Inoltre è stato Vicario Episcopale per il Diaconato permanente e i Ministeri, membro di diritto del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale diocesano.
È stato eletto alla sede arcivescovile di Rossano – Cariati il 6 maggio 2006, ed è stato ordinato vescovo il 21 giugno 2006. È Segretario della Conferenza Episcopale Calabra e Segretario della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana.
Papa Francesco il 10 ottobre 2013 lo ha nominato Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia.
Stemma
Nello stemma è rappresentata l’immagine del pellicano che nutre i propri figli con il sangue che sgorga dal suo cuore. La simbologia cristologica del pellicano trae origine, in particolare, dall’Adoro te devote, antico canto eucaristico attribuito a San Tommaso d’Aquino, che recita:
«Pie pellicane, Iesu Domine, me immundum munda tuo sanguine;
cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere».
Le parole di questo canto hanno fatto del pellicano uno dei simboli eucaristici per eccellenza. L’iconografia cristiana, a partire dal Medioevo, ha usato l’immagine del pellicano come allegoria di Cristo che sulla Croce viene trafitto al costato perdendo sangue e acqua fonte di vita per gli uomini. Con questo simbolo, dunque, viene evidenziato il sacrificio di Cristo, la sua totale abnegazione, la sua morte in croce e l’amore del Padre che invia il proprio Figlio a versare il suo sangue per la nostra salvezza. Il Pellicano diventa, perciò, figura della Redenzione operata da Cristo, icona dell’amore, del dono totale di sé, simbolo dell’amore paterno di Dio.
Dante nella Divina Commedia accosta la scena dell’Ultima Cena, dove l’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro, con la figura del pellicano: «Questi è colui che giacque sopra’l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto» (Divina Commedia, Paradiso, canto XXV, 112-114).
In questo stemma il pellicano è rappresentato in argento, smalto simbolo della trasparenza, della Verità, sottolineando il messaggio di salvezza che il Signore proclama nel rispondere a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
Il campo dello scudo è in azzurro, simbolo della incorruttibilità del cielo; rappresenta il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio.
La croce doppia, arcivescovile (detta anche patriarcale) con due bracci traversi all’asta, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo è una croce trifogliata con cinque gemme rosse a simboleggiare le cinque piaghe di Cristo.
Motto
Il motto riprende le parole d’inizio del Magnificat (Lc 1, 46) con cui la Vergine, dopo il saluto di Elisabetta, inneggia al Signore.
Il Magnificat (cf Lc 1, 46-55), cantico che si ispira a quello di Anna riportato nell’Antico Testamento (cf 1 Sam. 2, 1-10), è un canto che rivela la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano poveri non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell’umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell’orgoglio, aperto all’irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat è, infatti, marcato da questa umiltà, in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.
L’anima di questa preghiera è la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell’esistenza di Maria, rendendola Madre del Signore. Nelle parole del Magnificat ella non vede il segno della grandezza sua, ma di quella del suo Signore. «L’anima mia megalùnei, magnificat, fa grande il Signore». Maria si annienta di fronte a Dio per cantare la lode della Sua onnipotenza e misericordia. L’intima struttura del suo canto orante è la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. La Madonna con questa lode del Signore dà voce a tutte le creature redente che nel suo fiat, e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.
Nel ricordare le opere divine il canto del Magnificat evidenzia lo stile a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare i superbi, i potenti e i ricchi. Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: Coloro che lo temono, fedeli alla sua parola; gli umili, gli affamati, Israele suo servo, ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono poveri, puri e semplici di cuore. E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell’amore di Dio.
Monsignor Santo Marcianò è nato a Reggio Calabria il 10 aprile 1960. Si è laureato in Economia e Commercio nel 1982, presso l’Università degli Studi di Messina. L’anno successivo ha intrapreso il cammino di discernimento vocazionale presso il Seminario Romano Maggiore e nel 1987 ha conseguito il Baccellierato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense.
È stato ordinato presbitero il 9 aprile 1988, nella Cattedrale di Reggio Calabria.
Nel 1990 consegue il Dottorato in Sacra Liturgia presso il Pontificio Ateneo “S. Anselmo”.
Dal 1988 al 1991 è stato Parroco a Santa Venere, Vicario parrocchiale a S. Maria del Divino Soccorso e animatore della pastorale giovanile di Azione Cattolica. Dal 1991 al 1996 è stato Padre Spirituale nel Seminario Maggiore Pio XI e dal 1996 è Rettore del medesimo Seminario, dove pure Docente di Liturgia e Teologia Sacramentaria. Dal 2000 ricopre anche l’ufficio di Direttore del Centro Diocesano Vocazioni.
Nell’Arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova, Mons. Marcianò è stato pure membro della Commissione Liturgica Pastorale, Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti e membro del Collegio dei Consultori. Nel 1997 è stato nominato canonico del Capitolo Metropolitano. Inoltre è stato Vicario Episcopale per il Diaconato permanente e i Ministeri, membro di diritto del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale diocesano.
È stato eletto alla sede arcivescovile di Rossano – Cariati il 6 maggio 2006, ed è stato ordinato vescovo il 21 giugno 2006. È Segretario della Conferenza Episcopale Calabra e Segretario della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana.
Papa Francesco il 10 ottobre 2013 lo ha nominato Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia.
Stemma
Nello stemma è rappresentata l’immagine del pellicano che nutre i propri figli con il sangue che sgorga dal suo cuore. La simbologia cristologica del pellicano trae origine, in particolare, dall’Adoro te devote, antico canto eucaristico attribuito a San Tommaso d’Aquino, che recita:
«Pie pellicane, Iesu Domine, me immundum munda tuo sanguine;
cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere».
Le parole di questo canto hanno fatto del pellicano uno dei simboli eucaristici per eccellenza. L’iconografia cristiana, a partire dal Medioevo, ha usato l’immagine del pellicano come allegoria di Cristo che sulla Croce viene trafitto al costato perdendo sangue e acqua fonte di vita per gli uomini. Con questo simbolo, dunque, viene evidenziato il sacrificio di Cristo, la sua totale abnegazione, la sua morte in croce e l’amore del Padre che invia il proprio Figlio a versare il suo sangue per la nostra salvezza. Il Pellicano diventa, perciò, figura della Redenzione operata da Cristo, icona dell’amore, del dono totale di sé, simbolo dell’amore paterno di Dio.
Dante nella Divina Commedia accosta la scena dell’Ultima Cena, dove l’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro, con la figura del pellicano: «Questi è colui che giacque sopra’l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto» (Divina Commedia, Paradiso, canto XXV, 112-114).
In questo stemma il pellicano è rappresentato in argento, smalto simbolo della trasparenza, della Verità, sottolineando il messaggio di salvezza che il Signore proclama nel rispondere a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
Il campo dello scudo è in azzurro, simbolo della incorruttibilità del cielo; rappresenta il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio.
La croce doppia, arcivescovile (detta anche patriarcale) con due bracci traversi all’asta, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo è una croce trifogliata con cinque gemme rosse a simboleggiare le cinque piaghe di Cristo.
Motto
Il motto riprende le parole d’inizio del Magnificat (Lc 1, 46) con cui la Vergine, dopo il saluto di Elisabetta, inneggia al Signore.
Il Magnificat (cf Lc 1, 46-55), cantico che si ispira a quello di Anna riportato nell’Antico Testamento (cf 1 Sam. 2, 1-10), è un canto che rivela la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano poveri non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell’umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell’orgoglio, aperto all’irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat è, infatti, marcato da questa umiltà, in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.
L’anima di questa preghiera è la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell’esistenza di Maria, rendendola Madre del Signore. Nelle parole del Magnificat ella non vede il segno della grandezza sua, ma di quella del suo Signore. «L’anima mia megalùnei, magnificat, fa grande il Signore». Maria si annienta di fronte a Dio per cantare la lode della Sua onnipotenza e misericordia. L’intima struttura del suo canto orante è la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. La Madonna con questa lode del Signore dà voce a tutte le creature redente che nel suo fiat, e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.
Nel ricordare le opere divine il canto del Magnificat evidenzia lo stile a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare i superbi, i potenti e i ricchi. Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: Coloro che lo temono, fedeli alla sua parola; gli umili, gli affamati, Israele suo servo, ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono poveri, puri e semplici di cuore. E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell’amore di Dio.
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