Superano i 9 milioni di persone le persone
in difficoltà in Italia. Ai disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di
lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che
estendono la platea degli italiani in crisi. Un'enorme area di disagio:
ai 3,07 milioni di persone disoccupate, si sommano i contratti di lavoro
a tempo determinato, sia quelli part-time (643mila persone) sia quelli a
orario pieno (1,63 milioni), i lavoratori autonomi part time (832mila),
i collaboratori (430mila) e i contratti a tempo indeterminato part time
(2,56 milioni). Questo gruppo di persone occupate - ma con prospettive
incerte circa la stabilità dell'impiego o con retribuzioni contenute -
ammonta complessivamente a 6,1 milioni di unità. Il totale del'area di
disagio sociale, calcolata dal Centro studi Unimpresa sulla base dei
dati Istat, comprende dunque 9,17 milioni di persone.
Il
deterioramento del mercato del lavoro, spiega Unimpresa, non ha come
conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata
stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti
atipici. "Di qui - si legge nell'analisi - l'estendersi del bacino dei
deboli". Il dato sui 9,17 milioni di persone è relativo al secondo
trimestre del 2013 e complessivamente risulta in aumento dell'3,2%
rispetto al secondo trimestre del 2012, quando l'asticella si era
fermata a 8,89 milioni di unità: in sei mesi quindi 286mila persone sono
entrate nell'area di disagio sociale.
Nel
secondo trimestre di quest'anno i disoccupati erano in totale 3,07
milioni: 1,68 milioni di ex occupati, 633mila ex inattivi e 760mila in
cerca di prima occupazione. I disoccupati risultano in aumento del 13,7%
rispetto all'anno precedente (+371mila persone). Stabile, invece, il
dato degli occupati in difficoltà: erano 6,18 milioni a giugno 2012 e
sono risultati 6,10 milioni a giugno scorso. Un apparente restrizione
dell'area di difficoltà che, invece, rappresenta un'ulteriore spia della
grave situazione in cui versa l'economia italiana: anche le forme meno
stabili di impiego e quelle retribuite meno pagano il conto della
recessione.
"Il
Governo di Enrico Letta - commenta il presidente di Unimpresa, Paolo
Longobardi - non prende decisioni importanti: l'occasione offerta dalla
legge di stabilità sta per essere sprecata con un mix di misure che non
consentono a imprese e famiglie di avere risorse per guardare con
fiducia al futuro. Offriamo all'Esecutivo, ai partiti e alle
istituzioni, i numeri e gli argomenti su cui ragionare per capire quanto
sono profonde la crisi e la recessione nel nostro Paese". "Può apparire
anomalo - aggiunge Longobardi - che un'associazione di imprese analizzi
il fenomeno dell'occupazione, quasi dal lato del lavoratore. Ma per noi
la persona e la famiglia sono centrali da sempre, perché riteniamo che
siano il cuore dell'impresa. Bisogna poi considerare che l'enorme
disagio sociale che abbiamo fotografato ha conseguenze enormi nel ciclo
economico: più di 9 milioni di persone sono in difficoltà e questo vuol
dire che spenderanno meno, tireranno la cinghia per cercare di arrivare a
fine mese. Tutto ciò con effetti negativi sui consumi, quindi sulla
produzione e sui conti delle imprese". Secondo il presidente di
Unimpresa "serve maggiore attenzione proprio alla famiglia da parte del
Governo".
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