giovedì 20 febbraio 2014

POLIZIOTTI MASSACRANO E UCCIDONO GIOVANE, POI RITORNANO IN SERVIZIO





LA MORTE DI FEDERICO ALDROVANDI - Sabato 24 settembre 2005 per Federico Aldrovandi, un diciottenne di Ferrara, è un giorno come tanti altri. Primogenito di Lino Aldrovandi e Patrizia Moretti, Federico vive con i genitori e il fratello minore Stefano. Quella sera il ragazzo ha in programma una trasferta a Bologna per assistere a un concerto al Link, uno dei locali più noti della città. Dopo il lavoro in una pizzeria da asporto, Federico incontra gli amici e insieme si dirigono verso il capoluogo emiliano. Il concerto però viene annullato. I ragazzi decidono comunque di trascorrere la serata a ballare e bere all’interno del locale.
Quel che è certo è che Federico assume anche della droga, Lsd, popper, hashish e forse altro. Verso le 5 del mattino il gruppo di amici fa rientro a Ferrara. Federico si fa lasciare nei pressi di via Ippodromo, non lontano da casa. Ha ancora voglia di stare in giro, probabilmente per riprendersi un po’ dallo sballo. Prova a contattare sul cellulare alcuni suoi amici, ma non riceve risposta. Alle 5.47 la sala operativa della Questura viene allertata da parte di alcuni residenti di via Ippodromo, che riferiscono la presenza di un ragazzo che urla frasi sconnesse e tira calci qua e là. Sul posto giunge una volante della polizia con a bordo due poliziotti i quali, non riuscendo a calmare il giovane, chiamano prima un'altra volante e poi una pattuglia dei carabinieri.
Alle 6.04 viene chiamata anche un’ambulanza del 118. Tra il ragazzo e le forze dell’ordine c’è una colluttazione, al termine della quale i poliziotti hanno la meglio: riescono a immobilizzare Federico in posizione prona e gli mettono le manette ai polsi. Federico a questo punto è fermo, immobile, sembra svenuto. Quando arriva l’ambulanza, per Federico non c’è più nulla da fare, è morto.
aldrovandiLE INDAGINI E LE PERIZIE - La morte di Federico Aldrovandi, in un primo momento, sembra a tutti gli effetti collegata all’assunzione di sostanze stupefacenti. Alcuni mesi più tardi, nel gennaio 2006, la mamma di Federico apre un blog che in poco tempo diventa uno dei più cliccati in Italia. In esso vengono evidenziati alcuni elementi che, a detta della famiglia Aldrovandi, non tornano, e che sono legati al comportamento dei poliziotti intervenuti per placare il ragazzo.
La perizia tossicologica, infatti, non sembra essere coerente con la versione dell’overdose e sul corpo del ragazzo ci sono segni evidenti di percosse che hanno portato anche alla rottura di due manganelli. C’è poi una testimone che dichiara di aver sentito Federico urlare “aiuto!” e “basta!” e di averlo visto prima picchiato e poi a terra mentre un poliziotto gli premeva un ginocchio sulla schiena. Le indagini vengono riaperte e viene disposta una serie di perizie allo scopo di accertare l’accaduto.
La perizia medico-legale del professor Stefano Malaguti, consulente della procura di Ferrara, conferma che Federico sarebbe morto a causa all’assunzione combinata di ketamina, eroina e alcol: un mix diabolico che avrebbe pregiudicato lo stato psicofisico del ragazzo provocando un insufficienza respiratoria e quindi un arresto cardiocircolatorio.
A queste conclusioni la famiglia Aldrovandi si oppone con la consulenza dei professori Antonio Zanzi e Giorgio Gualandri, secondo i quali la causa del decesso di Federico sarebbe un’asfissia posturale, dovuta al fatto che il ragazzo sarebbe stato costretto per diversi minuti in posizione prona con le manette ai polsi. In quel frangente di forte stress e agitazione psico-motoria, il fisico di Federico avrebbe avuto bisogno di un maggior apporto di ossigeno, che al contrario è stato carente.
Nel marzo del 2006 vengono iscritti sul registro degli indagati i 4 poliziotti intervenuti in via Ippodromo la mattina in cui è morto Federico Aldrovandi. Nel frattempo la procura chiede al professor Francesco Maria Avato una consulenza supplementare, i cui risultati ribadiscono il ruolo predominante del mix di droga e alcool nella morte di Federico.
Ma non è ancora finita: il pm Nicola Proto chiede che venga eseguita in incidente probatorio una superperizia, medico-legale e tossicologica, affidata ai professori Roberto Testi ed Emanuele Bignamini. Il risultato di questo nuovo accertamento stabilisce che la morte di Aldrovandi è stata provocata da una sindrome da ipereccitazione chiamata “Excited Syndrome Delirium”. In sostanza, Federico non sarebbe morto né a causa della droga assunta né per le percosse dei poliziotti, ma per una mancanza d’aria dovuta al suo stato di agitazione e stress che avrebbe provocato un crollo delle funzioni cardiache e respiratorie dell’organismo. Per il pm è chiaro: l’agitazione di Federico fu causata dalle percosse subite dai poliziotti e dalla costrizione in posizione prona. I quattro poliziotti vengono quindi rinviati a giudizio con l’accusa di “eccesso colposo”.
LA SENTENZA DI PRIMO GRADO - Il 6 luglio 2009 i poliziotti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri vengono condannati a 3 anni e 6 mesi di reclusione. Per i giudici i quattro agenti, durante un normale controllo di ordine pubblico, commisero il reato di eccesso colposo causando la morte di Federico Aldrovandi. Si trattò, dunque, di omicidio colposo. Nella sentenza il giudice Francesco Caruso afferma che la morte di Federico fu la “conseguenza della violenta colluttazione con i quattro agenti, armati di manganelli, decisi a immobilizzarlo e ad arrestarlo a ogni costo, per fargli scontare le conseguenze di una precedente fase di conflitto, con reciproci atti di violenza, nel corso della quale venne danneggiata l’auto della pattuglia Alfa 2”.                          

In quell’alba maledetta, secondo la Corte, Federico era una persona bisognosa di aiuto sanitario, non un soggetto pericoloso che andava a tutti i costi arrestato. Ma c’è di più: il giudice Caruso ipotizza anche che lo stato di agitazione del ragazzo, descritto dai testimoni, fosse dovuto proprio all’intervento della prima volante, che evidentemente si sarebbe già trovata nei pressi di via Ippodromo al momento dell’arrivo di Federico, quindi prima della richiesta di intervento da parte degli abitanti della zona.
ALDROVANDI-BIS E ALDROVANDI-TER - Nel maggio del 2007 viene aperta un’inchiesta-bis sulla morte di Federico Aldrovandi, volta ad accertare perché il brogliaccio delle chiamate al 113 del 25 settembre 2005 fu corretto nello spazio in cui venivano riportati i dati dell’intervento dei quattro poliziotti in via Ippodromo e perché uno dei fogli non venne trasmesso alla Procura. Il dubbio, infatti, è che al momento della richiesta di intervento da parte degli abitanti di via Ippodromo, una prima volante fosse già sul posto e avesse già avviato una colluttazione con il ragazzo.
Nell’ambito di questa inchiesta vengono rinviati a giudizio 4 poliziotti: Paolo Marino, all’epoca dirigente dell’Ufficio Volanti, Marco Pirani, all’epoca braccio destro del primo pm che si occupò delle indagini, Marcello Bulgarelli, responsabile della centrale operativa del 113 e Luca Casoni, ispettore capo delle volanti in servizio quella mattina. Le accuse nei loro confronti sono, a vario titolo, falso, favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio. Avrebbero mentito e cercato di manomettere dati allo scopo di ritardare le indagini e aiutare i loro colleghi. Tre di loro verranno condannati a pene che vanno da otto mesi a un anno di reclusione. Luca Casoni, l’unico a non aver chiesto il rito abbreviato, verrà assolto dall’accusa di falsa testimonianza perché “il fatto non sussiste” e dai reati di omissione d’atti d’ufficio e di favoreggiamento perché “il fatto non costituisce reato”.
Nel 2011 un terzo filone dell’inchiesta, detto “Aldro-ter”, vedrà il dirigente dell’Ufficio Volanti Paolo Marino condannato in primo grado ad altri 3 mesi di carcere per omessa denuncia aggravata in relazione alle prime indagini. Non avrebbe denunciato i pasticci nei brogliacci compilati dal responsabile della centrale operativa la mattina in cui morì Federico.
LA SENTENZA DI SECONDO GRADO - Il 16 maggio 2011 alla Corte D’Appello di Bologna si apre il processo di secondo grado per la morte di Federico Aldrovandi. La famiglia del ragazzo rinuncia a costituirsi parte civile perché in cambio, nell’ottobre 2010, il Ministero dell’Interno le ha risarcito quasi due milioni di euro. Lo scorso 10 giugno la Corte D’Appello conferma la pena a 3 anni e 6 mesi di reclusione per i quattro poliziotti: Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri. Nelle motivazioni i giudici danno un ruolo rilevante alla droga assunta da Federico Aldrovandi la sera prima della morte, che gli avrebbe provocato uno stato di agitazione fuori dal normale, ma proprio questo elemento diventa un aggravante per i quattro poliziotti: infatti, essendo professionalmente preparati, avrebbero dovuto capire lo stato di necessità del ragazzo e, di conseguenza, intervenire in modo diverso.
Usando le parole dei giudici, gli agenti “avrebbero dovuto avere un approccio di tipo psichiatrico-sanitario e non iniziare una manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione condotta con estrema violenza, con modalità scorrette e lesive, quasi i quattro volessero punire Aldrovandi per il comportamento aggressivo tenuto nel corso della prima colluttazione con Pontani e Pollastri”. I quattro agenti vengono ritenuti responsabili allo stesso modo perché, leggiamo sempre nelle motivazioni, “ognuno di loro ha percosso o calciato il ragazzo, anche dopo essere stato atterrato e ognuno di loro non ha richiesto l’invio di personale medico prima, ma soltanto dopo averne vinto con violenza la resistenza”.
LA CASSAZIONE - Il 21 giugno 2012 la Corte di Cassazione conferma la condanna a 3 anni e 6 mesi di carcere per gli agenti di polizia Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri.

                                   

Ora stanno tornando in servizio i quattro agenti che hanno ucciso suo figlio e lei, Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, non sa nemmeno il perché. I vertici della polizia hanno negato al suo avvocato l’accesso agli atti per conoscere le motivazioni dei provvedimenti disciplinari che hanno inflitto sei mesi di sospensione dal servizio per i quattro poliziotti pregiudicati. “Perché, ci hanno detto che ai sensi di legge non siamo ‘diretti interessati”. Dopo i sei mesi di detenzione e l’uguale periodo di sospensione due di loro – Monica Segatto e Luca Pollastri – sono già rientrati in servizio, scaduto il tempo dei mesi di sospensione decisi dalla disciplinare. Un terzo, Paolo Forlani, è stato reintegrato ma non tornerà per il momento in servizio, perché da tempo in cura per una “nevrosi reattiva”, dovuta “alle vicende del processo e a tutto quello che ha vissuto – come spiega il suo legale Gabriele Bordoni -, con grande dolore, anche per la morte del ragazzo”. Enzo Pontani dovrebbe ritornare in servizio a breve (per lui i tempi iniziano a decorrere un mese dopo rispetto ai colleghi per via del diverso iter giudiziario, ‘rallentato’ a causa di un difetto di notifica).

E la madre di Federico si sente “umiliata, mortificata”. Vuoi perché si sarebbe aspettata una chiamata da parte della Polizia o del ministero dell’Interno, vuoi perché “nonostante tutta questa lotta basata su un’esigenza di giustizia per cercare di cambiare il mondo, ti accorgi che le cose non cambiano.




 Arrivano la manifestazioni di vicinanza e di solidarietà dei politici ma non cambia nulla”. Ultima in ordine di tempo fu la Cancellieri, allora al Viminale, a promettere “pene esemplari” contro “le mele marce” all’interno della polizia. “Si era in parte impegnata a seguire attentamente la vicenda, poi ha cambiato ministero. Il problema è che cambia politico e non c’è più modo di proseguire il dialogo e non hai più un interlocutore”.
Prima di lei lunga è stata la schiera di politici, ministri, Presidenti della Camera e sottosegretari che hanno ricevuto lei e suo marito Lino Aldrovandi. Da Bertinotti ad Amato, da Manconi a Manganelli. Alle parole però non seguirono i fatti. E nemmeno le parole sono arrivate in questi otto anni (Federico morì il 25 settembre del 2005) dai quattro agenti, che non hanno mai cercato di contattarla: “Mai, mai assolutamente”. Quanto al fatto che non sia possibile la destituzione dalla polizia per condanne per reati colposi, la madre di Federico ribadisce quanto lei e il padre, Lino Aldrovandi, hanno sempre sostenuto: “in tutte le sentenze che si sono succedute, in particolare la prima, hanno sancito che non è stato possibile arrivare ad una pena maggiore a causa degli insabbiamenti dei colleghi. Io ho letto il regolamento della polizia – rimarca -: la radiazione (destituzione, ndr) anche è prevista per il disonore alla divisa. E questo per me è alto tradimento. Basta leggerle le cose, basta volerle applicare, per me gli appigli ci sono. Ma forse non vogliono farlo”. “Qui non ci siamo solo noi – è la sua conclusione – ma è una questione che riguarda tutti, riguarda quello che decide di fare una istituzione di fronte ad una condanna per omicidio”.
Ora, a conti fatti, con il reintegro dei poliziotti, Moretti chiede “che almeno io non debba più vederli, che quelle persone non possano più salire sopra una volante”. Perché “anche loro, come Federico e per motivi opposti, sono diventati un simbolo. Il simbolo dell’impunità”.

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