mercoledì 26 febbraio 2014

PAPA FRANCESCO, I DOGMI E I TEOLOGI DISONESTI




Oggi, imitando la teologia protestante, in talune  Facoltà teologiche italo- olandesi, Seminari, Università cattoliche, si negano arbitrariamente  fra alcuni teologi ed ecclesiastici i dogmi della Chiesa Cattolica ingenerando nei fedeli e nei nuovi preti  sconcerto e disorientamento. Alcuni  ecclesiastici si arrogano la licenza e l'arbitrio di selezionare le verità di fede privilegiando di fatto un soggettivismo privo dell'assistenza del magistero ecclesiastico e della s. Tradizione. 
«Il soggettivismo dei moderni - scrive un teologo cattolico contemporaneo deceduto nel 2004 - ha obbligato a insistere sul fatto che questa obiettività del dato rivelato e tradizionale si troverebbe ridotta a niente, se fosse in potere di chi che sia di attribuirle il senso ch’egli giudica buono, e non in potere del corpo stesso (la Chiesa) al quale e per il quale la Parola divina è stata data, e specialmente, nell’interno di esso, ai membri responsabili del tutto, in virtù del loro mandato apostolico» (Louis Bouyer).
Di fronte a tale grave dissenso dottrinale devono prevalere due cose come affermava Papa Benedetto XVI: l'amore verso la Chiesa e l'unità della fede.
 Un altro problema dottrinale della Chiesa di Francesco e quello della Congregazione per la Dottrina della Fede guidata dal cardinale Gerhard Ludwig Muller (definito, dal connazionale cardinale Marx  alla conclusione dell’assemblea d’autunno dei vescovi bavaresi, un esempio di «erudizione dottrinale» e un «recinto» costruito attorno a quell’«ospedale da campo» della misericordia rappresentato dalla Chiesa nel suo rivolgersi ai feriti della società),  è quello del dubbio sistematico e della contestazione corrosiva dei dogmi cattolici formulati o dai Concilii Ecumenici nel corso della storia della Chiesa, o dai Pontefici. Si tratta di quattro dogmi mariani (Verginità  perpetua della Madonna, Maria Madre di Dio, Maria Assunta in cielo, e Maria Immacolata Concezione). Poi ci sono il dogma sulla S.S. Trinità, quello sulle due nature di Gesù : quella umana e divina, il dogma sul Purgatorio, il dogma sul Primato e Infallibilità del Pontefice solo quando parla ex cathedra, e quello della Transustanziazione, e quello su  Gesù Cristo che è il Figlio di Dio, ed è stato generato prima dei secoli, ma non è una creatura di Dio, ed è della stessa sostanza del Padre. Ebbene, questi dogmi (considerati spesso discutibili ed infraumani)  proprio perché elaborati da Papi o da Concilii Ecumenici o perché non presenti all'interno dei testi sacri,  non vengono tenuta nella debita considerazione o, peggio, negati da alcuni sacerdoti e alcuni vescovi orfani della Riforma protestante. C'è, insomma, un atteggiamento di sospetto o di pregiudizio in nome del libero pluralismo religioso. Senza contare che ci sono anche Facoltà teologiche che educano i loro studenti alla negazione di tali dogmi:  libertà  di insegnamento, ma non libertà di apprendimento perché scattano l'arbitrio, la licenza, il dissenso dottrinale, l ’incertezza, la servilità, la desolazione, perché  tale negazione è  priva dell’assistenza del magistero ecclesiastico. E come non rilevare con amarezza  il disorientamento e lo sconcerto tra i Fedeli che vedono i  loro preti dall'altare negare verità di fede? Assistiamo di fatto a una grave  forma di indifferenza, di incredulità, di laicismo areligioso e pagano,  e a un  atteggiamento di soggettivismo che nuocciono fortemente alla fede e alla  Chiesa. Il Popolo di Dio che si distingue e si qualifica per il suo carattere  religioso e messianico, sacerdotale e profetico che tutto converge verso Cristo, come suo centro focale, e che tutto da Cristo deriva com’è compaginato? com’è caratterizzato? com’è organizzato? come esercita la sua missione ideale e tonificante nella società, nella quale è immerso?  Sappiamo che il Popolo di  Dio ha, storicamente, un nome a tutti più familiare; è la Chiesa; la Chiesa amata, fino al sangue, da Cristo, suo mistico corpo, sua opera in via di costruzione perenne;  la nostra Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica; ebbene, chi davvero la conosce, la vive? Chi possiede quel sensus ecclesiae, cioè quella coscienza di appartenere ad una società speciale, soprannaturale, che fa corpo vivo con Cristo, suo capo, e che forma appunto con Lui quel  totus  Christus. 
Bisogna ricordare che i dogmi della Chiesa possono essere attuali sotto un duplice aspetto: sotto un aspetto relativo al loro contenuto di verità rivelata, in quanto cioè sono definizioni autorevoli di un insegnamento divino contenuto nella Sacra Scrittura, o derivato a noi dalla predicazione apostolica, per via di Tradizione (cfr. Dei Verbum, 8, 9); sono la fede pensata, vissuta, celebrata dalla Chiesa, come Popolo di Dio animato dallo Spirito Santo e ammaestrato da una testimonianza autorizzata e qualificata, il Papa e i Vescovi con lui; e sotto questo aspetto i dogmi della Chiesa sono sempre attuali, cioè sono sempre veri di quella verità divina e soprannaturale, alla quale essi si riferiscono. La verità divina non cambia; perciò i dogmi della fede sono sempre attuali, sono sempre veri.
Ma essi possono essere attuali anche sotto un altro aspetto, quello contingente, relativo al tempo e alle condizioni storiche, che ne provocarono la definizione, che prestarono alla definizione stessa il linguaggio e che ne giustificarono l’opportunità. Questo aspetto può venir meno col cambiamento delle condizioni storiche e culturali, alle quali i dogmi, nel momento preciso della loro formulazione, portavano lume di verità e rimedio canonico d’autorità. Perciò possono essere classificati secondo il processo storico, che li portò alla coscienza soggettiva della Chiesa, e che li chiama cronologicamente antichi o moderni secondo questo rapporto antico o moderno, cioè attuale con la vita temporale della Chiesa. A me pare che essi conservano non solo l’attualità perenne della loro verità oggettiva, ma conservano altresì l’attualità contingente della loro opportunità relativa al tempo nostro per la ragione cioè che le verità affermate dai vari Concilii sono presentissime alla nostra moderna mentalità, sia pure per essere impugnate, discusse, sperimentate, professate in piena coscienza ai giorni nostri. Qualche teologo e qualche vescovo pensa che le definizioni dogmatiche siano forme superate dell’insegnamento cattolico, e che  il Concilio Vaticano II non avendo pronunciato dogmi di fede può  essere considerato come una liberazione dagli antichi dogmi e relativi anatemi. La fede, si dice, non è il dogma verbalmente considerato; questo consiste in formule fisse che tentano di definire e di racchiudere verità immense, ineffabili e inesauribili. E sta bene; anche S. Tommaso c’insegna che l’atto di fede non termina alle formule che la espongono, ma alla realtà a cui esse si riferiscono; ma non senza una visione integrale di questa dottrina (cf. II, IIæ, 1, 2, ad 2). Inoltre si osserva che la fede ha una virtù dataci dallo Spirito Santo, e perciò sembrerebbe che nessun intermediario debba imporle una disciplina particolare; non si vedrebbe così quale funzione possa avere un magistero che la definisca e la tenga sotto tutela; così che la fede dovrebbe essere libera da vincoli esterni, ed avere per strumento interno di decifrazione la coscienza; e potrebbe perciò avere fra gli uomini differenti concezioni e differenti contenuti.
Non vogliamo pensare che a queste conclusioni si voglia arrivare: la fede resterebbe senza «simboli», che la definiscono e la esprimono; resterebbe senza catechesi univoca e autorevole; resterebbe fonte di divisione e non più d’unione (una fides!), resterebbe senza la guida, stabilita da Cristo, d’un magistero incontestabile, che ne vigila, le espressioni, ne promuove l’insegnamento e la diffusione, ne difende l’integrità, di cui i fedeli si alimentano, e per cui è doverosa la testimonianza. Paolo VI affermava a questo proposito: "Non è vero [...] che la fede sia una paralisi del pensiero e che le sue formulazioni dogmatiche arrestino la ricerca della verità; è vero il contrario. Il dogma non è una prigione del pensiero; è una conquista, è una certezza, che stimola la mente alla contemplazione e all’esplorazione, sia del suo contenuto, di solito profondo fino all’insondabile, sia del suo sviluppo nel concerto e nella derivazione di altre verità. Intellectus quaerens fidem, l’intelligenza esercita nella fede la sua ricerca, diceva il teologo medievale e tuttora degno d’esserci maestro, S. Anselmo; e aggiungeva: fides quaerens intellectum, la fede ha bisogno dell’intelletto. La fede infonde fiducia all’intelligenza, la rispetta, la esige, la difende; e per il fatto stesso che la impegna allo studio di verità divine, la obbliga ad un’assoluta onestà di pensiero, e ad uno sforzo che non la debilita, ma la conforta, tanto nell’ordine speculativo naturale, quanto in quello soprannaturale."
Vogliamo piuttosto osservare che, se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare le affermazioni conciliari sulla necessità congiunta della Chiesa insegnante e della fede (Lumen Gentium, 14, 48), sul senso della fede, sotto la guida del sacro magistero, anima tutto il Popolo di Dio (ibid. 12), sulla doverosa purezza della fede, asserita proprio in funzione del dialogo ecumenico (Unit. red., 11), sull’opera dei Vescovi nell’insegnamento delle verità della fede (Christus Dominus, 36), sull’incontro della fede e della ragione in un’unica verità al livello degli studi superiori (Graviss. educ., 10), sulla sintesi nuova, che s’intravede possibile e magnifica fra la fede antica e la cultura moderna (Gaudium et spes, 57), e così via, per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa.
 Di fronte a queste divisioni e lacerazioni  occorre quella comunione unitaria in Cristo dell’umanità, che costituisce il grande disegno dell’amore di Dio verso di noi, e da cui dipende la nostra salvezza; comunione con  papa Francesco, i Pastori, in unità di dottrina - nello studio assiduo e attento  della Scrittura, dei documenti conciliari (non mai abbastanza approfonditi),  nonché degli atti del Magistero pontificio ed episcopale - e in unità di amore, nella certezza che l’unione alla Gerarchia è il mezzo voluto da Cristo per assicurare la fondamentale unione col Padre celeste. Chi rifiuta per incredulità, o per radicale laicismo questa sapienza superiore spegne la luce di Cristo sulla nostra vita, la quale sembra liberata da dogmi difficili,  estranei e vincolanti, mentre è privata della fede e della scienza vitale, ch’essa dall’alto liberamente e amorosamente proietta sui nostri passi, poveri  passi disorientati e presto mortificati dall’oscurità, o dall’insufficiente lume del pensiero profano. Cito  ancora  a questo riguardo S. Paolo: “vi  esorto dunque, o fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come ostia vivente santa, gradevole a Dio, quale vostro culto ragionevole; e  non conformatevi al secolo presente, ma trasformatevi col rinnovamento del vostro spirito” (Rm  12, 2). In conclusione, i dogmi della Chiesa  sono attuali.  Per le sue dottrine. Possono essere attuali sotto un duplice aspetto: sotto un aspetto relativo al loro contenuto di verità rivelata, in quanto cioè sono definizioni autorevoli di un insegnamento divino contenuto nella Sacra  Scrittura, o derivato a noi dalla predicazione apostolica, per via di Tradizione (cfr. Costituzione dogmatica  Dei Verbum, 8, 9); sono la fede pensata, vissuta, celebrata dalla Chiesa, come Popolo di Dio animato dallo Spirito Santo e ammaestrato da una testimonianza autorizzata e qualificata, il Papa e i Vescovi con lui; e sotto questo aspetto i dogmi della Chiesa sono sempre attuali, cioè sono sempre veri di quella verità divina e soprannaturale, alla quale essi si riferiscono. La verità divina non cambia; perciò i dogmi della fede sono sempre attuali, sono sempre veri, checchè ne dicano i cosiddetti teologi progressisti considerati a là  page. 




                                Sogno una grande speranza (preghiera di Paolo VI)





 Sogno una Chiesa che è Porta Santa, aperta, che accoglie tutti, piena di compassione e di comprensione per le pene e le sofferenze dell'umanità, tutta protesa a consolarla.

Sogno una Chiesa che è Parola, che mostra il libro del Vangelo ai quattro punti cardinali della terra, in un gesto di annuncio, di sottomissione alla Parola di Dio, come promessa dell'Alleanza eterna.

Sogno una Chiesa che è Pane, Eucaristia, che si lascia mangiare da tutti, affinché il mondo abbia la vita in abbondanza.
Sogno una Chiesa che è appassionata di quella unità che ha voluto Gesù.

Sogno una Chiesa che è in cammino, Popolo di Dio, che dietro al Papa che porta la croce, entra nel tempio di Dio e pregando e cantando va incontro a Cristo Risorto, speranza unica, incontro a Maria e a tutti i Santi.

Sogno una Chiesa che porta nel suo cuore il fuoco dello Spirito Santo, e dove c'è lo Spirito, c'è la libertà, c'è il dialogo sincero con il mondo; e specialmente con i giovani, con i poveri e con gli emarginati, c'è il discernimento dei segni dei nostri tempi.

Sogno una Chiesa che è testimone di speranza e di amore, con fatti concreti, come quando si vede il Papa abbracciare tutti...nella grazia di Gesù Cristo, nell'amore del Padre e nella comunione dello Spirito, vissuti nella preghiera e nell'umiltà.

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