sabato 25 gennaio 2014

TOTO' RIINA, IL MACELLAIO DI COSA NOSTRA


Totò Riina,  il capo dei capi,  83 anni, originario di Corleone (Pa), altezza cm158 (da qui il soprannome di Totò u' curtu) studi conseguiti: seconda elementare, agricoltore, unito in matrimonio con la sorella del boss Bagarella, Ninetta, dalla quale ha avuto 4 figli (diplomata al liceo classico di Corleone),   è in carcere da 20 anni col regime del 41 bis per associazione mafiosa e per diversi ergastoli a cui è stato condannato per una serie impressionante di omicidi. Riina ha iniziato giovanissimo la sua carriera criminale all'interno di Cosa Nostra  aderendo alla cosca di Luciano Liggio. Per 24 anni è stato il capo incontrastato di Cosa Nostra dedicandosi esclusivamente all' associazione criminale. Riina si è occupato di appalti pubblici (il sacco di Palermo con Ciancimino assessore all'urbanistica e il deputato dc Salvo Lima sindaco)  di traffico di droga, di estorsioni,  dei sequestri di persona e  dei finanziamenti alle aziende agricole erogati dalla Regione Sicilia. Nella latitanza è diventato ultra miliardario con tutta la rete di imprenditori, politici, colletti bianchi, investimenti,  acquisto di società, di azioni e di beni immobili (case, ville, terreni e aziende agricole) Non si fa una latitanza sofferta con sacrifici  e rinunce senza un interesse economico rilevante!  E il suo interesse primario era il business a qualunque costo. Questo spiega le sanguinose  guerre di mafia a Palermo in cui sono morti tutti i suoi avversari.





 Questo spiega anche  la sua ferocia e spietatezza nel disporre omicidi di giudici, poliziotti, politici, e prefetti perchè ostacolavano lui o i suoi uomini.
Lo scrittore Vincenzo Consolo di Riina ha detto: «A guardare le mani dalle dita gonfie, la testa piantata direttamente sul busto, il viso bolso, spugnoso sotto un casco di corti capelli imbiancati alle tempie, a guardare quegli occhi ingottati, segnati di fegatoso, occhi impassibili, privi di luce, ti sembra di fare un tuffo indietro nel tempo, un tuffo di trenta, quarant’anni nel tempo della mafia contadina, della mafia della lupara, quella che vestiva di nero e portava la coppola, quella che una iconografia insistita ha rovesciato in farsa, in macchietta. E ti chiedi come può essere accaduto che un uomo dall’aspetto così poco “moderno”, così paesano, così dialettale, un uomo così “arretrato” possa aver preso il comando di un’organizzazione criminale come Cosa Nostra». Buscetta invece lo definisce cosi:  «Sembra un contadino a vederlo, dottor Falcone, ma è intelligente, e furbo, è un uomo malato di sbirritudine. Si è sempre comportato come uno sbirro, rivolgendosi alla polizia per eliminare, se non poteva farli uccidere, i suoi avversari. No, non era un confidente. Aveva il vizietto, diciamo così, delle lettere anonime. Uh, quante ne ha scritte, ′ u viddanu! Io credo, dottore, che sia stato lui a far arrestare Liggio. Sì, Lucianeddu… nel 1974… a Milano. Liggio aveva messo il Corto accanto a Badalamenti e Bontate, nel triumvirato che governava Cosa Nostra. Tano finisce in carcere e Riina, fuori, comicia a fare sequestri. Rapisce il figlio del conte Arturo Cassina. Quando Tano esce, chiede al Corto: “Perché l’hai fatto?, non avevamo detto che non facevamo rapimenti in Sicilia?”. Liggio, che pure era complice di quei sequestri, lo leva dalla commissione e ci si mette lui. Riina ci aveva fatto il pelo a comandare e ci resta male (...) Riina, lo sbirro, aveva fatto la spiata. Rientra al vertice e comincia la demolizione di Badalamenti. In tre anni lo fa fuori, lo fa posare e si cominciano a contare i morti… l’hanno chiamata la guerra di mafia, dottore, ma è stato un massacro, una caccia all’uomo scatenata dai corleonesi contro tutti coloro che, indipendentemente dalla famiglia di appartenenza, erano stati o erano amici di Stefano Bontate e Totuccio Inzerillo». 


Ma chi l'ha protetto politicamente in tutti quegli anni? Ed è vera la storia del bacio con Andreotti? Dice il Procuratore Caselli: «Riina non è un comune delinquente né un rozzo ex contadino di Corleone. Riina è il capo di uno Stato, lo Stato di Cosa nostra. Come tale egli percepisce se stesso e si autorapporta ad Andreotti esponente di vertice dello Stato legale e alleato storico. Riina dunque non ha nei confronti di Andreotti nessun atteggiamento di “motus reverentialis”. È Riina che prende l’iniziativa di salutare in modo naturale, col bacio appunto, Andreotti e non viceversa. Riina sceglie, come gesto di esordio del suo incontro con Andreotti, il bacio, vale a dire un gesto che assume un significato distensivo e rassicurante che sdrammatizza la situazione. Ad Andreotti si deve far capire che egli non può prendere le distanze: deve invece ricordare sempre che lui e Riina sono stati, sono e saranno la stessa cosa»).
Ora Riina è in una cella del carcere di Opera (Mi) sorvegliato a vista 24 ore su 24 (anche al gabinetto). Ci domandiamo: valeva la pena ammazzare, rubare, dedicarsi al narcotraffico e ai sequestri di persona con una latitanza di  24 anni e finire in carcere gli ultimi 30 anni della propria vita? Cosa ha goduto Riina nella latitanza? Beh, ha esercitato il potere, l'arrivismo e ha messo al primo posto i soldi. Tanti soldi. Ma dove sono questi soldi? Come sono stati investiti? Chi sono i suoi prestanome? Bisogna, quindi, indagare ed  aggredire i grossi patrimoni dei mafiosi che sono al Nord riciclati in cliniche, Rsa,  case di cura, assicurazioni, finanziarie, aziende di costruzioni, alberghi, catene di ristoranti e di  pizzerie: beni quasi tutti quotati in Borsa. Non dimentichiamoci che, nel 1974, il corleonese Luciano Liggio, ex capo di Riina, fu catturato proprio a Milano, sede della Borsa, e non già  a Corleone. 


alberto.giannino@gmail.com

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