mercoledì 15 gennaio 2014

LA PASTORALE VERSO I DETENUTI NEL CARCERE DI MARASSI


                                 





Il carcere del capoluogo genovese, ovvero Marassi di Genova, ha  una capienza regolamentare di 456 detenuti;  al 31 dicembre scorso,  erano presenti 787detenuti, con un esubero di 331 persone e un sovraffollamento del 72,6%, inoltre ci sono stati  8 tentati suicidi e ben 110 atti di autolesionismo nel 2013. Questi i dati che parlano da soli. Il direttore del carcere è stato allontanato dal ministro della Giustizia Cancellieri perchè, a suo dire, non conosceva la storia del serial killer evaso da Marassi. Non ha pagato invece il magistrato di sorveglianza che pure avrebbe dovuto acquisire informazioni sul detenuto evaso. Vorrei adesso rivolgermi al   cappellano del carcere don Paolo Gatti. Non so se egli  lavori nel carcere con zelo e intelligenza, senza risparmio di energie. Sia però sempre uomo di preghiera, per essere anche maestro di preghiera. Le sue  giornate siano scandite dai tempi dell’orazione, durante i quali, sul modello di Gesù, si intrattenga in colloquio rigenerante con il Padre. Non è facile mantenersi fedeli a questi quotidiani appuntamenti con il Signore, soprattutto oggi che il ritmo della vita si è fatto frenetico e le occupazioni assorbono in misura sempre maggiore. Dobbiamo tuttavia convincerci: il momento della preghiera è fondamentale: in essa, agisce con più efficacia la grazia divina, dando fecondità al ministero. Tante cose ci premono, ma se non siamo interiormente in comunione con Dio non possiamo dare niente neppure agli altri. Dobbiamo sempre riservare il tempo necessario per “stare con lui” (cfr Mc 3,14).
Diceva il Santo Curato d’Ars: “Il sacerdote dev’essere sempre pronto a rispondere ai bisogni delle anime. Egli non è per sé, è per voi”. Il sacerdote è per i detenuti: li anima e li sostiene nell’esercizio del sacerdozio comune dei battezzati, nel loro cammino di fede, nel coltivare la speranza, nel vivere la carità, l’amore di Cristo. Reverendo don Gatti, abbia sempre una particolare attenzione anche per i giovani detenuti. Come disse in questa terra il Beato Giovanni Paolo II, spalancate le porte della Chiesa  a tutti anche ai  carcerati, perché possano aprire le porte del loro cuore a Cristo! Mai la trovino chiusa! Il Sacerdote trova sempre, ed in maniera immutabile, la sorgente della propria identità in Cristo Sacerdote. Non è il mondo a fissare il loro statuto, secondo i bisogni e le concezioni dei ruoli sociali. Il prete è segnato dal sigillo del Sacerdozio di Cristo, per partecipare alla sua funzione di unico Mediatore e Redentore. In forza di questo legame fondamentale, si apre al sacerdote il campo immenso del servizio delle anime, per la loro salvezza in Cristo e nella Chiesa. Un servizio, quello nel carcere di Marassi,  che deve essere completamente ispirato dalla carità di Cristo. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi, che nessuno si perda.
 È importante essere chicchi di buon grano, don Gatti,  che, caduti in terra, portano frutto. Approfondisca la consapevolezza della sua identità: il sacerdote, per la Chiesa e nella Chiesa, è segno umile ma reale dell’unico ed eterno Sacerdote che è Gesù. Deve proclamarne autorevolmente la Parola, rinnovarne i gesti di perdono e di offerta, esercitarne l’amorevole sollecitudine al servizio del suo gregge, in comunione con i Pastori e fedelmente docile agli insegnamenti del Magistero. Ravvivi dunque ogni giorno il carisma che ha ricevuto con l’imposizione delle mani (cfr 2 Tm 1,6), identificandosi  con Gesù Cristo nella sua triplice funzione di santificare, ammaestrare e pascere il gregge.
Dai sacerdoti  i detenuti  attendono soltanto una cosa:  che siano degli specialisti nel promuovere l'incontro dell'uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale. Di fronte alle tentazioni del relativismo o del permissivismo, non è affatto necessario che il sacerdote conosca tutte le attuali, mutevoli correnti di pensiero; ciò che i fedeli si attendono da lui è che sia testimone dell'eterna sapienza, contenuta nella parola rivelata. La sollecitudine per la qualità della preghiera personale e per una buona formazione teologica porta frutti nella vita. Il vivere sotto l'influenza del materialismo e del nichilismo può aver generato un'inconsapevole tendenza a nascondersi sotto una maschera esteriore, con la conseguenza del cedimento ad una qualche forma di ipocrisia. È chiaro che ciò non giova all'autenticità delle relazioni fraterne e può condurre ad un'esagerata concentrazione su se stessi. In realtà, si cresce nella maturità affettiva quando il cuore aderisce a Dio.  Cristo- caro don Gatti - ha bisogno di sacerdoti che siano maturi, virili, capaci di coltivare un'autentica paternità spirituale. Perché ciò accada, serve l'onestà con se stessi, l'apertura verso i Superiori e la fiducia nella divina misericordia.
I Cappellani restino saldi nella fede!. Siano autentici nella loro vita e nel loro ministero. Fissando Cristo, vivano una vita modesta, solidale con i detenuti a cui sono mandati. Servano tutti; siano accessibili nelle celle e nei confessionali, sostengano le famiglie dei carcerati, non trascurino  il legame con i giovani, si ricordino dei più poveri, degli stranieri e dei detenuti soli e abbandonati. 
Il Sacerdote non può restare lontano dalle preoccupazioni quotidiane dei carcerati; anzi, deve essere vicinissimo, ma da sacerdote, sempre nella prospettiva della salvezza e del Regno di Dio. Egli è testimone e dispensatore di una vita diversa da quella terrena (cfr Decr. Presbyterorum Ordinis, 3). Egli è portatore di una speranza forte, di una “speranza affidabile”, quella di Cristo, con la quale affrontare il presente, anche se spesso faticoso (cfr Enc. Spe salvi, 1). E’ essenziale per la Chiesa che l’identità del sacerdote sia salvaguardata, con la sua dimensione “verticale”.

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alberto.giannino@gmail.com

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