giovedì 13 marzo 2014

PAPA FRANCESCO, IL CULTO DELL'IMMAGINE E IL BUSINESS




Caro Papa Francesco,
Ti scrivo mentre sei ancora ad Ariccia a fare gli esercizi spirituali con 82 tuoi Confratelli nell'episcopato. Tutti voi avrete avuto giovamento dagli esercizi predicati da un parroco romano. Chissà che bello ascoltare la Parola di Dio, commentarla e meditarla. Chissà che bello avere scelto la dimensione verticale (la preghiera) in questo mondo secolarizzato, scristianizzato e neopagano. Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io so­no la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Dio, nell'era digitale, postmoderna e plurale, sembra sparito dall’orizzonte di varie persone o diventato una realtà verso la quale si rimane indifferenti. Vediamo, però, allo stesso tempo, molti segni che ci indicano un risveglio del senso religioso, una riscoperta dell’importanza di Dio per la vita dell’uomo, un’esigenza di spiritualità, di superare una visione puramente orizzontale, materiale della vita umana.
                                         

 Guardando alla storia recente, è fallita la previsione di chi, dall’epoca dell’Illuminismo, preannunciava la scomparsa delle religioni ed esaltava una ragione assoluta, staccata dalla fede, una ragione che avrebbe scacciato le tenebre dei dogmatismi religiosi e avrebbe dissolto il “mondo del sacro”, restituendo all’uomo la sua libertà, la sua dignità e la sua autonomia da Dio. L’esperienza del secolo scorso, con le due tragiche Guerre mondiali ha messo in crisi quel progresso che la ragione autonoma, l’uomo senza Dio sembrava poter garantire. L’uomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto; l’uomo porta in sé il desiderio di Dio. E l’uomo sa, in qualche modo, di potersi rivolgere a Dio, sa di poterlo pregare. San Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi teologi della storia, definisce la preghiera “espressione del desiderio che l’uomo ha di Dio”. Questa attrazione verso Dio, che Dio stesso ha posto nell’uomo, è l’anima della preghiera, che si riveste poi di tante forme e modalità secondo la storia, il tempo, il momento, la grazia e persino il peccato di ciascun orante. La storia dell’uomo ha conosciuto, in effetti, svariate forme di preghiera, perché egli ha sviluppato diverse modalità d’apertura verso l’Altro e verso l’Oltre, tanto che possiamo riconoscere la preghiera come un’esperienza presente in ogni religione e cultura. Infatti -  come ha scritto Benedetto XVI -  la preghiera non è legata ad un particolare contesto, ma si trova inscritta nel cuore di ogni persona e di ogni civiltà. Naturalmente, quando parliamo della preghiera come esperienza dell’uomo in quanto tale, dell’homo orans, è necessario tenere presente che essa è un atteggiamento interiore, prima che una serie di pratiche e formule, un modo di essere di fronte a Dio prima che il compiere atti di culto o il pronunciare parole. La preghiera ha il suo centro e affonda le sue radici nel più profondo della persona; perciò non è facilmente decifrabile e, per lo stesso motivo, può essere soggetta a fraintendimenti e a mistificazioni. Anche in questo senso possiamo intendere l’espressione: pregare è difficile. Infatti, la preghiera è il luogo per eccellenza della gratuità, della tensione verso l’Invisibile, l’Inatteso e l’Ineffabile.


 Perciò, l’esperienza della preghiera è per tutti una sfida, una “grazia” da invocare, un dono di Colui al quale ci rivolgiamo. solo nel Dio che si rivela trova pieno compimento il cercare dell’uomo. La preghiera che è apertura ed elevazione del cuore a Dio, diviene così rapporto personale con Lui. E anche se l’uomo dimentica il suo Creatore, il Dio vivo e vero non cessa di chiamare per primo l’uomo al misterioso incontro della preghiera. Come afferma il Catechismo: “Questo passo d’amore del Dio fedele viene sempre per primo nella preghiera; il passo dell’uomo è sempre una risposta. A mano a mano che Dio si rivela e rivela l’uomo a se stesso, la preghiera appare come un appello reciproco, un evento di alleanza. Attraverso parole e atti, questo evento impegna il cuore. Si svela lungo tutta la storia della salvezza” (n. 2567). Nella preghiera, in ogni epoca della storia, l’uomo considera se stesso e la sua situazione di fronte a Dio, a partire da Dio e in ordine a Dio, e sperimenta di essere creatura bisognosa di aiuto, incapace di procurarsi da sé il compimento della propria esistenza e della propria speranza. Il filosofo Ludwig Wittgenstein ricordava che “pregare significa sentire che il senso del mondo è fuori del mondo”. Nella dinamica di questo rapporto con chi dà senso all’esistenza, con Dio, la preghiera ha una delle sue tipiche espressioni nel gesto di mettersi in ginocchio. E’ un gesto che porta in sé una radicale ambivalenza: infatti, posso essere costretto a mettermi in ginocchio – condizione di indigenza e di schiavitù -, ma posso anche inginocchiarmi spontaneamente, dichiarando il mio limite e, dunque, il mio avere bisogno di un Altro. A lui dichiaro di essere debole, bisognoso, “peccatore”. Nell’esperienza della preghiera la creatura umana esprime tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere della propria esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere di fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza della propria vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente.


Ti scrivo, caro Papa Francesco, perchè spesso vado nei negozi di articoli religiosi a cercare qualche libro di teologia per imparare e per aggiornarmi poichè ritengo che la formazione debba essere permanente. Ebbene, in qualsiasi negozio io vada, trovo il culto di Papa Francesco con gadgets, portachiavi, braccialetti, medagliette, spille,  rosari, portarosari, ciondoli e crocette piccole da girocollo,  libri, commenti, videocassette, preghiere, omelie, catechesi, quadri, quadretti, dipinti, catenine e immaginette . Per carità, sul Tuo magistero essendo Tu successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra è normale la diffusione di Encicliche o di Esortazioni apostoliche. Ma tutto il resto mi sembra un business su cui tante persone lucrano, fanno soldi e speculazioni. Ora sono abituato ma i primi tempi avevo pensato male: "Forse che è morto il Papa e io non ho visto i telegiornali?" Poi chiedevo tue notizie e per fortuna era otimme. Però immagino che anche Tu non condivida tale culto e idolatria ed è per queste ragioni che ti chiedo di fermare questo business che riguarda Santuari, Ordini religiosi, e negozi in città.. A meno che, parte dei proventi vadano ai poveri, a coloro che sono gli ultimi e gli "scarti" di questa società materialista, consumista e individualista protesa al profitto e al benessere.

Un grande peccatore
Alberto Giannino
                                            

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