Sei ore di dialogo, spalmate in tre appuntamenti nella seconda metà
di agosto. Sempre dalla piccola scrivania nella stanza 201 della
residenza Santa Marta, dove Papa Francesco dorme ma soprattutto governa
la Chiesa Universale.
Un dialogo a tutto campo con il direttore
della storica rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica, padre Antonio
Spadaro, un'intervista di 29 pagine dense del pensiero profondo del
Papa, dei valori che il Pontefice argentino ritiene non negoziabili. Una Chiesa di prossimità, di soccorso, che guardi con misericordia e comprensione tutti, senza giudizi definitivi. Senza quindi l'ossessione per le coppie gay e per tutti i temi legati alla vita e alla famiglia, compresi aborto e contraccezione. Ma è l'immagine più forte che offre al popolo dei fedeli - ma anche a chi non crede - e alle sue gerarchie, quelle che sprona ogni giorno a non cercare di fare carriera.
«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso». Un messaggio che sembra riscrivere l'alfabeto della pastorale, che descrive di fatto una nuova grammatica dei valori non negoziabili, specie se letta alla luce di un passaggio fondamentale dell'intervista, pubblicata in contemporanea su 16 riviste della Compagnia di Gesù in tutto il mondo.
L'intervistatore gesuita stimola il Papa gesuita sui temi ignaziani - Bergoglio parla diffusamente di «discernimento» - e arriva anche allo stile di governo della Compagnia, che implica una decisione del superiore dopo il confronto con i consultori. «Quando affido una cosa a una persona, mi fido totalmente di quella persona. Deve fare un errore davvero grande perché io la riprenda. Ma, nonostante questo, alla fine la gente si stanca dell'autoritarismo. Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore. Ho vissuto un tempo di grande crisi interiore quando ero a Cordova. Non sono stato certo come la Beata Imelda (paragone che fece durante il volo dal Brasile parlando di monsignor Scarano, ndr) ma non sono mai stato di destra. È stato il mio modo autoritario di prendere le decisioni a creare problemi», dice a proposto delle accuse di autoritarismo che ricevette quando guidò i gesuiti in Argentina. «Col tempo ho imparato molte cose», aprendosi a una condivisione più collegiale delle decisioni. «E adesso sento alcune persone che mi dicono: "non si consulti troppo, e decida". Credo invece che la consultazione sia molto importante. I concistori, i sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali. La Consulta degli otto cardinali, questo gruppo consultivo outsider (che si riunirà a inizio ottobre per la prima volta, ndr), non è una decisione solamente mia, ma è frutto della volontà dei cardinali.
E voglio che sia una Consulta reale, non formale». E poi la riforma della Curia, su cui parla ma senza entrare nel merito, evitando di parlare di finanze vaticane e Ior: «I dicasteri romani sono al servizio del Papa e dei vescovi: devono aiutare sia le chiese particolari sia le conferenze episcopali. Sono meccanismi di aiuto. In alcuni casi, quando non sono bene intesi, invece, corrono il rischio di diventare organismi di censura. È impressionante vedere le denunce di mancanza di ortodossia che arrivano a Roma. I dicasteri romani sono mediatori, non intermediari o gestori». E un compito assegnato agli ecclesiastici: «I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell'atteggiamento». E sulle donne nella Chiesa: «È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Temo la soluzione del "machismo in gonnella", perché in realtà la donna ha una struttura differente dall'uomo. La sfida è questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l'autorità nei vari ambiti della Chiesa».
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